di Alfredo De Matteo
Uno dei problemi più seri dell’intero continente Europeo è, ormai già da diversi decenni, il progressivo ed inesorabile calo demografico. In Italia, per il quinto anno consecutivo i decessi hanno superato le nascite, tanto che nel 2019 si è registrato un saldo naturale negativo di 212.000 unità; il tasso di fecondità, 1.29 figli per donna, è largamente insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale che è di 2.1 figli per donna. Conseguenza diretta del calo delle nuove nascite è lo squilibrio demografico, dal momento che la popolazione non decresce in modo proporzionale secondo le varie fasce d’età: complice l’aumento della vita media, la consistenza numerica delle nuove generazioni tende a scendere mentre quella della popolazione anziana a salire. Lo squilibrio strutturale della popolazione italiana è arrivato ad un punto tale che già nel 2017 il numero dei nuovi nati è risultato inferiore a quello degli ottantenni. Secondo i dati Eurostat, sempre relativi all’anno 2017, l’Italia nei confronti degli altri paesi europei è in questa particolare classifica il fanalino di coda e c’è modo di ritenere che, ad oggi, le cose non siano cambiate in meglio, anzi …
Sulla base dei dati emersi dalle proiezioni socio demografiche sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050 elaborate dall’Istat per Italia Longeva, nel 2050 un terzo della popolazione italiana sarà costituita da ultra sessantacinquenni, mentre gli ultra ottantacinquenni saranno 4 milioni. Sempre secondo tali proiezioni nel giro di pochi anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave, nel 2030 saranno 4,5 milioni gli ultra sessantacinquenni che vivranno da soli e di questi 1,2 milioni avrà più di 85 anni. In sostanza, nel 2050 l’Italia diventerà un grande ospizio disorganizzato e le sue città degli ospedali a cielo aperto. Questa futuribile fotografia dell’Italia è stata scattata dall’Istat circa un anno fa, dunque prima dell’avvento del coronavirus. Qual è lo scenario demografico che si prospetta ora per i tempi a venire? E’ sempre l’Istat a fornirci validi elementi di riflessione: il presidente del noto istituto di ricerche, Gian Carlo Blangiardo, ha pubblicato un documento che contiene una serie di modelli che simulano i possibili effetti del Covid-19 (e delle misure attuate dal governo italiano) sul numero delle nascite. Secondo Blangiardo, tra le conseguenze della presunta pandemia ci saranno anche “talune rivoluzionarie trasformazioni imposte all’organizzazione sociale e familiare, nel cui ambito le stesse relazioni della vita di coppia e le scelte nella sfera affettiva e riproduttiva finiscono con risultare esposte al cambiamento”. Ma ad impattare negativamente sulla natalità saranno anche e soprattutto gli effetti legati alla condizione di paura ed incertezza e le difficoltà materiali, con particolare riferimento ad occupazione e reddito. Riguardo al primo fattore, per calcolare la sua effettiva incidenza gli analisti dell’Istat hanno preso in considerazione quanto successo a Chernobyl nell’aprile del 1996: dopo soli 10 mesi dall’esplosione nucleare si vide un calo del 10 percento delle nascite e il segno rimase negativo anche nei mesi successivi. Per calcolare invece l’effetto delle difficoltà materiali Blangiardo ha utilizzato modelli che simulano ipotetici aumenti del tasso di disoccupazione nei mesi a venire, con una oscillazione tra un minimo di 2,5 punti percentuali e un massimo di 20, e un graduale ritorno ai valori di febbraio 2020. Prendendo in considerazione gli effetti di paura ed incertezza e le difficoltà materiali, si ottiene uno scenario in cui, nel caso più sfavorevole, le nascite scenderanno a 426 mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi scivolare addirittura a 396 mila nel 2021.
Uno studio condotto presso l’università di Firenze da un team di esperti ginecologi e urologi su 1500 individui di età tra i 18 e i 46 anni, intervistati online tra il 23 e il 29 marzo, ha rilevato che più dell’ottanta percento del campione ha manifestato di essere contrario alla scelta di mettere al mondo dei figli e, cosa ancora più indicativa, delle 269 persone che stavano pianificando una gravidanza oltre un terzo ha dichiarato di aver abbandonato tale piano. Secondo Elisabetta Micelli, direttrice del Journal Obstetrics and Gynecology, su cui sono stati pubblicati i risultati dello studio, “L’impatto della quarantena sulla percezione degli individui della loro stabilità e serenità è allarmante”, mentre per lo psicanalista Giuseppe Maiolo “il lock-down è stata un’esperienza che ha messo a dura prova tutti, anche le coppie più collaudate” (con conseguente boom di divorzi, altro che baby boom …)
Per di più, in Italia si sta verificando una vera e propria ondata di nuovi pazienti con gravi disturbi mentali: è quanto emerge dalle rilevazioni effettuate dalla Società Italiana di Psichiatria, secondo cui trecentomila pazienti in più tra coloro che soffrono di ansia post-traumatica per il danno economico e l’incertezza per il futuro, svilupperanno disturbi psichici e faranno richiesta di aiuto ai servizi di salute mentale.
Insomma, le prospettive riguardo il futuro dell’Italia, e dell’intero continente europeo, sono tutt’altro che rosee. Del resto, l’emergenza sanitaria causata dal coronavirus è stata resa ancora più complicata da affrontare per via delle sciagurate politiche anti vita che sono state attuate in Italia negli ultimi decenni; politiche che hanno indebolito l’intero tessuto sociale ed in particolare il sistema sanitario nazionale. Come non considerare infatti le decine di milioni di morti provocati dall’aborto di stato negli ultimi 40 anni ed il conseguente spreco di risorse economiche e sociali che sono state utilizzate per finanziare tali delitti?
E’ presumibile ipotizzare che nel prossimo futuro si intensificheranno gli attacchi alla vita più fragile, con la scusa di una situazione demografica che potrebbe diventare molto presto oggettivamente insostenibile. Con molta probabilità saranno gli anziani ed i malati a pagare il prezzo più alto visto che verranno sempre di più considerati un peso per la società. D’altronde, già da diversi decenni le pratiche eutanasiche sono una triste realtà e l’Italia sembra avviata a mettersi “al passo” con gli altri paesi europei..
Anche se molti aspetti di questa presunta pandemia non sono affatto chiari, riteniamo evidente che essa, inserendosi in un contesto generale di grave indebolimento del tessuto sociale ed economico del paese, finirà per provocarne un ulteriore drammatica accelerazione.