di Giuliano Zoroddu
Il Giovedì Santo la Chiesa Romana fa memoria della “Cena del Signore, quando Gesù Cristo, il giorno prima che fosse crocifisso per la nostra salute, diede a celebrare ai discepoli i misteri del suo Corpo e del suo Sangue”. Oltre alla celebrazione di questo mistero anticamente si celebravano distintamente anche la assoluzione dei penitenti e la consacrazione degli olii santi, onde tre erano le messe. A Roma le prime due si celebravano al mattino, la terza a sera.
Assai presto venne in disuso la missa poenitentium, poiché già nel’XI secolo, l’Ordo Romanus X prescriveva semplicemente che all’ora sesta il Papa, fatta leggere la lista dei penitenti che erano stati sottoposti alle censure e alle relative quarantene, concedesse l’assoluzione e l’indulgenza.
Per contro, si conservò più a lungo era la missa chrismalis che si celebrava con distinta solennità nell’Arcibasilica Lateranense. Oltre alla consueta benedizione e consacrazione delle tre ampolle dell’Olio degli Infermi, dei Catecumeni e del Crisma, il cerimoniale papale prevedeva anche l’ostensione di una ampolla contenente una pietra preziosa che racchiudeva il Preziosissimo Sangue di Cristo, per tutto il resto dell’anno nascosta all’interno dell’altare maggiore della Basilica. La mensa dello stesso altare veniva infatti scoperta da alcuni Cardinali Diaconi ed il Pontefice, oltre a prelevarvi l’anzidetta ampolla, vi penetrava del tutto per offrire il Sacrifico sull’antica arca lignea: “Romanus Pontifex … hodie remota tabula Lateranensis altaris, intra ipsum altare conficit eucharistiam: illud in hoc facto commemorans quod pontifex summus in lege semel in anno in Sancta sanctorum cum sanguine introivit” (Innocenzo III, Sermo de Coena Domini, PL 217, coll. 399D-400A).
La terza messa, quella che specificatamente commemorava ‘istituzione dell’Eucaristia, si celebrava a sera e vi si somministrava la Comunione Pasquale al clero e ai laici. Il rito iniziava direttamente dal Prefazio: la prima parte della messa – salmodia, lezioni e colletta – è palesemente posteriore.
Lo sviluppo organico della liturgia portò ad una modificazione dei riti, a fusioni e ad accrescimenti. Nel cerimoniale papale, come è noto, da discrimine fece il periodo avignonese. Così la Cappella Papale della feria quinta in Coena Domini, una volta restituita a Roma la Sede stabile del Pontificato, si spostò dal Laterano alla cappella palatina, prevalentemente la Sistina. Il Pontefice non celebrava personalmente: assisteva, in manto bianco col formale prezioso e mitra di tela d’oro, alla messa celebrata dal Cardinal Decano o dal Cardinale Vescovo più anziano. Il trono papale era coperto di lama d’argento; la croce dell’altare coperta di un velo di seta bianca; l’altare parato con un paliotto d’arazzo tessuto in oro con gli stemma di Clemente VIII e della casa Medici, rappresentante nel mezzo il Cristo morto e sostenuto da due angeli con al di sopra il calice della passione, al lato del Vangelo la discesa al Limbo e al lato dell’epistola Gesù Cristo risorto fra due angeli che appare alla Maddalena. Il Sacro Collegio assisteva in cappa paonazza (colore della penitenza) e all’inizio della messa prestava la consueta obbedienza.
Il rito della messa si svolgeva come previsto dal messale: due le hostiae magnae consacrate, una da consumarsi dal celebrante e l’altra da riporsi nel sepolcro. La peculiarità dell’odierna cappella papale prevedeva che avanti l’elevazione, invece delle torce portate dai cappellani comuni, se ne portassero dodici dai bussolanti in cappa rossa. Dopo l’elevazione, due maestri di cerimonie incominciano la distribuzione delle candele ai Cardinali, ai Patriarchi, ai Vescovi, agli abati mitrati, ai prelati di fiocchetto, ai protonotari apostolici e ai generali degli Ordini religiosi.
