Tra i cuoriosissimi affreschi biografici dipinti da San Giovanni Bosco nella sua Storia d’Italia c’è quello del cardinale Giuseppe Mezzofanti, figura straordinaria e – purtroppo – quasi dimenticata. La offriamo volentieri ai lettori:


Il cardinale Giuseppe Mezzofanti

(Nato nel 1774, morto nel 1849)

Bologna, miei cari giovani, è una delle principali città dell’Italia. Tra molti uomini illustri che in essa ebbero i natali, fu il celebre cardinale Mezzofanti. Egli apparteneva ad una famiglia poco agiata: suo padre era maravigliato dei progressi che il figliuolo faceva nelle scienze, tuttavia voleva fargli tralasciare gli studi per dedicarlo ad una carriera che gli porgesse più pronto guadagno. Ma alcune pie persone, eccitate dall’ingegno e dalla buona condotta del giovine Giuseppe, si presero cura di lui, sicché egli poté continuare i suoi studii e giungere al sacerdozio. Metteva sua delizia nel fare catechismi, udire le confessioni nelle prigioni e negli ospedali, predicare ed insegnare le scienze. Sebbene fornito di grande ingegno e di rara virtù, nulladimeno la sua modestia e ritiratezza lo rendevano quasi sconosciuto. Il curioso incidente, che sono per raccontarvi, cominciò a far conoscere chi egli fosse.

Quando i Francesi invasero l’Italia, stabilirono un grande ospedale in Bologna, dove erano portati infermi e feriti di tutte le nazioni. Ora ciascuno di questi stranieri era maravigliato che in paesi cotanto lontani dalla patria vi fossero sacerdoti che parlassero il loro linguaggio nativo. Avvenne un giorno che un Tedesco diceva: Ho trovato un sacerdote che parla ottimamente la mia linguaIo pure, soggiunse un Boemo, ne trovai un altro che sembra nato e vissuto in BoemiaIo ho trovato un altro che parla a perfezione l’unghereseEd io ho ragionato assai con un tale che parla per eccellenza lo slavo ed il polacco. Altri e poi altri andavano esprimendo la loro ammirazione di aver trovato chi parlasse la lingua del proprio paese. Ma quale non fu la loro sorpresa quando conobbero che ognuno aveva parlato colla medesima persona? E che un uomo solo conosceva tutti quei diversi linguaggi? Quell’uomo era il sacerdote Mezzofanti.

Sparsasi la notizia di questo fatto, ognuno desiderava di conoscere personalmente quel prodigio dell’umano ingegno. Lo stesso Napoleone volle vederlo e dopo di essersi con piacere trattenuto a ragionare con lui, pieno di stupore esclamò: Peccato che costui sia un prete! Volendo significare che egli l’avrebbe destinato a qualche importante carica civile. Ma Dio lo chiamava ad una delle più sublimi dignità della Chiesa, quale è quella di cardinale.

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Molti personaggi attirati dalla fama ognor crescente del Mezzofanti andavano di lontano a Bologna per fargli visita. Fra gli altri fu visitato dal celebre astronomo Zacco e dal letterato Lord Byron. Il primo si pose a parlare ora tedesco ora sassone e nel discorso frammischiò qualche parola valacca. Il Mezzofanti continuò subito il discorso in quest’idioma. Tutti rimasero maravigliati ed il sapiente astronomo dovette darsi per vinto, non sapendo di codesta lingua se non le parole che gli aveva indirizzato. «Io era in viaggio per andare a vedere una maraviglia nel cielo, disse dipoi il nobile straniero, che si recava a Genova per osservare un eclissi annulare del sole nel 1824 ed un fenomeno mi presentò la terra non meno stupendo nella persona del sapiente professore di Bologna».

