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La somma liturgica di Papa Pio XII, l’enciclica Mediator Dei, fu pubblicata il 20 novembre 1947. Ma a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il Papa aveva il progetto di avviare diverse riforme di cui l’enciclica sarebbe stata una sorta di magna charta.

Già dal 24 marzo 1945, col motu proprio In cotidianis precibus, Pio XII autorizzò l’uso di una nuova traduzione dei salmi per la recitazione delle ore canoniche. Questa nuova traduzione latina fu preparata dal Pontificio Istituto Biblico, sotto la direzione di P. Agostino Bea, uno studioso biblico gesuita, che era confessore del Papa e divenne in seguito cardinale. I salmi, la cui lingua originale è l’ebraico, furono più volte tradotti in latino durante i primi secoli. San Girolamo aveva rivisto le traduzioni precedenti e il suo lavoro si era affermato con il nome di Vulgata.
La nuova traduzione dei salmi non fu molto apprezzata, e per una buona ragione. Voleva rendere il testo più accessibile, ma i cambiamenti che aveva imposto erano sproporzionati rispetto al risultato atteso.

La riforma del digiuno eucaristico

Durante la guerra, Papa Pio XII aveva modificato le regole del digiuno eucaristico a causa delle restrizioni. Con la costituzione apostolica Christus Dominus del 6 gennaio 1953, ridusse “il tempo del digiuno da osservare prima della Messa o della Santa Comunione, rispettivamente celebrata o ricevuta, a tre ore per il cibo solido e un’ora per le bevande analcoliche” . In precedenza, era necessario un rigoroso digiuno naturale, cioè non prendere cibo o bevande, compresa l’acqua, da mezzanotte.
Questa mitigazione di una disciplina molto antica, ha aperto la possibilità di celebrare la messa durante la giornata, cosa praticamente impossibile prima, poiché il celebrante era tenuto alle stesse regole del digiuno dei fedeli. Così, il 19 marzo 1957, venne pubblicato il motu proprio Sacram communionem che diede il permesso di celebrare la messa nel pomeriggio. Pio XII ha spiegato questo gesto: “I vescovi ci hanno espresso una profonda gratitudine per queste concessioni, che hanno prodotto frutti abbondanti, e molti ci hanno esortato a consentire loro di permettere la celebrazione della messa ogni giorno durante pomeriggio, in vista del grande profitto che i fedeli ne trarrebbero. (…) Alla luce dei considerevoli cambiamenti che hanno avuto luogo nell’organizzazione del lavoro e dei servizi pubblici e in tutta la vita sociale, abbiamo ritenuto opportuno soddisfare le pressanti esigenze dei vescovi”.

Una commissione di riforma

Il 10 maggio 1946, all’indomani della seconda guerra mondiale, Pio XII ordinò al cardinale Carlo Salotti, prefetto della Congregazione dei riti, di preparare un piano per riformare la liturgia. Il 28 maggio 1948 fu istituita una commissione pontificia per la riforma della liturgia. Il suo presidente era il cardinale Clemente Mirca, prefetto della Congregazione dei riti.
I suoi membri erano Mons. Alfonso Carinci, segretario della stessa congregazione, P. Ferdinando Antonelli, O.F.M., relatore generale della Sezione Storica; Padre Joseph Löw, C.S.S.R., vice relatore; P. Anselmo Albareda, O.S.B., prefetto della Biblioteca Vaticana; P. Agostino Bea, rettore del Pontificio Istituto Biblico; P. Annibale Bugnini, C.M., direttore delle Ephemerides Liturgicae, che fu anche nominato segretario, un incarico che mantenne fino allo scioglimento della commissione al momento dell’istituzione della commissione preparatoria per il Concilio nel 1960.
Nei suoi 12 anni di esistenza – dal 28 giugno 1948 all’8 luglio 1960 – la commissione si riunì 82 volte e lavorò in assoluta segretezza. La commissione godette della fiducia del Papa, tenuta informata da Mons. Giovanni Battista Montini – il futuro Paolo VI – e, ogni settimana, da Padre Bea, suo confessore.
Di per sé, l’istituzione di una tale commissione non è problematica. Il Movimento liturgico, nel senso buono del termine, quello iniziato da Dom Guéranger, benedetto da San Pio X, portato avanti da fedeli servitori della Chiesa, aveva dato buoni frutti e poteva portarne altri. Ma ciò che Papa Pio XII non sapeva era che il verme era già nel frutto, a sua insaputa. I promotori del Movimento liturgico deviato avevano già praticamente il controllo.
Ciò non significa che le riforme attuate sotto il pontificato di Papa Pio XII siano viziate alla radice, ma sembra che gli innovatori abbiano sfruttato questa opportunità per promuovere le loro idee, anche se opposte alle encicliche del Papa regnante.

