Dall’opera Flos Sanctorum del celebre padre gesuita Predo de Ribadeneira riprendiamo per offrirla ai nostri lettori la vita ed il martirio che, sebbene di soli dieci anni, seppe opporsi gagliardamente alle sordide profferte di un emiro maomettano e sodomita e nel sangue di un aspro martirio consacrò l’illibatezza della sua anima e del suo corpo. Certamente un fulgido esempio e modello per la cristiana di gioventù dei nostri giorni.

Scriviamo ora l’illustre martirio di un benedetto Fanciullo, che per conservare la fede di Gesù Cristo e la sua castità, fu martirizzato in Cordova sotto il Re Abderamen terzo di questo nome; secondo che viene scritto da un chierico cordovese, chiamato Raguele, per quello che si può comprendere, testimonio di veduta.
Avendo il Re Abderamen dato una crudele battaglia ai Cristiani l’anno 921 nella valle di Junchera, nella quale rimase vittorioso, oltre i molti Cristiani che in essa rimasero morti, ne prese molti e tra essi un vescovo di Tuy, chiamato Ermolgio, il fu condotto a Cordova e posto, crudelmente legato, in un carcere. Questo Vescovo trattò di dare per suo riscatto alcuni Mori che aveva, e mentre che li mandava al Re, di lasciare per ostaggio un fanciullo di dieci anni suo nipote detto Pelagio; e contentandosi il Re di questo concerto, uscì il Vescovo di carcere e rimase in carcere il fanciullo Pelagio, la cui bellezza era estrema e non minore la sua modestia. E come il Signore di già lo aveva eletto per Martire, in carcere lo favorì di maniera che quella tribolazione gli fu un esercizio di virtù ed in essa si affinò come l’oro nel crogiuolo. Era molto onesto, temperato e prudente; vegliava in orazione; leggeva libri santi; i suoi ragionamenti erano di cose di virtù ed alieni dal riso e dalla dissoluzione; e finalmente non pareva fanciullo, ma vecchio e maturo nel senso. Di questa maniera stette il Santo fanciullo tre anni e sei mesi nella prigione, disponendosi acciocché Dio gli facesse la grazia, che poscia gli fece, di dargli la corona e gloria di Martire. Ora un giorno mentre quel Re Moro mangiava, i suoi famigliari gli lodarono la rara e mirabile bellezza del fanciullo Pelagio ed egli subito comandò che fosse tratto dalla prigione dove stava incatenato e condotto alla sua presenza. Lo trassero e lo vestirono riccamente e avvisatolo della sua buona fortuna lo condussero innanzi al Re, il quale, come era uomo non meno infame che infedele, vedendolo rimase cieco allo splendore della sua bellezza e cominciò ad offrirgli onori, ricchezze ed altri gran doni e dignità per lui e per i suoi discendenti, se lasciata la sua legge di Cristo, volesse seguire quella di Maometto. Il Santo fanciullo stette alquanto sopra di sé poi rispose: “Tutto ciò che tu, o Re molto possente, mi prometti è nulla. Io son Cristiano e tale sarà come sempre sono stato senza mai negare Gesù Cristo. Perché quanto tu mi favoristi è caduco, fragile e momentaneo, ma Gesù Cristo mio Dio e mio Signore, che creò tutte le cose e le tiene sotto di sé è eterno e non ha fine“. Volle il Re accostarsi al benedetto fanciullo per lusingarlo e toccarlo alquanto con molta disonestà, ma Pelagio, non come fanciullo, ma come forte uomo: “Sta’ lontano, cane – disse – e non appressare a me la tua faccia: pensi tu che io sia come uno di questi tuoi effeminatati?