Nota di RS: continua la collaborazione fattiva, amichevole e cordiale di Pietro Ferrari, già autore di tre libri per la nostra casa editrice ovvero “Fascismi”, la “Questione monetaria” e “Non Possumus”. Si tratta un esponente di punta del cattolicesimo integrale nostrano. Come ebbi modo di dire in passato: nel panorama del laicato “tradizionalista” di lingua italiana, piuttosto brullo e disadorno (fatte salve lodevoli eccezioni), Pietro Ferrari spazia con passione e sprezzatura in vari campi: ecclesiologia, economia, diritto, politologia. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)

Nel 2018 nacque l’alleanza pirotecnica tra le due forze italiane che hanno rappresentato maggiormente il ‘populismo’ degli ultimi anni: Lega e M5S. I populisti di destra e quelli di sinistra, quelli nordisti e quelli sudisti che mandano, per la prima volta nella storia all’opposizione popolari e socialisti europei. Una novità assoluta e dirompente che avrebbe potuto (e forse anche dovuto) resistere a lungo per cambiare molto di questo Paese, con una opposizione minoritaria e spiazzata: senza i giustizialisti antiberlusconiani svaniti nel nulla, senza il sindacalismo moribondo della triplice e con il solo ed impopolare moderatismo tecno-democristiano come nemico. Un governo che poteva contare sull’appoggio esterno di FDI, su tutti i punti in quota leghista. Le uniche alternative a tutto ciò le avevamo già vissute e non era stato esaltante.

Il verdeoro evocava i funamboli della nazionale di calcio brasiliana lo stesso carnevale: ardita alchimia o bizzarro connubio, magari entrambe le cose se non peggio, se non meglio. Inorriditi i benpensanti perennemente preoccupati, i centrodestrosinistri renzusconiani e le ruote di scorta. Scandalo. TG3 & TG4 per la prima volta identici nel denunciare il pericolo fascio-populis-grillin-leghista-pentastellato. Davvero un Bim tunz gamb stomp, Marinetti approvava, la grammatica politica si sfasciava. Anzi, volava su ruspe veloci a suon di vaffa. Il primo governo visionario dopo la Reggenza fiumana. Non si poteva dire ‘buon lavoro’ in casi simili ma ‘che lo spettacolo abbia inizio’.

Se i moderati di ogni coalizione avevano sempre trovato una sintesi, stavolta toccava ai populisti, quando Lega e M5S assieme avrebbero vinto nel 98% dei collegi. Salvini cresceva in modo esponenziale grazie all’azione di governo raddoppiando i voti, ma le continue elezioni amministrative e regionali in cui si schierava coi vecchi compagni, logorò il governo gialloverde. L’illusione di tornare subito al voto (forse suggeritagli da Matteo Renzi) e di trovarsi ad ottobre 2019 come un Re a Palazzo Chigi, pose fine all’esperimento verdeoro.

L’eredità migliore? Nel merito, finalmente dopo venti anni di austerity deflazionista, tra quota 100, flat tax alle partite IVA, decreto dignità e reddito di cittadinanza, una inversione della politica economica che ha fatto un gran bene a tantissimi italiani. Non una rivoluzione, ma un’inversione sì e di questi tempi è già tanto. Nel metodo, un contratto di governo (ratificato anche da raccolte firme in piazza e voti elettronici) fatto alla luce del sole, con punti precisi da realizzare sui quali dover rispondere.

Lo spettacolo seppur notevole, alla fine è durato pochino, rigettando l’Italia all’improvviso in una nuova confusa stagione: il ritorno forzato alle coalizioni, col rischio che appaiano ormai come minestrine acidule, neanche più commestibili come brodaglie da riscaldare. Da qui l’esigenza di fare una quadra.

Come ha giustamente evidenziato Gennaro Malgeri qui al centrodestra serve un progetto politico, non basta una manifestazione in piazza, soprattutto mentre contestualmente si bisticcia per il candidato in Campania. Lodevole quanto acuta la scelta della data del 2 Giugno, che tendenzialmente cristallizza una festa nazionale già esistente, come alternativa ai belliciao del 25 Aprile. Il problema però è proprio quello che pone Gennaro Malgeri, al di là del marketing elettorale permanente: come è possibile che il centrodestra non abbia già un progetto politico, dato che questa coalizione esiste da 26 anni?

