di Federico Franzin

Di attacco all’inviolabile segreto confessionale ne avevamo già parlato nel 2018 durante la fase di progettazione di una legge che nel frattempo nel 2019 è diventata esecutiva in Australia. Il percorso di tale legge nasce dalla sacrosanta lotta agli abusi su minori anche in ambito ecclesiale ma che nella pratica si contrappone ad una libera pratica sacramentale della comune vita cristiana. Come già è chiaro il tema di fondo è particolarmente penoso e ovviamente necessita di dure prese di posizione ma è altrettanto necessario uno sguardo lungimirante sugli obbiettivi remoti di una legge come quella promossa dal South Australia. E’ evidente che il disinteresse per un vincolo sacro come quello che lega il confessato e il confessore tradisce un astio e una insofferenza verso la chiesa che trascende la sacrosanta ricerca della verità in fatto di abusi. Questo perché l’aspetto sacro del confronto individuale con i propri peccati non è rispettato da una società che non ne riconosce il peso specifico. E certamente anche perché la malevolenza verso la chiesa porta ad una semplicistica forma di estensione della colpa di singoli su tutta la civiltà cristiana. Una attitudine questa che una volta rivolta ad altre culture o fedi verrebbe pubblicamente indicato come persecutoria. Questa presa di posizione attraverso una legge che viola il segreto confessionale è certamente condivisa con soddisfazione da larga parte della popolazione che quando non si accoda alla complottistica e ridicola vulgata dell’equazione chiesa e insabbiamento, si approccia in modo arido e superficiale alla questione dato che interrompere quel sacro canale di fiducia che pone in confessore come tramite per la redenzione delle anime, potrebbe poi vanificare anche ad una successiva spontanea volontà di affrontare le proprie colpe nell’ambito della giustizia terrena. Infatti il Mons. Mark Coleridge vescovo di Brisbane commenta la legge come ingiusta e soprattutto controproducente nella lotta agli abusi reali.

E’ invece il mons. Julian Porteous, vescovo di Hobart in Tasmania, il primo ad ad appellarsi ad un movimento episcopale di resistenza ad una legge oggettivamente rappresenta una penetrazione della legge temporale all’interno della dimensione sacramentale. La legge, come denunciato dalla conferenza episcopale australiana, è oggetto di standardizzazione in tutta la federazione e impedisce anche l’appellarsi al segreto confessionale una volta chiamati a testimoniare ad eventuali processi da parte di sacerdoti. Ovviamente non c’è modo di conciliare le posizioni dato che non possono esistere eccezioni al segreto confessionale: «Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o qualunque altro modo e per qualsiasi causa. È affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualsiasi pericolo di rivelazione» (can. 983-984). Ed ancora: «Il confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; chi poi lo fa solo indirettamente sia punito proporzionalmente alla gravità del delitto» (can. 1388). Una nota della penitenzieria apostolica di Luglio 2019 recita : «Il sacerdote viene a conoscenza dei peccati del penitente “non ut homo, sed ut Deus – Non come uomo, ma come Dio”, a tal punto che egli semplicemente “non sa” ciò che gli è stato detto in sede di confessione, perché non l’ha ascoltato in quanto uomo ma, appunto, in nome di Dio. Il confessore potrebbe, perciò, anche “giurare”, senza alcun pregiudizio per la propria coscienza, di “non sapere” quel che sa soltanto in quanto ministro di Dio. Per la sua peculiare natura, il Sigillo Sacramentale arriva a vincolare il confessore anche
“interiormente”, al punto che gli è proibito ricordare volontariamente la confessione ed egli è tenuto a sopprimere ogni involontario ricordo di essa».

E ancora : «La difesa del sigillo sacramentale e la santità della confessione non potranno mai costituire una qualche forma di connivenza col male, al contrario rappresentano l’unico vero antidoto al male che minaccia l’uomo ed il mondo intero; sono la reale possibilità di abbandonarsi all’amore di Dio, di lasciarsi convertire e trasformare da questo amore, imparando a corrispondervi concretamente nella propria vita. In presenza di peccati che integrano fattispecie di reato non è mai consentito porre al penitente, come condizione per l’assoluzione, l’obbligo di costituirsi alla giustizia civile, in forza del principio naturale, recepito in ogni ordinamento, secondo il quale “nemo tenetur se detegere”. Al contempo, però, appartiene alla “struttura” stessa del Sacramento della Riconciliazione, quale condizione per la sua validità, il sincero pentimento, insieme al fermo proposito di emendarsi e di non reiterare il male commesso».

La succitata nota arriva a commentare direttamente la situazione Australiana : «Ogni azione politica o iniziativa legislativa tesa a “forzare” l’inviolabilità del Sigillo Sacramentale costituirebbe un’inaccettabile offesa verso la libertas Ecclesiae, che non riceve la propria legittimazione dai singoli Stati, ma da Dio; costituirebbe altresì una violazione della libertà religiosa, giuridicamente fondante ogni altra libertà, compresa la libertà di coscienza dei singoli cittadini, sia penitenti sia confessori». Il problema è questo è un tema non più confinato alla sola Australia. Il Senato della California ha approvato lo scorso 24 maggio2019 la legge 360, con 30 voti a favore e 2 contrari. La legge chiede ai sacerdoti di riportare ogni sospetto o conoscenza di abusi ottenuti anche durante il sacramento della confessione. Anche in Sud America si è cominciato a ragionare su leggi a riguardo come in Cile o in Costa Rica. Dato il tema particolarmente penoso si è costretti a sottolineare ancora una volta che ovviamente l’obbiezione ad una legislatura che rende problematica la pratica della libertà religiosa non è affatto una forma di tolleranza verso esecrabili casi di abusi da parte del clero. il Cardinale Piacenza, penitenziere maggiore, sostenendo la linea della nota già citata sottolinea che “nessun compromesso è accettabile nel promuovere la tutela dei minori e delle persone vulnerabili e nel prevenire e contrastare ogni forma di abuso” A ben vedere anche lo stesso fatto di doverlo sottolineare pone in luce oltre ogni ragionevole dubbio come il fango di un individuo venga esteso sulla chiesa tutta e questo quando non è superficialità è soprattutto malevola volontà. Tempi bui.