“. E così dicendo stracciò la ricca veste della quale lo avevano vestito e la gettò da sé, per essere più svelto nella lotta e battaglia che aspettava e per morire quando fosse stato bisogno per Gesù Cristo. Era il Re sì fortemente acceso e legato dall’amre, che né le parole di Pelagio né le sue opere, furono bastevoli a fargli mutar pensiero, anzi comandò ai suoi famigliari che con carezze e lusinghe procurassero di persuaderlo che lasciasse di essere Cristiano e si rendesse alle sue voglie. Ma poi conosciuto dal Re che perdeva tempo perché Pelagio stava costante e forte nel suo proposito, convertì l’amore in odio e tutte quelle lusinghe in rabbia e furore: così inviperito, con gli occhi che spiravano faville e gittavano fiamme, deliberò di porlo alla corda e dargliene parecchie strappate sino a tanto che o perdesse la vita o lasciasse di confessar Gesù Cristo per Dio. Fu tosto posto in esecuzione quanto il Re aveva comandato con gran crudeltà ed il fanciullo stava con un sembiante di Paradiso senza mostrare viltà, preparato ancora a patire altri tormenti maggiori, in caso glieli avessero voluti dare. Seppe questo il Re e più crescendo nella f uria infernale, comandò che gli tagliassero le membra a pezzo a pezzo, e dopo di averlo così ucciso, lo gittassero nel Guadalquivir. Con questo gli empi più s’incrudelirono e diedero sopra al santo fanciullo troncandogli chi un braccio, chi le delicate gambe, chi ferendo la testa; e tutti a gara tormentandolo. Laonde, correndo tutto quel benedetto corpo a sangue stavasi però Pelagio molto sereno e quieto nello spirito, come se quelle membra non fossero state sue, ma di un altro. Invocava Gesù Cristo in suo aiuto e diceva: “Liberami Signore dalle mani dei nemici“; e volendo alzare le sue mani al Cielo, i manigoldi gliele tagliarono e poscia il capo: e con questa morte diede l’anima al Signore.
Fu il santo corpo gittato nel Guadalquivir, ma dopo i Cristiani, con divozione lo cercarono e, trovatolo lo seppellirono nella chiesa di S. Genesio ed il capo in quella di S. Cipriano.
Il suo Martirio occorse una Domenica, ai ventisei di Giugno, l’anno del Signore 926, secondo questo Autore e secondo Ambrogio Morales. Il Cardinal Baronio ha l’anno 925 perché quell’anno cadde in Domenica il 26 di Giugno.
Incominciarono a martirizzarlo a mezzo giorno e durarono i tormenti, che furono asprissimi e gravissimi, quasi sei ore; ma non minore fu la fortezza che Dio gli diede per soffrirli e vincerli.
Il Re Don Sancio il Grasso, figliuolo del Re Don Ramiro secondo, mandò una solenne ambasciata al Re di Cordova per concertare la pace con lui e per avere da lui il corpo del Santo Pelagio e l’ottenne; ma essendo egli morto, il Re Ramiro terzo lo ricevette con pompa e lo collocò nel Monastero fatto edificare da suo padre a questo effetto.
Dipoi col tempo lo trasferirono ad Oviedo l’anno 1023, l’8 novembre, dove al presente riposa.
Celebrano la festa di San Pelagio molte Chiese di Spagna e dappertutto è gloriosa e molto celebre la fama di questo benedetto fanciullo, al quale son dedicate molte Chiese per tutta la Castiglia e più in Galizia; ed a San Giacomo vi è ricco Monastero di Monache dell’Ordine di S. Benedetto del suo nome, chiamandosi molti in quel Regno col nome di questo Santo, da essi detto San Pazo.
Fu tanto illustre il martirio che si seppe tosto sino in Alamannia e nella Provincia di Sassonia una Monaca di gran lignaggio e di maggiore ingegno e molte lettere, chiamata Romita, udendolo si mosse a scrivere e celebrarlo in verso eroico, affermando che lo intese da un uomo nativo di Cordova che si trovò presente quando lo martirizzarono.
Fa menzione di S. Pelagio il Martirologio Romano che dice che con tenaglie di ferro gli furono stracciate tutte le sue membra; e nei Santuari antichi, specialmente di S. Pietro di Cardegna, della Chiesa di Toledo e di quella di Tuy, viene largamente scritta la storia; e quelli di Tuy tengono per certo che fosse naturale di quella Città.
Gran gloria è di Dio che così trionfa nei teneri fanciulli di tutto il potere dell’inferno e gran prova e testimonio della verità della nostra santa Fede e Religione è il troncare il capo per mano di Davide al superbo ed orgoglioso gigante Golia ed a Satanasso per mano di Pelagio; finalmente è gran vergogna che i pigri non corrano dietro ai fervorosi e che gli uomini si lascino vincere dai fanciulli.