La riforma della Settimana Santa

Nacque un movimento tra i vescovi per chiedere una riforma della Settimana Santa, e in particolare il ritorno delle cerimonie nel pomeriggio. Vi erano state cerimonie del genere in passato sotto il nome di Messa della Cena del Signore o Veglia pasquale. Nel corso dei secoli, la loro celebrazione era stata anticipata al mattino.
È quindi essenzialmente un motivo pastorale a far agire Pio XII: che i fedeli potessero partecipare in numero alle più grandi cerimonie liturgiche dell’anno. Così, già nel 1951, autorizzò alcune diocesi a celebrare l’ufficio della Veglia pasquale la sera del sabato santo. Nel 1953, affidò alla Commissione per la riforma della liturgia il compito di ripristinare gli Uffici per l’intera Settimana Santa.
Una volta completato il lavoro, la riforma della Settimana Santa fu approvata da tutti i cardinali il 19 luglio 1955, quindi promulgata dalla Sacra Congregazione dei Riti nel decreto Maxima Redemptionis del 16 novembre dello stesso anno. Pio XII voleva ripristinare gli orari tradizionali dell’ufficio, ma non troviamo alcun segno del desiderio di modificare i riti stessi. Questo è così vero che il decreto Maxima Redemptionis giustifica il cambiamento dei tempi, senza spiegare i cambiamenti nelle cerimonie.
Gli esperti hanno quindi approfittato del lavoro per introdurre nei riti le loro scoperte e le loro concezioni della liturgia. Usarono questa riforma come banco di prova: è così che le modifiche ai riti della Messa dell’Ordo Hebdomadæ Sanctæ Restauratus furono estese a tutta la liturgia da Giovanni XXIII nel 1960.
Notiamo l’estrema semplificazione della benedizione delle palme, con il pretesto di eliminare dal Messale i suoi elementi non romani. Notiamo anche che i quattro racconti della Passione cantate durante la Settimana Santa non contengono più l’unzione di Betania o l’Ultima Cena. Notiamo anche la modifica della cerimonia del cero pasquale e soprattutto la drastica riduzione del numero di letture e dei responsori- da 12 a 4. Infine, la cerimonia battesimale della Vigilia di Pentecoste è stata soppressa.
L’aspetto positivo di questa riforma è ancora di ordine pastorale: l’introduzione della lavanda dei piedi nella Messa verspertina del Giovedì Santo, la ricomparsa della Messa crismale e il rinnovamento delle promesse battesimali durante la Veglia pasquale. Quindi questa riforma ha portato alcuni vantaggi pastorali, ma a costo di una discutibile revisione delle cerimonie più antiche e venerabili della sacra liturgia.
Pio XII ritenne che i vantaggi fossero maggiori degli svantaggi e non è necessario contestare il suo giudizio. Ma durante questo periodo, il Movimento liturgico deviato guadagnò dei punti. Padre Chenu, O.P. spiega: “Padre Duployé lo ha seguito con lucidità appassionata. Ricordo che un giorno, molto più tardi, mi disse: ‘Se riusciremo a riportare la Veglia pasquale al suo valore originale, il Movimento liturgico avrà prevalso; mi do dieci anni per riuscirci’. Dieci anni dopo, è stato fatto” [1].

Riforma delle rubriche del Messale e del Breviario

Come nei casi precedenti, spiega il cardinale Gaetano Cicognani, prefetto della Congregazione dei riti dal 1953 al 1954, “alcuni Ordinari locali hanno rivolto richieste urgenti alla Santa Sede e il Sommo Pontefice Pio XII, a causa del suo impegno e del suo dovere pastorale, ha consegnato l’esame di questa domanda a una commissione speciale di esperti a cui è stato affidato lo studio di una riorganizzazione liturgica generale”2.
Quest’opera culminò nella promulgazione, il 23 marzo 1955, del decreto Cum hac nostra ætate della Sacra Congregazione dei Riti. Questa riforma tendeva a semplificare le rubriche con l’obiettivo di rendere più semplice la recitazione del Breviario. Papa Pio XII aveva voluto un alleggerimento dal breviario e, ancora una volta, gli esperti avevano orientato la riforma nella direzione desiderata dal Movimento liturgico.
Dal 1915, Dom Cabrol riteneva che la riforma di San Pio X fosse insufficiente, che il ciclo del santorale fosse vi ancora troppo privilegiato. Quarant’anni dopo, Roma abbondò in questo senso riducendo tutte le feste semi-doppie e singole al rango di memorie e dando la possibilità di dire l’ufficio feriale di Quaresima o della Passione piuttosto che quello del santo.
Il numero di vigilie fu considerevolmente ridotto, quello delle ottave ridotto alla sua espressione più semplice: furono risparmiati solo Natale, Pasqua e Pentecoste. Il breviario fu alleggerito da tutti i suoi Pater, Ave e Credo; l’antifona finale alla Beata Vergine fu mantenuta solo per la Compieta; le regole delle Preces – preghiere speciali da dire in determinati giorni – e le memorie furono semplificate; il simbolo di Sant’Atanasio, spesso recitato la domenica, venne riservato solo alla domenica della Santissima Trinità.
In conclusione di questo panorama delle riforme liturgiche di Papa Pio XII, il giudizio di Padre Didier Bonneterre è essenziale: dobbiamo ammettere “la loro perfetta ortodossia, garantita da quella di chi le ha divulgate”, ma dobbiamo anche riconoscere “che costituiscono le prime fasi dell’auto-demolizione della liturgia romana”3, perché furono realizzate dietro le quinte da coloro che avrebbero preparato la riforma liturgica del Concilio Vaticano II.

(Fonte: FSSPX – FSSPX.Actualités – 18/04/2020) 


[1] Un théologien en liberté, J. Duquesne interroge le P. Chenu, coll. Les Interviews, le Centurion, 1975, p. 92-93.
[2] Décret Cum hac nostra ætate, del 23 marzo 1955, in Les Heures du jour, Desclée, 1959, p. 31.
[3] Abbé Didier Bonneterre, « Le Mouvement liturgique », in La raison de notre combat, La messe catholique, Clovis, 1999, p. 111.