Riprendiamo dal Cammino dei Tre Sentieri il seguente commento critico al sermone pronunziato al cospetto di Bergoglio lo scorso Venerdì Santo dal Predicatore della Casa Pontifica Raniero Cantalamessa.
Il padre cappuccino detiene il prestigioso incarico dal 1980 (i bei tempi di “san” Giovanni Paolo II!) e lungo gli anni ha dato mostra delle sue “doti”: basti ricordare la sua intensa pratica coi carismatici “cattolici” (si fa per dire) e protestanti, ai cui raduni frequentemente ed attivamente partecipa – era presente anche quando gli evangelici imposero le mani all’allora Arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio -; e le sue dichiarazioni offensive contro la devozione “esagerata” verso la Madonna.

Nell’omelia tenuta nel giorno del Venerdì Santo a San Pietro, padre Raniero Cantalamessa, parlando della pandemia, ha detto: “Se questi flagelli fossero castighi di Dio, non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente buoni e cattivi, e perché, di solito, sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori”.
Non vogliamo adesso ricordare le ragioni teologiche che spiegano la possibilità che Dio possa castigare. A riguardo rimandiamo a ciò che abbiamo scritto (clicca qui).
Né tanto meno vogliamo soffermarci sul fatto se questa pandemia sia o meno un castigo di Dio. E’ ovvio che non si può dire con certezza che lo sia; ma nemmeno si può dire con certezza che non lo sia. Certamente è qualcosa che Dio sta permettendo. D’altronde basta una minima conoscenza teologica per capire e sapere che tutto ciò che accade è sempre permesso da Dio.
Detto ciò, è però bene soffermarsi sul passaggio di cui sopra: “Se questi flagelli fossero castighi di Dio, non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente buoni e cattivi, e perché, di solito, sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori”.
Ebbene, queste parole mostrano tutta l’inconsistenza e la contraddizione in sé della tesi secondo la quale il Dio cristiano non possa castigare.
Prima di tutto va detto che san Tommaso sulla morte degli innocenti nei castighi parla chiaro: “L’ignoranza causa involontarietà. Ma talora la vendetta raggiunge anche chi è nell’ignoranza. Infatti i bambini dei Sodomiti, sebbene fossero nell’ignoranza invincibile, perirono insieme ai loro genitori, come si legge nella Scrittura. Parimenti per il peccato di Datan e di Abiron furono ingoiati anche i loro piccoli. Anzi, per il peccato degli Amaleciti, Dio comandò di uccidere persino gli animali bruti privi di ragione. Perciò la vendetta talora va esercitata anche contro le colpe involontarie.”. San Tommaso sottolinea, inoltre, chetutte le pene di questa vita, anche quelle degli innocenti, come i bambini, sono pene o conseguenze del peccato originale. Egli continua: “(…) secondo il giudizio di Dio i bambini sono puniti con le pene temporali assieme ai genitori, sia perché appartengono ad essi, e sia perché in loro Dio punisce i genitori. E infine anche perché questo ridonda a loro bene: perché se dovessero sopravvivere, sarebbero portati a imitare le colpe dei genitori, e quindi meriterebbero pene più gravi. La vendetta poi viene esercitata sugli animali e sulle altre creature prive di ragione, perché in tal modo ne vengano puniti i proprietari. E anche per incutere orrore del peccato”. (Summa, IIa-IIae, questione 108).
In una lettera a Filomena Fini, datata 25 luglio 1917, san Pio da Pietrelcina allude ad un figlio di lei, morto piccolino, e dice chiaramente che la morte dei bambini è permessa da Dio anche per salvare anime che, se vivessero di più, correrebbero il rischio di perdersi. Ecco cosa scrisse: “Non è necessario dirvi quanta pena mi arrecò la dipartita per il cielo di questo tenero bambino, che io amavo al pari dell’anima mia, ma mi rassegno ai voleri di Dio perché la felicità di quel bambino sarebbe stata assai contrastata se egli fosse vissuto” (Epistolario, III, p.810).
Ma veniamo alla contraddizione. Padre Cantalamessa, e molti insieme a lui, dicono che Dio non possa castigare e che nei casi di malattie, catastrofi o quant’altro Dio si limiterebbe a soffrire con l’uomo. Anche perché, come abbiamo già detto, Dio non può castigare perché nei castighi morirebbero anche gli innocenti. Ma come la mettiamo con un semplice interrogativo che potrebbe essere formulato da chiunque: Perché Dio, pur potendolo, permette comunque che nelle catastrofi, nelle epidemie e quant’altro muoiano anche degli innocenti? La risposta che danno teologi alla Cantalemessa è di tipo filosofico, nel senso che Dio ha creato la natura in un certo qual modo “libera” per cui Dio stesso non contraddice la “libertà” di questa stessa natura. Nell’omelia in questione padre Cantalamessa ha detto così: “Dio ha dato (…) alla natura una sorta di libertà, qualitativamente diversa, certo, da quella morale dell’uomo, ma pur sempre una forma di libertà. Libertà di evolversi secondo le sue leggi di sviluppo”. Il che filosoficamente è vero. Il Dio cristiano nella creazione ha fatto sì che vi fosse l’autonomia delle cosiddette cause seconde. L’occasionalismo di Malebranche o l’armonia prestabilita di Leibniz sono gravi errori filosofici. Essi, infatti, affermano che ogni cosa che accade, sarebbe di fatto per intervento di Dio e che le cause seconde altro non sarebbero che elementi illusori. Una cosa di questo tipo è affermata anche dalla teologia islamica.
Dunque, è vero che la natura ha una certa “libertà”, ma è pur vero che Dio è Signore della Natura ed è onnipotente.  Insomma, un conto è giustamente ammettere l’autonomia delle cause seconde, altro è affermare che Dio non castighi e si limiti a far fare il suo corso alla natura.
Questo (ed è qui la contraddizione) è davvero un modo per rendere Dio indifferente e perfino in un certo qual modo “cattivo”, incapace cioè di compatire la sofferenza umana. L’uomo, infatti, non agirebbe così. V’immaginereste i medici e gli infermieri che si stanno adoperando negli ospedali, rischiando la vita per salvare tanti ammalati, se pensassero: Ma chi me lo fa fare. Piuttosto è bene che la natura faccia il suo corso? E che dire della sofferenza di una povera mamma che ha perso un figlio? Le si potrebbe dire: Dio non è intervenuto perché è bene che la natura venga rispettata nella sua “libertà”.
Piuttosto il volto di Dio cambia con la Croce di Cristo. Ed ecco perché il Cristianesimo è l’unica religione che sa rispondere persuasivamente al mistero del dolore. Ma ci vuole la Croce come riscatto del peccato, come compensazione dell’ingiustizia. In questo modo si riconosce la sofferenza vicaria; e in essa gli innocenti che soffrono sono gli eroi scelti dalla Provvidenza per accompagnare Cristo nella sofferenza. Per “completare” nella propria carne le sofferenze di Cristo come dice san Paolo (Colossesi 1).
L’innocente che soffre diventa in un certo qual modo “icona” visibile della sofferenza di Cristo. E in questo la sua sofferenza acquista senso, valore, diventa un tesoro incommensurabile … e non un semplice esito inevitabile di una “natura che deve fare il suo corso”.