di Luca Fumagalli
Per le lande culturali dell’Inghilterra d’inizio Novecento si aggirava uno strano animale, un esemplare unico, degno di un bestiario medievale. La mole era notevole e l’aspetto, nel complesso, decisamente poco attraente. Non senza una nota d’ironia, George Bernard Shaw aveva ribattezzato questo ircocervo della carta stampata “Chesterbelloc”, fondendo in un’unica etichetta grottesca i nomi dei due uomini che lo componevano, amici fraterni e intellettuali cattolici di primissimo ordine: G. K. Chesterton e Hilaire Belloc.
Se Chesterton gode di ampia notorietà, non così Belloc (1870-1953) che continua a rimanere nell’ombra, colpevolmente confinato nel ruolo di eterno gregario. Eppure questi, oltre a essere stato giornalista e polemista, fu uno scrittore di vaglia, straordinariamente prolifico, che si cimentò nei generi più disparati. Con Chesterton condivise un certo gusto per l’anticonformismo e il desiderio di fare della cultura un’arma a sostegno della verità di Cristo e della sua Chiesa. Amante dei fatti più che delle parole, anche sul scivoloso terreno politico si spese lungamente per sostenere i diritti degli ultimi e degli oppressi. A lui si deve inoltre la prima teorizzazione del cosiddetto “distributismo”, un movimento che ambì – purtroppo senza successo – a creare un modello economico alternativo al capitalismo e al comunismo.
Tuttavia i più grandi meriti di Belloc risiedono forse nel campo dell’indagine storica. Nella Gran Bretagna della prima metà del XX secolo fu infatti lo storico più rilevante – e pugnace – in campo cattolico, distinguendosi per la pubblicazione di una mole impressionante di saggi, quasi tutti vivaci ritratti dei protagonisti e degli eventi fondamentali dell’epoca moderna. L’esito è un’ingegnosa lettura della storia, a tratti esaltante, che, per quanto non priva di occasionali imprecisioni, punta a provocare il lettore, sfidando ogni trito luogo comune.
Tra i suoi primi lavori spicca per qualità La rivoluzione francese (The French Revolution) del 1911. Per ammissione dello stesso Belloc, il volume si configura più come una storia delle idee piuttosto che un racconto degli eventi. A suo parere la teoria politica della Rivoluzione, diretta debitrice delle idee di Rousseau e della “Dichiarazione d’indipendenza americana”, contiene diversi spunti interessanti. Certamente pecca del grave limite di non riconoscere Dio come fonte di ogni potere, ma alcune intuizioni, quali l’uguaglianza innanzi alla legge e un ripensamento globale del concetto di giustizia, sono apprezzabilissime anche da parte cattolica. D’altronde i dissensi tra i rivoluzionari e il clero francese iniziarono solo in un secondo momento, quando le guerre con le potenze europee costrinsero i primi a trovare uno spauracchio di comodo su cui sfogare le proprie frustrazioni: venne scelta la Chiesa solo perché questa era così mondanizzata e preda dei deliri gallicani da risultare agli occhi dei più ormai indistinguibile dall’odiata aristocrazia. Non per questo Belloc tace dei massacri di Vandea compiuti in nome di un falso concetto di libertà, dei numerosi martiri trucidati in odio alla Fede e di quanti si opposero, compreso il Papa, alla barbarie rivoluzionaria.
Del 1922 è invece Gli Ebrei (The Jews), un libretto, tra lo storico e il politico, che affronta la spinosa “questione ebraica” dal punto di vista cattolico, senza perciò scadere nel razzismo. Come trovare una soluzione che garantisca la pacifica convivenza tra ebrei ed europei, due popoli radicalmente diversi? Esclusa la via sionista – non solo inapplicabile ma anche possibile causa di futuri scontri in Medio Oriente – Belloc propone la creazione di una legislazione speciale per salvaguardare l’incolumità fisica e culturale della minoranza. Tale processo di “riconoscimento” sarebbe la sola opzione percorribile tra la noncuranza dei liberali e l’odio ottuso degli antisemiti.
Cromwell il dittatore (Oliver Cromwell), del 1927, più che un classico libro storico, è un affondo nella psicologia del protagonista eponimo, il ricco puritano che per qualche anno, dal 1653 al 1658, dopo aver guidato le forze parlamentari alla vittoria durante la Rivoluzione inglese, divenne dittatore e padrone assoluto dell’Inghilterra. Il ritratto che ne emerge è quello di un brillante condottiero e di un diplomatico astuto, disposto alla menzogna pur di ottenere un qualche vantaggio personale. Per tutto il resto Cromwell fu uno spirito risoluto ma molto comune, perennemente incerto e singolarmente crudele; dall’ambiente domestico aveva ereditato un puritanesimo fanatico che, più che nelle devozione e nella teologia – pare che sia morto chiedendo di essere liberato dai dubbi circa la sua salvezza – trovò espressione nella macellazione indiscriminata dei cattolici, specialmente irlandesi. Anche come dittatore si dimostrò, a conti fatti, profondamente inadeguato, incapace di approfittare della situazione favorevole in cui si venne a trovare.
Il Cardinale Richelieu (Richelieu) è un’altra delle più belle biografie storiche firmate da Belloc, pubblicata per la prima volta nel 1929. Richelieu fu il protagonista indiscusso della politica europea del primo Seicento, quando vennero spazzati via definitivamente gli ultimi residui della christianitas medievale. Antesignano del moderno nazionalismo e della monarchia assoluta, il cardinale si preoccupò per tutta la vita solamente delle fortune francesi: garantì la libertà religiosa ai calvinisti, riorganizzò lo stato e, in ultimo, durante la Guerra dei Trent’anni non si fece troppi scrupoli ad anteporre gli interessi del proprio paese a quelli del mondo cattolico. Ecco perché la sua morte venne salutata dal Papa con sarcasmo: «Se c’è un Dio, Richelieu avrà molti conti da rendergli. Se non c’è, ebbene, egli ha vissuto una bella esistenza».
