La festa del Corpus Domini fu istituita da Urbano IV con la bolla “Transiturus” data ad Orvieto l’11 agosto 1264. Divenne molto presto una delle feste più iconiche del cattolicesimo latino, soprattutto per le processioni che si iniziarono a celebrare per onorare il Santissimo Sacramento, processioni tanto imponenti e devote da esser definite dal Concilio di Trento come l’immagine della Verità trionfante dell’eresia. Ovviamente la processione si svolgeva anche presso la Corte Papale. Vediamo come, riprendendo la descrizione storica che ne fece il Moroni. (a cura di Giuliano Zoroddu)

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In quanto all’istituzione della processione, alcuni pretendono con Panvinio che Urbano IV abbia colla festa istituita parimenti la processione, che in tal giorno si suol fare; altri l’attribuiscono a Giovanni XXII nel 1316, non avendo Urbano IV parlato nella sua bolla Transiturus di processione, ma della festa solamente, su di che è a vedersi il Ferrari, verbo Festa num. 61. Tuttavia alcuni sono di parere che incominciasse colla festa medesima il portarsi in giro il ss. Sacramento dentro l’ostensorio, cui mai sempre ebbero ad onor grande di accompagnare colla maggior pompa possibile oltre il clero, gl’imperatori, i re, i magnati e i pubblici magistrati, cantando inni e cantici sacri e portando ceri e doppieri accesi. In progresso di tempo accrebbesi meravigliosamente per lo splendore e il decoro che ovunque e per tutta la Chiesa universale si propagò.
In Roma poi testifica il Bonanni, Numismata Pontificum, tom. II, pag 665, non sempre i Papi portarono in processione il Santissimo col medesimo rito, com’egli osservò nei Diarii de maestri di cerimonie, né nello stesso luogo, né circoscritto nello stesso cammino.
Nicolò V Parentucelli fu il primo Papa, per testimonianza del citato Stefano Infessura, presso il Muratori, Rer. Ital., tom III par. I pag. 1131, ad introdurre l’uso di portare il ss. Sacramento nella solenne processione del Corpus Domini, portandolo accompagnato da Cardinali, arcivescovi, vescovi e da tutto il clero delle chiese di Roma agli 8 giugno del 1447, primo anno del suo Pontificato, a piedi da s. Pietro fino a porta Castello, una delle sette porte chiuse di Roma che prese il nome dal vicino Castel s. Angelo.
Prima solea farsi tal funzione dalla basilica lateranense, siccome cattedrale del Romano Pontefice, fino alla chiesa di s. Clemente e infatti nel 1448 tanto praticò lo stesso Nicolò V, portando il Venerabile dalla detta basilica a s. Clemente e ritornando a s. Giovanni, il che si legge anche nella sua vita scritta dal Giorgi. Soggiunge l’Infessura che ciò avvenne a’ 23 di maggio e che la sera il Papa ti tornò a cavallo al palazzo Vaticano passando per la regione di Trastevere.
S’ignora precisamente quando venisse stabilito di fare la processione nella basilica di s. Pietro. Certo è che Sisto V colla bolla Egregia dei 23 febbraio 1586, regolando le Cappelle e Pontificie funzioni, prescrisse che quest’augusta processione dalla Cappella Sistina avesse termine nella basilica vaticana.
Sul modo poi col quale i Papi portarono il Santissimo non riuscirà superfluo che qui si riportino diversi esempi. Nel 1486 Innocenzo VIII lo portò in sedia colla mitra in capo nel 1496 Alessandro VI nello stesso modo. sebbene il Burcardo attribuisce il rito di portarlo in sedia gestatoria al secondo e per la prima volta nel 1494. Nel 1504 colla mitra in testa e in sedia gestatoria lo portò Giulio II; nel 1513 Leone X, sedendo col capo scoperto, ma nel 1518 sedendo colla mitra preziosa in capo, ritenendo che fosse più conveniente l’usare la mitra mentre andava in sedia; Clemente VII nel 1532 lo portò a piedi col solo berrettino bianco in testa; Paolo III nel 1535 sedendo colla mitra; Pio IV nel 1560 sedendo col triregno in capo; s. Pio V nel 1566 a piedi col triregno e, lasciando questo, andò col berrettino; Gregorio XIII nel 1572 lo portò eziandio a piedi e col berrettino, ma dopo la congregazione da lui istituita per la riforma delle cerimonie della Cappella Pontificia, giudicò essere più decente che in questa funzione il Pontefice portasse il ss. Sacramento in sedia colla mitra, secondo l’uso introdotto da Alessandro VI ed è perciò ch’egli in tal modo lo portò nel 1573; Sisto V nel 1585 lo portò a piedi col capo scoperto; Gregorio XIV nel 1590 in sedia colla mitra, e nello stesso modo lo portò Innocenzo IX nel 1591; Clemente VIII nel 1592 andò a piedi col capo scoperto, come nel 1605 fece Paolo V, il quale poi nel 1615 andò in sedia col capo scoperto e nel 1616 colla mitra preziosa. Lo stesso praticò Gregorio XV nel 1621; Urbano VIII nel 1631 andò a piedi colla testa scoperta e nel 1639 in sedia colla mitra, siccome fu imitato nel 1645 da Innocenzo X.

