di Giuliano Zoroddu

Se apriamo il Messale Romano alla pagina che riporta il proprium missae di Pasqua troveremo la dicitura “Statio ad Sanctam Maria Maiorem”: in questa veneranda Basilica infatti, nei secoli antichi, il Papa offriva il divin sacrificio il mattino di Pasqua. Ciò conveniva al privilegio che ebbe la Vergine Santissima, lei che non andò a cercar tra i morti Colui che è vivo, di ricevere la prima apparizione del Risorto; ed inoltre alla vicinanza di quella chiesa con il Patriarchio del Laterano, dove il Sommo Pontefice aveva celebrato la solennissima Veglia.
Prima di iniziare la processione verso la Basilica stazionale presso l’oratorio di San Lorenzo, il Sancta Sanctorum, si svolgeva il rito, antichissimo già per San Girolamo, del Resurrexit davanti all’immagine acheropita del Salvatore, quando dopo aver adorato e baciato l’effigie il Pontefice si rivolgeva all’arcidiacono dicendo “Surrexit Dominus vere” e quello gli risponeva “Et apparuit Simoni“. A questo atto faceva seguito la cavalcata lungo l’attuale Via Merulana, che si fermava quando un notaio regonario faceva al Papa la solenne relazione: “In ecclesia sanctae Mariae in hac nocte baptizati sunt tot masculi et tot feminae”. Alla messa faceva seguito il pranzo presso il Triclinio di Leone III dove il Pontefice faceva ritorno a cavallo redimito del regnum (la tiara).
Lungo i secoli però, coll’affievolirsi della liturgia stazionale e con il progressivo concentrarsi delle cerimonie papali, soprattutto dopo il ritorno da Avignone, la funzione passò a San Pietro al netto della disposizione di Sisto V che aveva decretato doversi tenere la stazione al Laterano. A Santa Maria Maggiore rimase solo la solenne Cappella Cardinalizia per i secondi Vespri di Pasqua.
La solennità di questa Cappella Papale è altissima: si trattava di una delle pochissime occasioni in cui il Sommo Pontefice celebrava personalmente il Pontificale.
La sfarzosissima cerimonia aveva inizio nella Sala dei Paramenti dove il Papa, deposta la stola e la mozzetta bianche, assumeva la falda, il camice, il cingolo, la stola ed il manto col formale prezioso. A fargli corona i Cardinali, gli Arcivescovi e Vescovi assistenti al Soglio, gli Abati e gli altri prelati rivestiti dei sacri paramenti o degli abiti corali propri, secondo il loro ordine. Da qui il Pontefice si spostava nella Sala Ducale e si dava inizio alla processione, la lunga e variopinta teoria dei componenti della Corte Papale, chierici e laici, che precedeva e seguiva la sedia gestatoria ricoperta dal baldacchino su cui sedeva, incoronato, il Papa benedicente.
Alla porta principale della Basilica stava schierato il Capitolo Vaticano capeggiato da Vicario in mantelletta e dal Cardinale Arciprete con la cappa. Benedetto il Capitolo, il Pontefice faceva il suo ingresso nel tempio, magnificamente addobbato, accolto dal Tu es Petrus.
Fatta una breve sosta presso la Cappella del Santissimo Sacramento per l’adorazione del Venerabile, il corteo giunge presso l’altare della Confessione. I vari componenti della Cappella Papale prendevano il posto loro destinato negli scranni sistemati nello spazio fra l’abside, dove si innalza il trono papale, e la Confessione. Intanto il Pontefice, inginocchiato al faldistorio, si tratteneva per un po’ in orazione.
Quindi, accompagnato dai due Cardinali Diaconi, dal Prefetto delle Cerimonie Apostoliche e dai prelati deputati a reggere la falda; andava a sedersi su un trono elevato in cornu epistolae. Qui riceveva l’ubbidienza nell’ordine: dai Cardinali che baciavano la mano, coperta dall’aurifregio del manto; dai Patriarchi, dagli Arcivescovi e dai Vescovi assistenti che baciavano il ginocchio; dagli abati mitrati, dal Commendatore di Santo Spirito e dai Penitenzieri che baciavano il piede.