È bene per altro di notare che il Mezzofanti, anche fornito di prodigioso ingegno, non cessava dal coltivarlo con tutte le sue forze. La sua vita era costantemente regolare: non usciva mai di casa, se non per andare alla chiesa o alla sua cattedra di professore di lingua o per qualche opera di carità. Le sue passeggiate per lo più erano dalla camera di studio alla biblioteca. La sua frugalità era tale, che per accennare un uomo veramente temperante dicevasi: Costui ha il vitto di Mezzofanti. Era indifferente ai cibi che gli venivano posti innanzi: dormiva non più di cinque ore; studiava regolarmente da quattordici a quindici ore al giorno. La sua conversazione era edificante ma piacevole assai e le sue parole erano piene di gaiezza. La fama della scienza e delle rare sue virtù giunse a notizia del Sommo Pontefice che lo chiamò a Roma. In quella gran capitale egli percorse i vari gradi di prelatura e finalmente nel 12 febbraio 1838 Gregorio XVI lo innalzava alla dignità di cardinale di santa Chiesa. Così aprivasi più vasto campo alla scienza e alla carità del Mezzofanti.

Poco prima d’innalzarlo al cardinalato il Sommo Pontefice per fare una prova di quel maraviglioso ingegno apparecchiò una bellissima scena nei giardini del Vaticano. Fece nascondere nelle vie tortuose di quelli e dietro ai boschetti, che li abbelliscono, un certo numero di alunni del Collegio di Propaganda. In questo collegio sono raccolti giovani di ogni nazione, che vengono istruiti ed avviati allo stato ecclesiastico affinché possano poi portare la luce del Vangelo ai loro compatrioti. Giunta intanto l’ora in cui il Pontefice soleva recarsi al passeggio, si fece accompagnare dal prodigioso linguista. Dato il segno convenuto, questi alunni uscirono e corsero in gruppo ad inginocchiarsi avanti al Papa e tosto rialzandosi diressero il discorso tutti in una volta nei loro diversi idiomi al Mezzofanti con tale abbondanza di parole e su materie tanto diverse, che chiunque si sarebbe smarrito. Ma il Mezzofanti con egual prontezza e abilità rispose a ciascuno degli interlocutori con tanto brio ed eleganza che li lasciò tutti pieni di ammirazione. L’animo del Pontefice fu colmo di gioia e volse su di lui uno sguardo di compiacenza, sorridendo per maraviglia di una memoria sì vasta, sì pronta e sicura, cui la sorpresa più inaspettata non valse ad abbattere.

