
di Massimo Micaletti
Il 13 maggio non c’è solo (“solo” si fa per dire) la ricorrenza di Fatima: si ricorda anche la canonizzazione di San Gabriele dell’Addolorata. Quest’anno, poi, l’evento è ancor più speciale perché è il centenario: Papa Benedetto XV, infatti, elevò agli altari San Gabriele – al secolo, Francesco Possenti – il 13 maggio del 1920.
Nato nel 1838 ad Assisi, figlio del reggente di quella cittadina, orfano di madre a soli quattro anni, Francesco entrò nei Passionisti nel 1856 a Morrovalle prendendo il nome, appunto, di Gabriele dell’Addolorata. Di carattere gioviale e attento, San Gabriele dedicò tutta la sua vita di frate alla devozione dei dolori di Maria. La semplicità e il totale dono di sé alla Vergine sono testimoniati dalle Risoluzioni, uno dei suoi scritti più noti, che consistono in un elenco di propositi per coltivare e rafforzare la vita spirituale. Muore a soli ventiquattro anni nel convento de Passionisti di Isola del Gran Sasso, in Abruzzo, dove si era trasferito per gli studi per il sacerdozio: non vi riuscirà mai sia perché gravemente malato sia perché gli anni tragici dell’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia videro il divieto di nomina di nuovi sacerdoti. Si spegne così un ragazzo gentile, un frate devoto e… un Santo.
Cosa insegna San Gabriele, nella sua vita normale, ritirata ma gioiosa? Una delle molte lezioni che il giovane Santo può darci possiamo apprenderla dalla vicenda dei suoi diari spirituali. Quando – dopo due anni di malattia e sofferenza – Gabriele sentì avvicinarsi la morte, chiese ai confratelli di distruggere quegli scritti, temendo che il demonio potesse usarli per farlo insuperbire e, simultaneamente, non ritenendoli cosa di valore: erano invece un vero tesoro e grazie a Dio non fu assecondato in questa richiesta. Si scoprì così che, col sorriso e senza darlo a vedere, egli praticava mortificazioni che rendevano più dura la già impegnativa regola dei Passionisti, ad esempio portando un cilicio con piccoli spilli; si scoprirono (o meglio, trovarono conferma) la profonda Fede in Dio e il suo completo affidamento a Maria Addolorata. San Gabriele insegna quindi a tutti noi – in particolare ai giovani, dei quali è patrono – che l’umiltà vissuta nella Fede è gioia feconda di Grazie: insegna che c’è un vincolo intimo, quasi connaturale, tra la vera Fede, la vera umiltà e la vera gioia dell’anima. Sovvengono le parole del Vangelo: “16E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.17Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 16-18).
Insegna inoltre, come tutti i grandi Santi, che non può esserci Fede cattolica senza devozione profonda a Maria. A chi lo rimproverava di essere quasi eccessivo in questo aspetto, egli rispondeva con semplicità e profondità: “Il Signore ha fatto grande la Madonna perché vuole che sia onorata. L’ha onorata tanto Lui, perché non onorarla noi? Con ciò diamo grande onore a Dio. Siamo dunque larghi con la Madonna, e la Madonna sarà larga con noi”. Il 27 febbraio 1862, spirando, salutò tutti i confratelli al suo capezzale e, chiesto il perdono, sussurrò, rivolto alla Madre Santissima: ”Maria, mamma mia, fa’ presto”.
La vera Fede, accompagnata dalla gioia, dall’umiltà e dall’amore per la Vergine, è un formidabile concorso di Grazia: infatti San Gabriele è stato potentissimo nei prodigi già prima della canonizzazione, a testimonianza della sua effettiva vicinanza a Dio. Nel 1892, in occasione della riesumazione della salma, inizia una serie di prodigi e guarigioni che continua fino ai giorni nostri, testimoniata dai numerosissimi ex voto presenti nel Santuario a lui dedicato, ad Isola del Gran Sasso. Forse non tutti sanno, ad esempio, che egli – ancora Venerabile, non ancora Santo – guarì miracolosamente Gemma Galgani, che sarebbe poi stata canonizzata anch’ella. Verso i vent’anni, Gemma accusò una serie impressionante di patologie: ascessi, dolori e deformazioni della spina dorsale, febbri, in tale gravità che nessun medico sapeva trovarne spiegazione né cura. Ella si raccomandò quindi a Gabriele dell’Addolorata, che sentiva già come suo protettore sebbene, appunto, non fosse ancora Santo e, sentendo ormai vicina la morte, iniziò una Novena per lui. A mezzanotte del 23 febbraio 1899, sentì un frusciare come di grani del Rosario: ai piedi del letto, vide San Gabriele che la invitava a continuare la Novena, promettendole che ogni sera si sarebbe recato al suo capezzale. Gemma Galgani seguì le indicazioni del Santo, che mantenne la promessa apparendole per pregare ogni sera: il 1° marzo 1899, al termine della novena, Gemma era completamente guarita. Ugualmente immediate e inspiegabili numerose altre guarigioni, soprattutto di giovani: si ricorda, tra le molte, la vicenda della ventenne Maria Mazzarelli, portata alle soglie della morte dalla tubercolosi e rapidissimamente risanata.