Finita la messa il Papa dava la benedizione. Quindi i Cardinali si spogliavano delle cappe e assumevano i paramenti sacri secondo il loro ordine; i Patriarchi. gli Arcivescovi e Vescovi assistenti e non assistenti al Soglio, il Commendatore di Santo Spirito e gli Abati mitrati si recavano in sagrestia per indossare piviale e mitria bianca; gli uditori di Rota, i chierici di camera, i votanti di Segnatura e gli abbreviatori deponevano le cappe paonazze ed assumevano sul rocchetto la cotta; l’ultimo uditore di Rota infine, in qualità di Suddiacono apostolico, si parava coll’amitto, camice, cingolo e tonacella bianca per prendere la croce astile velata di paonazzo.
Si componeva così la processione verso il Sepolcro, che da Paolo III in poi si predisponeva nella Cappella Paolina. Il Sommo Pontefice portava il Santissimo Sacramento sotto il baldacchino bianco, retto da otto Vescovi assistenti al Soglio od in loro mancanza dai protonotari apostolici, e circondato dai suddetti dodici bussolanti colle torce. Giunto il Papa al Sepolcro, il Santissimo veniva ricevuto, in ginocchio, dal Cardinale Protodiacono che a sua volta lo consegnava al Sacrista per riporlo nell’urna. Una volta chiuso lo sportellino la chiave veniva affidata al Cardinale Penitenziere Maggiore che avrebbe officiato il giorno appresso.
Per i prelati della Corte era prevista un’ora di adorazione davanti al Sepolcro. Il Papa vi si sarebbe recato la sera col suo seguito.
Conclusa la reposizione, il Pontefice montava sulla sedia gestatoria, ed il corteo ripartiva verso la Loggia delle benedizioni donde il Pontefice avrebbe impartito la triplice benedizione, arricchita d’indulgenza plenaria. Oltre a ciò, fino a Clemente XIV che ne interruppe l’uso nel 1768, si dava lettura della bolla in Coena Domini – una bolla di scomunica contro gli eretici e i loro fautori, contro i gli appellanti al Concilio, contro i violatori delle libertà ecclesiastiche e dell’esercizio del potere papale, e contro altre categorie di nemici della Chiesa – a cui seguiva il lancio di una candela di cera gialla giù verso la piazza.
A questa suggestiva funzione ne seguiva un’altra ancor più suggestiva e tenera: la lavanda dei piedi a tredici ecclesiastici detti “apostoli”. Questa cerimonia si teneva anticamente in San Lorenzo ad Sancta Sanctorum, quindi in tempi posteriori in San Pietro o nella Sala Ducale. Per l’occasione le pareti venivano rivestite di damaschi rossi e di ricchi arazzi. Quello che fungeva da dossale del trono papale rappresentava la Provvidenza seduta su globo avente a destra la Giustizia, a sinistra la Carità e ai piedi due leoni reggenti entrambi un Vessillo di Santa Romana Chiesa. Un altro arazzo, riproducente l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, adornava il palco destinato ai tredici ecclesiastici per lo più indigenti. Tanti eruditi si sono interrogati su questo numero: chi vide nel tredicesimo la Maddalena, chi san Paolo, chi il padrone del Cenacolo, chi san Mattia, chi infine l’Angelo che prese posto alla mensa dei poveri imbandita da San Gregorio Magno.
Ad ogni modo, tornando al rito: il Papa assumeva l’amitto, il camice, il cingolo, la stola paonazza. il manto o piviale di raso rosso, il formale di argento e la mitra di lama d’argento. Portatosi al trono infondeva l’incenso e dava la benedizione al Cardinale diacono incaricato di cantare il Vangelo. Terminato il canto il Suddiacono Apostolico offriva il Vangelo al bacio del Pontefice che poi riceveva l’incensazione. Allora iniziava il canto dell’antifona Mandatum novum do vobis e il Papa, cinto di un grembiule merlettato, si portava a fare la lavanda. Il Supremo Gerarca, ad imitazione di Colui di cui faceva le veci in terra, si chinava a lavare e baciare i piedi di tredici poverelli. Compiuta la toccante cerimonia il Pontefice tornava al trono e, lavatosi le mani, concludeva il rito con le preghiere prescritte.
A questi tredici veniva anche offerta una cena, cui interveniva la stesso Pontefice in rocchetto e mozzetta. Anche ai Cardinali e al resto della Corte veniva imbandita una speciale mensa
Chiudeva la giornata liturgica il canto dell’Ufficio delle Tenebre cui il Pontefice interveniva con la cappa od il manto rosso.
Bibliografia di riferimento:
Gaetano Moroni, Le cappelle pontificie cardinalizie e prelatizie, Venezia, 1841.
Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B., Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Roma-Torino, 1933.