Concluso questo antichissimo rito, ripetizione dell’omaggio che più volte fu resto a Gesù Cristo mentre era su questa terra e che si ripeteva, sempre in suo onore, nella persona del suo Vicario, iniziava il canto dell’Ora di Terza.
Faceva seguito la vestizione del Papa per la messa. Il Cardinale Diacono del Vangelo gli porgeva nell’ordine: il succintorio, la prima mozzetta del fanone, la tonacella, la dalmatica, i guanti, la pianeta, al seconda mozzetta del fanone ed infine il pallio. Imposto quest’ultimo ornamento sulle spalle del Pontefice, il medesimo Cardinale assumeva il manipolo e s’avanzava il Cardinale Vescovo assistente per porre al dito del Papa l’anello e per presentargli la navicella dell’incenso da infondere nel turibolo sostenuto dal Decano dei votanti di Segnatura.
Ciò fatto, il Pontefice discendeva dal trono verso i piedi dell’altare. Ai suoi lati i due Cardinali Diaconi assistenti ed il Prefetto delle Cerimonie Apostoliche; lo precedevano il turiferario, i candelieri e la croce, il Diacono e Suddiacono Greci, il Suddiacono Apostolico di rito latino, il Cardinale Diacono del Vangelo ed il Cardinale Vescovo assistente; lo seguivano i prelati reggenti la falda e i Vescovi assistenti.
A questo punto avveniva anche un particolare rito: tre Cardinali Diaconi – rappresentanti i tre Re Magi, secondo l’interpretazione di Innocenzo III – si muovevano dai loro posti ed andavano verso il Papa e, fattagli profonda riverenza, erano ammessi a baciargli il volto ed il petto, significando i due baci le due nature di Gesù Cristo che disse “Se adunque tu stai per fare l’offerta all’altare, e ivi ti viene alla memoria, che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, posa lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ a riconciliarti prima col tuo fratello e poi ritorna a dare la tua offerta” (Matth. V, 22-23).
Il Pontefice col segno della croce dava quindi inizio alla messa secondo l’ordinario. Incensato l’altare veniva incensato egli stesso dal Cardinale Diacono ministrate che poi veniva ammesso al bacio della guancia e del petto; come pure i due Cardinali Diaconi assistenti. Conclusi questi atti, il Papa si portava al gran trono eretto presso l’altare della Cattedra e quindi la Cappella proseguiva secondo le consuete norme dei pontificali.
Peculiare del rito papale era la lettura dell’Epistola e del Vangelo in latino ed in greco per indicare che il Papa è Papa dei Latini come dei Greci e far risaltare l’unità della Chiesa. Tuttavia mentre al canto del Vangelo latino venivano portati sette candelieri, solo due restavano per il canto in greco, per significare il primato della Chiesa Latina sulla Chiesa Greca.
Al momento dell’Et incarnatus est il Cardinale Diacono ministrate ed il Suddiacono latino andavano a lavarsi le mani ed ascesi i gradini dell’altare, spiegavano sulla mensa una particolare sopratovaglia ornata d’oro; il Suddiacono, il Cardinale Diacono, il Sacrista ed il credenziere preparavano quindi le oblate per il sacrificio – degustando precauzionalmente l’acqua, il vino e l’ostia – e per la comunione, essendo stata fatta in precedenza la lavanda dei vasi sacri.
Concluso il Credo, il Papa deponeva i guanti, detti quindi il Dominus vobiscum e l’Oremus, si spostava all’altare per continuare la messa giusta l’ordinario. Poco prima del Prefazio due Cardinali Diaconi lasciavano il loro posto e andava a porsi ai lati dell’altare, per rappresentare i due angeli che facevano la guardia al Sepolcro del Signore.
