Il Carroccio durante la sfilata del Palio di Legnano, Unknown author / CC BY-SA

Volentieri offriamo ai lettori, dalla Storia d’Italia di San Giovanni Bosco, un estratto sulla curiosa vicenda del “Carroccio”, il contesto è quello della guerra col Barbarossa:


[…] Ridotta la città di Crema ad un mucchio di rovine, i soldati di Barbarossa si portarono di nuovo intorno a Milano, volendo costringerla ad arrendersi per fame. Perciò, oltre all’avere distrutti i raccolti delle campagne circostanti, quei barbari tagliavano le mani ai contadini che tentavano introdurre grani o frutta in città. Non minore era l’orrore dell’interno della città; nelle strade, nelle piazze si vedevano persone e bestie morte di fame, da cui solo campava chi sapeva procurarsi coll’astuzia o colla violenza qualche cibo grossolano.

Il popolo, ridotto alla disperazione, ricusava di obbedire ai magistrati, e chiedeva ad alta voce che si dovesse consegnare la città; i consoli invece esortavano i cittadini alla difesa, dipingendo loro la vendetta che farebbe un imperatore offeso ed implacabile. Fu inutile ogni consiglio: la plebaglia scorgendo vana ogni resistenza, si ammutinò e minacciava la vita dei consoli, se persistevano nella difesa. Allora fu risoluto di sottomettersi a Federico.

Era il dì 7 marzo 1162; i Milanesi si avviavano a Lodi per giurare di essere fedeli all’imperatore; la gente camminava divisa in turbe, in base a come erano divisi i quartieri della città. Gli uni seguivano gli altri in silenzio, ed in mezzo di essi conducevano il CARROCCIO.

Era il Carroccio un carro sacro a somiglianza dell’arca degli Ebrei, che un vescovo di Milano di nome Ariberto nel 1039 aveva inventato affinché servisse di centro di riunione, e tenesse in ordine la milizia, specialmente in tempo di guerra. Il carro era pesante e tirato da buoi coperti di gualdrappe, sulle quali vedevasi dipinto o intessuto lo stemma della città. Era sormontato da un’antenna, che aveva sulla cima un pomo dorato con due stendardi, sicché potevasi vedere da tutto un esercito; nel mezzo era l’immagine del Crocifisso. Nell’alto di quel carro sedeva un trombettiere, che dava il segno dell’assalto, della ritirata o di altro. Uno stuolo dei più forti soldati stava attorno al Carroccio per fargli la guardia: ogni guerriero riponeva il suo onore e la sua salvezza nel Carroccio. Nelle mosse e sul campo di battaglia il Carroccio era in mezzo alle file dei combattenti e si diceva che l’onore era salvo, se il Carroccio non cadeva nelle mani dei nemici.

Giunto pertanto il sacro Carro dei Milanesi dinanzi a Federico, le trombe suonarono per l’ultima volta, la bandiera si chinò innanzi al trono imperiale e il Carroccio con novantaquattro stendardi fu consegnato al vincitore: tutta la moltitudine prostrata chiedeva misericordia.

Il conte di Biandrate, uno dei signori Italiani della corte di Federico, tutto amore pei suoi concittadini, colla speranza di calmare lo sdegno di quel monarca, prese in mano un crocifisso, fecesi avanti, e inginocchiato sui gradini del trono, in nome di Dio pregò l’imperatore di avere compassione di quella città e dei suoi cittadini. Tutti erano commossi fino alle lagrime; Federico nulla rispose, e senza dar segno di commozione ricevé il giuramento di fedeltà, scelse quattrocento ostaggi, poi comandò al popolo di ritornare a Milano e di atterrarne le porte e le fortificazioni. […]

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