Il centrodestra nato nel 1994 ebbe vita breve, colpito a morte dal Bossi secessionista, per ritrovarsi unito alle elezioni solo nel 2001. Furono cinque anni ininterrotti di governo fino al 2006, quando la vittoria di Pirro prodiana preparò il trionfo del PdL e della Lega alle elezioni del 2008 quando Casini iniziò a staccarsi dalla coalizione. Dopo un paio d’anni di buon governo arrivò nel 2011 il disastro su cui mai è stata fatta un’analisi profonda. Questa volta fu il Liquidatore Gianfranco Fini ad uccidere partito e coalizione, dopo aver liquidato MSI ed AN, si apprestava a liquidare il PdL. La destra post missina si ritrovò disintegrata. A mio modesto avviso, in quegli anni si realizzò tutto ciò contro cui la destra aveva giurato di combattere, segno evidente che l’alleanza con popolari e liberali non aveva funzionato. Se dal 1994 al 2010 poteva ancora essere un tentativo o un libro da scrivere, dal 2011 il libro era terminato e bisognava rileggerlo per evitare i medesimi errori, tra cui forse il più esiziale fu la rincorsa ossessiva di un’agenda dettata dall’immediato, senza – appunto – un progetto.

Nel 2013, alle elezioni politiche Fini (FLI), Meloni (FDI) e Storace (La Destra), raccolsero insieme meno del peggiore risultato del vecchio MSI, perché l’opzione della destra politica dal 1994 al 2011 nel contenitore del centrodestra era, molto semplicemente, fallita. Già nel 2015 una manifestazione cercò di rimettere assieme i cocci: (https://www.radiospada.org/2015/03/note-a-margine-di-un-flop) ma i numeri furono scarsi. Nel 2016 emerge sempre di più Giorgia Meloni, indubbiamente brava avendo dalla sua sia l’età che l’essere spesso in televisione da anni, mentre i dinosauri rancorosi che la attaccavano erano in fase ‘rottamazione’, ma con una grande differenza rispetto a quello che hanno subito i vari D’Alema e Bersani da Renzi. La Meloni a differenza di Renzi è stata parte integrante della storia di quei dinosauri, anzi ne è stata una delle più premiate: vice presidente della Camera e Ministro grazie a Fini e Berlusconi. Le ultime elezioni comunali a Roma furono solo un’occasione per regolare questi conti, con una destra lacerata ai limiti della rissa pubblica quando i romani diedero un consenso plebiscitario alla Raggi.

Alle politiche del 2018 si è evidenziata nuovamente la spaccatura del centrodestra che aveva almeno tre programmi elettorali, senza avere come conseguenza neanche un candidato premier unitario. La Meloni ci tiene alla sua virtù di monogamia politica, ma se Lega col M5S e Forza Italia coi renziani, hanno dimostrato che quel bipolarismo degli Anni Novanta era già finito, cosa esattamente spinge oggi il centrodestra a ripresentarsi supinamente agli elettori se non il mero dato aritmetico che lo vede maggioritario? E’ possibile che la storia non abbia nulla da insegnare?

La verità è che dal 2011 dopo 14 anni di alleanze che portarono FI ed AN alla loro fusione, con la fine del PDL (autentica tragedia politica presa troppo poco sul serio) dalla cui gemmazione vi fu un salto indietro delle componenti che lo avevano formato, le cose sono cambiate in modo irreversibile: Berlusconi si è ormai da allora riposizionato al centro moderato, oggettivamente più vicino al PD e oggi al partito renziano, che alla Lega e a FDI. Le trattative del Governo Conte con Bruxelles e la polemica sugli eurobonds e il MES hanno evidenziato ancora (come dal 2011 in poi) che il centrodestra non esiste come alternativa politica. Salvini, Meloni e Berlusconi hanno avuto tre posizioni diverse nella trattativa con l’Unione Europea. Ha senso parlare ancora di centrodestra o è solo una inerziale pigrizia che falsifica un dato reale?

Sarebbe molto più coerente un quadro politico con una coalizione sovranista tra FDI e Lega nonostante qualche divisione, magari con qualche supporto di piccole sigle e una coalizione tutto sommato moderata ed eurista fatta da Forza Italia, PD e Italia Viva. I pentastellati del post Di Maio tornano nel kaos, con un Di Battista che scalpita ed una scissione che incombe, mentre aleggia l’esiziale alleanza col PD che rappresenterebbe il fallimento della loro ragion d’essere. Magari e ancora meglio, il prossimo quadro politico dovrebbe rappresentare invece la fine di qualsiasi coalizione preconfezionata, coi singoli partiti che corrono da soli e poi, a conti fatti in Parlamento che cercano di trovare una maggioranza sui punti condivisi. Sarebbe più onesto nei confronti degli elettori anche se essi, spesso, amano per primi l’essere inseriti nelle varie curve delle tifoserie di un teatrino ben congegnato, un teatrino bipolare in tutti i sensi.

Ovviamente questo non accadrà, perché l’agenda politica dell’immediato pretende solo il ritorno a Palazzo Chigi, poi si vedrà.

Speriamo solo che non sia un remake di cortometraggi già visti anche perché, gli elettori ci cascano è vero, ma poi come è già accaduto altre volte, al giro successivo te la fanno sempre pagare cara.