Nel 1930 venne data alle stampe Giovanna d’Arco (Joan of Arc), una breve vita della Pulzella d’Orleans. Nel ritratto di Belloc – che offre al lettore l’immagine vibrante di una santità vissuta nel dolore del quotidiano, la cui prima cifra è l’obbedienza – Giovanna è l’eroina della Fede e della libertà, una contadina che osò sfidare la diffidenza dei grandi di Francia e dei nobili d’Inghilterra. Lei, umile tra gli umili, non solo richiamò il Delfino ai suoi doveri nei confronti di Dio e del popolo, ma combatté pure una battaglia impossibile contro l’invasore d’oltremanica, affrontando un’ingiusta accusa e una morte atroce.
Due anni più tardi, con Napoleone (Napoleon), Belloc tornò ad occuparsi di un altro dei famosi protagonisti della storia francese. L’autore alterna affondi monografici sugli attori dell’epoca a capitoli di ampio respiro, ora interessato a cogliere i risvolti ideologici degli avvenimenti, ora interamente dedito a narrare i principali scontri, con tanto di vivide rappresentazioni paesaggistiche e minuziosi resoconti dei piani di guerra. Il testo risulta frammentario ma tutt’altro che incoerente, volutamente affrancato da una rigida esposizione cronologia degli eventi per privilegiarne la coerenza ideale. L’amore per il rischio, la velocità di manovra del proprio esercito e il desiderio di affermazione personale furono gli strumenti che permisero al giovane corso, quasi uno straniero in patria, di arrivare addirittura a diventare Imperatore dei francesi. Finché vinse fu in grado di tenere sotto controllo un territorio vastissimo, che subito si sgretolò quando le armi dei suoi soldati iniziarono a non essere più efficaci come ai gloriosi tempi dell’Armata d’Italia, di Austerlitz o di Jena. Napoleone dovette pagare lo scotto di una flotta inadeguata e di un nemico troppo duro da battere, disposto anche a mettere da parte rancori decennali pur di disfarsi dell’incomodo francese. Commise pure la leggerezza di sottovalutare il fattore religioso, un elemento che non poteva essere trascurato da chi puntava a unificare l’Europa. Almeno tornò alla Fede poco prima di morire, quando si spense fissando con trepidante attesa il crocifisso d’argento posto sull’altare domestico.
Le grandi eresie (The Great Heresies), del 1938, è, come da titolo, una trattazione articolata delle cinque eresie più importanti della storia (l’ariana, l’albigese, l’islam, la Riforma protestante e la “la fase moderna”). Nella disamina di una lotta che vede opporsi i due schieramenti avversari della Chiesa e del mondo, il libro appare come una silloge del pensiero dello scrittore inglese, che raccoglie quei concetti cardine da lui espressi già altrove (come, ad esempio, l’idea della decadenza dell’Europa dovuta alla frammentazione religiosa o il rischio della riemersione di una “questione islamica”). Ognuna delle cinque grandi eresie è la rivelazione di una tendenza disgregatrice onnipresente nella storia: se l’arianesimo è la prova del tentativo di razionalizzare la Fede e l’eresia catara un attacco diretto alla morale più che alla dottrina, l’islam è una delle manifestazioni più compiute di un uso improprio della “cosa cristiana” e la Riforma protestante non è nient’altro se non l’origine dell’egoismo nazionale, dello scetticismo e del relativismo moderno. Tutto ciò apre all’ultima fase, quella dell’Anticristo, un’eresia generalizzata, una totale messa in discussione dei fondamenti della civiltà, persino della stessa ragione. L’umanità beneficerà di una sana reazione? Quale futuro attende la Chiesa cattolica? È con queste domande inevase che si chiude il libro. D’altronde, se il passato è piuttosto ostico da analizzare e comprendere, a maggior ragione lo è il futuro. L’unica consolazione, ricorda Belloc nell’epilogo, è la certezza che le porte dell’inferno non prevarranno mai.
Elisabetta regina delle circostanze (dal titolo dell’edizione americana, Elizabeth, Creature of Circumstance) è uno degli ultimi capolavori di Belloc, datato 1942. La parabola biografica della ragina, quasi un emblema del passaggio dal Medioevo all’età moderna, è dissezionata per mostrarne le infinite contraddizioni. Elisabetta fu abile a mantenere il potere con ogni mezzo, appoggiandosi pure alla Riforma protestante e a quella classe dei nuovi ricchi sorta dalla confisca dei beni della Chiesa e dallo smantellamento dell’intero sistema monastico inglese. Ma tutto questo, in fondo, non le servì a nulla: quella della sovrana che muore sola, in preda al delirio, è la più eloquente rappresentazione del niente che resta in mano a chi ha sprecato l’intera esistenza inseguendo la gloria terrena.
Quelli appena visti sono solo alcuni dei lavori storici di Belloc, ma rendono abbastanza bene l’idea della varietà e della profondità dell’opera del polemista inglese, vivace e controcorrente. È fuor di dubbio che con la sua corposa bibliografia egli gettò le basi di un nuovo modo di intendere l’apologetica cattolica, aprendo la strada alle generazioni future.