Il Canone proseguiva senza particolarità, a parte gli squilli di tromba durante l’elevazione del Corpo e del Sangue che venivano mostrati a tutti i presenti. Al Per omnia saecula finale non si rispondeva Amen come al solito. Per alcuni si deve ad un fatto miracoloso occorso durante una messa pasquale di San Gregorio Magno, al quale risposero Amen gli Angeli; altri invece chiamano in causa l’autorità di Innocenzo III secondo cui, significando quell’Amen il pianto dei fedeli per la morte del Redentore, lo si omette nel giorno solenne della sua Resurrezione secondo la carne.
Data la pace al Cardinale Vescovo assistente e ai due Cardinali Diaconi, il Pontefice, previa genuflessione al Corpo ed al Sangue di Cristo, lascia l’altare: egli infatti si comunicava al trono: “Il Romano Pontefice – scriveva Innocenzo III – non fa la comunione dove spezza l’ostia, ma spezza l’ostia all’altare e si comunica al trono. Questo perché Cristo spezzò il pane in Emmaus davanti ai due discepoli, ma mangiò a Gerusalemme al cospetto degli Apostoli”[1]. Guglielmo Durando da parte sua si focalizzava più sulla posizione del Papa: egli faceva la comunione sull’alto trono per significare il suo primato su tutti i Cristiani. Altri ancora nello spostamento dall’altare al trono vedevano significati il Cenacolo ed il Calvario, luoghi dove rispettivamente Cristo istituì e celebrò il suo Sacrificio, quello stesso che si ripresenta in ogni messa.
Il Cardinale Diacono ministrante preparava intanto l’ostia consacrata per la comunione pontificia: la fermava sulla patena con l’asterisco, la ostendeva ai fedeli, infine la consegnava al Suddiacono inginocchiato. Questi si avviava verso il trono e una volta che vi era giunto, il Cardinale Diacono prendeva il calice, lo ostendeva ai fedeli e si avviava anch’egli al trono. Recitate le preghiere consueta il Papa consumava una metà dell’ostia – l’altra metà serviva per la comunione del Diacono e del Suddiacono- e, a mezzo della fistula, significante secondo alcuni quella canna su cui fu posta la spugna per abbeverare il Redentore moribondo, assumeva il Sangue. Assunta infine l’abluzione, dava la comunione di sua mano ai Cardinali Diaconi, che omaggiavano il papa col bacio dell’anello e della bocca, e ad altri dignitari.
Lavatesi per la quarta volta le mani, il Pontefice faceva ritorno all’altare dove cantava il Postcommunio ed impartiva la benedizione apostolica. Deponeva quindi il manipolo sull’altare e discende al faldistorio per inginocchiarsi e fare orazione. Ciò fatto, riprendeva la tiara e i guanti, e risaliva sulla sedia gestatoria. A questo punto riceveva dal Capitolo Vaticano una somma di danaro, il presbiterio, pro missa bene cantata. Alcuni membri del medesimo Capitolo presiedevano infine alla ostensione delle reliquie maggiori della Vera Croce, del Santo Volto e della Sacra Lancia.
Compiuto quest’ultimo suggestivo rito dalla particolare potenza, il corteo papale si muoveva verso la loggia centrale donde veniva impartita la benedizione Urbi et Orbi e pubblicata l’indulgenza plenaria.
Così a Roma veniva celebrata la Santa Pasqua sostanzialmente fino all’ultimo Concilio.
[1] Mysteriorum Evangelicae Legis et Sacramentis Eucharistiae Libri sex , lib. VI, cap. 9 PL 217, col. 911
Riferimenti bibliografici
Gaetano Moroni, Le cappelle pontificie cardinalizie e prelatizie, Venezia, 1841.
Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B., Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. IV. Il Battesimo nello Spirito e nel fuoco (La Sacra Liturgìa durante il ciclo Pasquale), Roma-Torino, 1930.
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