Dalla creazione del mondo fino a noi non fu mai e forse non sarà uomo che a lui si possa paragonare per scienza di lingue. Si dice che Mitridate, antico re del Ponto, sapesse venti lingue. Molte lingue pure sapeva Pico della Mirandola. Ma questi che pel passato erano giudicati prodigi dell’umano sapere sono poca cosa in paragone del Mezzofanti. Egli giunse a parlare scrivere e ad insegnare in settantotto linguaggi uno diverso dall’altro, che è quanto dire che egli conosceva tutti i linguaggi del mondo: Né già pensatevi, giovani miei, che il Mezzofanti fosse a guisa di un gran vocabolario nella cui mente si contenessero nude parole spoglie di dottrina. Perciocché egli conosceva l’origine delle lingue, i costumi, la storia, le tradizioni, il commercio delle nazioni che parlavano questi o quegli altri linguaggi. Queste lingue parlava, insegnava, scriveva in prosa ed in poesia. Era poi ameno spettacolo quando visitava in Roma il Collegio di Propaganda. Senza confondere i vocaboli di una nazione con quelli dell’altra, egli indirizzava il discorso ora all’uno, ora all’altro; ora parlava greco, ora egizio; qua persiano, colà indiano; indi cinese, poi inglese, russo, americano, poi albanese, poi arabo, poi prussiano, slavo, turco e quel che è più, passava da un linguaggio ad un altro senza confondere né la pronuncia, né le parole, né il senso delle medesime. Ma la nostra maraviglia cresce assai qualora si consideri che oltre alle lingue conosceva i dialetti che alle medesime si riferiscono. Per esempio, quando diciamo che il Mezzofanti sapeva l’italiano, vogliamo dire, che conosceva i vari dialetti che ad esso hanno relazione. Quindi sotto al nome di lingua italiana s’intende che sapeva il piemontese, il genovese, il milanese, il veneziano, il napolitano, il siciliano, il sardo e questi differenti dialetti parlava con tale prontezza che sembrava essere nato e vissuto in ciascheduno di questi paesi. Laonde fatto calcolo dei principali dialetti che sono annessi alle lingue principali che sapeva, possiamo dire, che il Mezzofanti conosceva, scriveva e parlava oltre trecento linguaggi diversi. Più volte fu interrogato come mai avesse potuto giungere ad arricchire la mente di tanto estese e di tanto varie cognizioni, ed egli con ‘semplicità soleva rispondere[i]: «Io sono d’avviso che Iddio siasi compiaciuto di concedermi sì gran dono, perché io nel richiesi non per la vana e meschina gloria mondana, ma per la salute delle anime. Essendo sacerdote in Bologna mia patria in tempo di guerra, io visitava gli spedali militari e trovandovi infermi ungheresi e slavoni e tedeschi e boemi, e non potendoli confessare, e quel che è più non potendo ragionare e condurre i protestanti al seno della Chiesa Cattolica, mi sentiva straziare il cuore. Per la qual cosa essendomi dato con sommo ardore allo studio di quelle lingue, mi venne fatto di poterne imparare tanto quanto bastasse a farmi intendere. Non volli altro. Cominciai ad avvolgermi fra i letti degl’infermi e gli uni confessando e cogli altri conversando, venni di giorno in giorno accrescendo il mio vocabolarietto, sicché di mano in mano, aiutandomi Iddio, lo accrebbi in guisa, che alla lingua nobile aggiunsi i dialetti particolari delle varie provincie. Ad ogni forestiere, che per caso capitasse a Bologna, gli albergatori davansi premura di rendermi avvisato ed io accorreva e ragionava con essi interrogando, notando, esercitandomi nelle varie loro lingue. Certi dotti personaggi spagnuoli, portoghesi, messicani, che erano di stanza in Bologna, oltre alle scienze sacre, mi avevano insegnato altresì il greco, l’ebraico, il caldeo, il samaritano e le loro lingue natie. Poscia quante grammatiche venivanmi alle mani io dava opera di mettermele in mente. Che se a gentiluomo fosse accaduto di passare a Bologna, io nol lasciava senza che ne afferrassi dizioni e modi propri e singolari di suo linguaggio e massimamente delle pronunzie, per cui Dio mi concesse organi flessibilissimi e lingua speditissima». Fin qui il dotto proporato in familiari colloqui coi suoi amici.

Tuttavia chi lo crederebbe? Fra i tanti motivi che aveva di far pompa dello straordinario suo ingegno si tenne nascosto quanto gli fu possibile. Neppur si poté mai indurre a scrivere qualche cosa attorno alle lingue e a manifestare i segreti rapporti e le misteriose collegazioni che ei solo poteva determinare con amplissima luce. Tuttavia invitato ripetute volte a lasciare almeno qualche memoria intorno alla chiave misteriosa che gli aveva aperta la via a quella straordinaria cognizione di lingue, promise di farlo con una tessera comparativa, che è una specie di grammatica con cui spiegare le radici delle lingue primitive da cui derivarono e si diramarono di poi tutte le altre. Questo lavoro tanto desiderato credevasi smarrito, ma ora sappiamo che fu conservato, e si spera che fra breve uscirà alla luce. Così sarà appagata l’aspettazione dei dotti e di tutti quelli che amano i progressi delle scienze.

Quando Pio IX per le calamità de’ tempi dovette allontanarsi da’ suoi Stati, il Mezzofanti rimase in Roma. Consumato dalla età e dalle fatiche, in mezzo ai conforti di quella religione che aveva con zelo professata, terminava i suoi giorni il 15 marzo 1849 quando il Romano Pontefice era esule a Gaeta. Fu sepolto nella chiesa di S. Onofrio e sulla sua tomba fu posta una iscrizione latina che in nostra favella si può tradurre così: «Qui giace il Cardinale Mezzofanti per fama notissimo a tutti i dotti, memorabile per l’innocenza de’ suoi costumi e per la sua pietà, affatto singolare per la sua erudizione e per la sua cognizione di tutti gl’idiomi antichi e moderni».

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[i] Vedi Civiltà Cattolica, anno II, vol. VII

Dello stesso Autore: I Papi da San Pietro a Pio IX. Esempi e sintesi di fatti storici