Il talamo
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Un altro uso introdusse in questa medesima funzione Alessandro VII Chigi, il quale non potendo nel primo anno del suo pontificato fare il giro della processione a piedi per l’incomodo rimastogli del taglio sofferto per l’estrazione della pietra mentre era nunzio in Colonia, né volendo andare come i suoi predecessori assiso nella sedia gestatoria, col disegno del Bernini fece fare una macchina chiamata Talamo sulla quale dovesse portare genuflesso il Santissimo, come apparisce da una sua medaglia riportata dal Molinet, Histor. Summ. Pont. per Numismata, pag 139, Lutetiae, 1679, dal Bonanni, Numismata Pontif., tom. II, n. 26 e dal Venuti, Numismata Rom. Pontif., pag. 271, col motto Procedamus et adoremus in Spiritu et veritate; non che dal vero disegno di detta macchina pubblicato in rame da Carlo Ceci nel 1655.
La macchina antica era formata a guisa d un genuflessorio, tutta dorata con vaghi intagli e teste di serafini, venendo elevata per mezzo di due stanghe foderate di velluto rosso dai palafrenieri Pontificii. A’ piedi eravi uno sgabello fatto a guisa di faldistorio con cuscino ricamato d’oro, co’ fiocchi e fregi simili, sul quale il Papa posava le braccia. In mezzo poi della macchina eravi un perno con piedistallo di legno dorato per collocarsi la palla forata in cui fissare l’ostensorio che il Papa dovea tenere colle mani stando genuflesso. Intorno ai suoi piedi eravi un riparo di velluto rosso pieno di crine, affinché non potessero scorrere ed un cingolo, ossia fascia, per sostenere la persona, perché non facesse tutta la forza colle ginocchia restando a quella appoggiata. Poco diverso è il talamo o macchina che si usa oggidì, non essendovi sul ripiano il genuflessorio ma un tavolinetto giratore col perno per istabilirvi l’ostensorio, avendo innanzi una sedia e fatta in modo che ponendovisi a sedere il Pontefice ed accostandosi al tavolino viene questo fermato con sicurezza. E siccome il Papa suole usare un gran manto o piviale bianco, l’amplissimo suo paludamento fa figurare il Pontefice come stesse genuflesso, mentre già diversi Pontefici hanno adottato il rito di portare il ss. Sacramento sedendo come poi si dirà.

Giovanni Maria Morandi, Alessandro VII Chigi alla processione del Corpus Domini del 27 maggio 1655, Musée des Beaux-Arts, Nancy (da qui)

Nel 1655 Alessandro VII portò il Venerabile genuflesso sul talamo col capo scoperto, ma non abolì l’uso di portarlo in sedia gestatoria come erroneamente credette il citato Molinet, pag. 818, né ordinò che per l’avvenire lo portasse il Pontefice genuflesso. Quindi Clemente IX nel 1668 lo portò come Alessandro VII ed altrettanto fecero Clemente X nel 1670 ed Innocenzo XI nel 1677, il quale però nel 1680 andò in sedia colla mitra in capo. Innocenzo XII nel 1691 portò il Santissimo in sedia col berrettino; Clemente XI nel 1701 a piedi col capo scoperto e nel 1706 genuflesso sul talamo col capo scoperto, come pur fece Innocenzo XIII nel 1721. Benedetto XIII Io portò a piedi col capo scoperto, ma dopo di lui Clemente XII nel 1730, Benedetto XIV nel 1740, Clemente XIV del 1769 e Pio VI del 1775, tutti lo portarono genuflessi nel talamo e scoperti. Pio VII creato nel 1800 lo portò egualmente col capo scoperto ed inginocchioni sul talamo, ma dopo il 1816 lo portò sedendo e col capo scoperto, il qual modo fu adottato nel 1824 da Leone XII, nel 1829 da Pio VIII e nel 1832 dal regnante Pontefice Gregorio XVI giacché nel 1831 i non intervenne alla processione.

(Gaetano Moroni, Le cappelle pontificie cardinalizie e prelatizie, Venezia, 1841, pp. 281-284)