di Massimo Micaletti

E’ del 6 aprile la notizia che, a causa della quarantena, Shandy Phelps, una donna dell’Oregon che si è prestata alla gravidanza su commissione partorirà un bimbo che i committenti non potranno ritirare[1]. Alcuni centri per l’utero in affitto degli USA hanno anticipato il parto anche di due mesi per permettere ai committenti di prelevare in tempo il prodotto del loro investimento ma il caso della Phelps è del tutto anomalo perché la coppia (la Phelps è sposata) ha deciso di tenere con sé il piccolo fin quando gli acquirenti non si presenteranno a prenderlo: questi ultimi, cinesi, per ringraziarla di tanta cura, le hanno consentito di scegliere il nome inglese del nascituro. Dei veri signori, non c’è che dire.
Più o meno problemi simili stanno affrontando i committenti britannici[2], le numerose coppie gay d’Albione che hanno ordinato un bambino negli USA e ai quali viene complicata la vita anche da fastidiosi aspetti burocratici tipo l’impossibilità di avviare l’iter affinché la donna che ha partorito il pargolo sia cancellata per via amministrativa onde il prodotto possa sorvolare serenamente l’Oceano e finire nelle braccia dei suoi due padri. Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, uno solo delle decine di operatori statunitensi che lucrano su questo business ha quindici bambini in attesa, nel senso che il parto è previsto per il primo maggio ma non sanno ancora se e quando gli acquirenti potranno mettere le mani su quanto richiesto[3]. Le agenzie che curano questo tipo di commercio si sono organizzate nel più vario dei modi per assicurare un servizio di qualità: alcune, come detto, hanno tentato di anticipare il parto per avere il bambino pronto prima dell’inizio dei divieti; altre stanno facendo in modo che i clienti trascorrano la quarantena fuori dagli USA per poi potervi accedere; altre ancora si sono adoperate affinché i piccoli, comunque separati dalle madri biologiche, vengano accuditi momentaneamente da balie, in attesa dei committenti. “Questi bambini non saranno abbandonati“, ha dichiarato il dott. Kim Bergman, fondatore di Growing Generations, un’agenzia per la gravidanza su commissione con dozzine di clienti internazionali che potrebbero essere colpiti dai divieti di viaggio nei prossimi mesi. “Abbiamo un esercito di ex madri surrogate che sono pronte e desiderose di agire come aiutanti e custodi per tutto il tempo necessario“. Meno male: basta pagare, che problema c’è?
Ora, sarcasmo a parte, il quadro che si presenta è di una desolazione spaventosa: un danaroso settore in cui i bambini sono trattati come oggetti da consegnare ai clienti in attesa nonostante i divieti, al punto da anticipare il parto o affidarli a soggetti terzi ma mai – salvo che nel caso della Phelps – alla madre biologica. Non sia mai. Al di là delle belle parole e degli eufemismi, siamo davanti a transazioni commerciali a tutti gli effetti, con clausole, prezzi, parcelle e precisi obblighi di custodia della merce. E poco importa, a quanto pare, che la merce siano neonati prodotti su richiesta, che non conosceranno mai la donna che li ha portati in grembo
[1] https://www.oregonlive.com/living/2020/04/the-surrogates-in-oregon-the-parents-are-in-china-and-the-baby-is-in-limbo.html
[2] https://www.theguardian.com/world/2020/mar/26/surrogacy-new-parents-stuck-in-us-amid-covid-19-shutdown
[3] https://www.nytimes.com/2020/04/01/parenting/coronavirus-adoption-surrogacy-foster-care.html
A sistemarci tutti, arriva, seppure non desiderato, questo bel virus, prodotto anch’esso della scelleraggine umana… Brave new world…