Siamo nei tempi delle armi di distrazione di massa, si sa.
Tutti parlano del virus e delle sue conseguenze ma accadono fatti rilevanti, ingorati da stampa e opinione pubblica. Un mutismo e una sordità a dir poco sospetti.
Già ieri ne avevamo fatto cenno con l’articolo: Avete paura dell’app Immuni? Non guardate questo video.
I condizionali restano d’obbligo ma il caso pare allargarsi. Uno dei pochi quotidiani che tratta il tema è Il Riformista, il cui direttore Sansonetti scrive:
Muti al 100 per cento. È un ordine di scuderia. Non ci sarebbe niente di male. Le intercettazioni che toccano i più importanti giornalisti dei più importanti giornali italiani, messe a disposizione degli stessi giornali dalla Procura di Perugia che indaga sul caso Palamara, sono pure e semplici intercettazioni e non dimostrano che esista alcun reato da parte dei giornalisti. Sono intercettazioni infami, come sempre lo sono le intercettazioni. Dunque, a rigor di logica, perché bisognerebbe pubblicarle? Per una sola, piccolissima, ragione. Perché i giornalisti che stavolta sono stati intercettati sono esattamente gli stessi che di solito pubblicano paginate intere di intercettazioni, generalmente ai politici o ai loro amici o familiari, sebbene queste intercettazioni non contengano nessuna notizia di reato. Spesso, anzi, pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati, o per ottenere qualche aiuto nell’inchiesta o, più semplicemente, per iniziare a punire non essendo sicuri di poter poi ottenere la condanna, visto che le prove latitano.
Nel suo articolo Sansonetti, giustamente non fa nomi, ma parla di
intercettazioni che riguardano le principali firme di giudiziaria (e non solo di giudiziaria) del Corriere della Sera e di Repubblica e della Stampa e di svariati altri giornali. Sono tutte intercettazioni che son state prese con i trojan sul cellulare dell’ex procuratore aggiunto di Roma Luca Palamara.
Ma c’è di più:
C’è una giornalista che dice a Palamara che se l’avesse saputo prima (non ha importanza cosa) l’articolo lo avrebbe scritto lei e in un altro modo. Viene avanzata, da parte di Palamara, l’ipotesi che un altro importante giornalista sia legato ai servizi segreti. Che certo non è un delitto, però dal punto di vista dell’etica giornalistica, se fosse vero, sarebbe una gran brutta cosa.
[…] Poi c’è addirittura un lungo colloquio tra Palamara e il vicepresidente del Csm dell’epoca nel quale si discute di come sia possibile influenzare Repubblica, se è meglio farlo attraverso pressioni sulla cronista di giudiziaria o sul caporedattore, e il vicepresidente del Csm si offre per parlare con Repubblica ad alto livello, e si discute della necessità di una “azione di orientamento” e si dice quale linea deve passare all’interno di quel giornale.
Insomma: tutto normale.
Torniamo pure a parlare d’altro.