LA SACRA VEGLIA PRESSO LE DUE TOMBE APOSTOLICHE
DEI SANTI PIETRO E PAOLO

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Non ostante che l’odierno Messale assegni alla vigilia dei Santi Pietro e Paolo un’unica messa, pure dal Lezionario del Würzburg e da Alcuino sappiamo che nel secolo VIII questa notte in Roma si celebravano due distinte sinassi, una in Vaticano, l’altra sulla via Ostiense.
Ecco il brano del Lezionario relativo a san Paolo: «In vigilias sancti Pauli. Lectio Epistolae beati Pauli apost. ad Galatas: (I, 11-20) Fratres, notum autem facio Evangelium… usque… quia non mentior.
«In Natali sancti Petri, Lect. libr. Actuum Apostolor. (IX, 1-22). In diébus illis Saul autem adhuc spirans minas et caedes in discipulos… usque… quod hic est Christus».
Quando però verso i tempi d’Adriano I seguì in Roma un lavoro di semplificazione dell’antica liturgia, la messa vigiliare di san Paolo venne facilmente affidata ài monaci che celebravano i divini uffici in quella splendida basilica, ed i codici si limitarono a riferire solo quella che si offriva in Vaticano, ed alla quale effettivamente interveniva il popolo. Tale appunto è lo stato rappresentato dal Gelasiano, dal Gregoriano e dal Comes di Würzburg, dal quale attraverso parecchi anelli dipende altresì il nostro odierno Messale.
I canti della messa si riferiscono di preferenza a san Pietro, ma le collette sono comuni ad ambedue gli Apostoli, perché i Romani ci tenevano a non separarne mai la memoria, dal momento che Pietro e Paolo anche in Oriente venivano paragonati all’uno e all’altro occhio che sfavillano sul volto verginale della Chiesa.

L’antifona per l’introito deriva dal Vangelo di san Giovanni (XXI, 18-19). La grazia si accomoda sapientemente alla natura ed ha i suoi tempi. Pietro da giovane disponeva liberamente di se stesso.
Quando però egli avrà assunto il carico pastorale e sarà tutto di Dio e del suo gregge, allora non sarà più padrone della sua vita. Un altro lo cingerà e lo trarrà dove la natura abbonisce bensì d’andare, ma dove lo Spirito Santo lo immolerà vittima della gloria di Dio. Gesù che non può morire più d’una volta, brama però d’immolarsi incessantemente al Divin Padre per la salute degli uomini.
Egli pertanto sostituisce a sé Pietro, cui apparendo sulla via Appia, giusta l’antica leggenda, all’Apostolo che l’interrogava: Domine, quo vadis, risponde: Eo Romam iterum crucifigi.
Ecco la colletta: «Fa, o Signore, che stabiliti solidamente sulla mistica pietra simboleggiata dall’Apostolo che ti confessò Figlio di Dio, di là non ci svella mai turbamento alcuno».
La prima lezione narra del miracolo operato da Pietro alla porta del tempio detta la bella (Atti, III, 1-10).
Quant’è potente la grazia dello Spirito Santo che ha trasformato Pietro! Non sono tre mesi che la voce d’una semplice fantesca l’ha atterrito facendogli rinnegare Gesù; ed oggi invece egli, povero e senza potenza, getta impavido innanzi ai sinedriti l’accusa d’essere essi dei deicidi, e ne fornisce la prova più schiacciante, operando un prodigio appunto nel nome di Colui, che essi avevano condannato a morte siccome un bestemmiatore.
Il responsorio graduale è come il di 11 giugno.
Segue la lezione evangelica (Giov., XXI, 15-19) colla triplice protesta d’amore verso Gesù fatta da Pietro, e la predizione della di lui crocifissione.
Le due scene hanno fra loro un nesso evidente. Se Pietro ama il Maestro più dogli altri, come egli deve soprastare agli altri nell’ufficio pastorale, così deve altresì ricopiare più fedelmente degli altri la passione e la morte di Gesù.
L’antifona per l’offertorio è come il 30 novembre.
Ecco la colletta prima dell’anafora: «Rendi a te sacra, o Signore, l’oblazione del tuo popolo che oggi ti vien presentata avvalorata altresì dall’intercessione dei Principi degli Apostoli; deh! pei meriti di tanto Sacriicio ci libera dalle sozzure dei nostri peccati».
L’antifona per la Comunione deriva dall’odierna lezione evangelica. (Giov., XXI, 15-17). « Simone, figlio di Giona, mi ami tu più di costoro? Signore, tu sai tutto e tu ben conosci che io t’amo».
Per chi trovasi nei più alti gradi nella gerarchia, rivestito dell’ufficio pastorale, una virtù comune non è punto sufficiente. Il carico episcopale è così arduo, che esige una continua immolazione di se stesso; onde diceva Paolo: Quotidie morior. Per adempiere quindi degnamente un ufficio di tanta dignità e responsabilità, Cristo esige da Pietro un amore eminente: plus his. Diceva quindi a ragione san Bernardo, esser cosa mostruosa il primeggiare sugli altri quanto al grado ed al posto, e non primeggiare ancora nella virtù.
La preghiera di ringraziamento è la seguente: «Per l’intercessione dei Principi degli Apostoli, scampa, o Signore, da tutti i pericoli coloro che oggi tu hai resi partecipi del Viatico celeste».

Giusta l’Ordo di Benedetto Canonico, oggi nel pomeriggio il Papa e tutta la corte si recavano a san Pietro, dove si celebrava il Vespero. Seguiva la consueta compotatio, ed il Papa di sua mano offriva una coppa di vino a tutto l’alto clero che aveva preso parte alla cerimonia. La cena veniva preparata nella così detta «domus agidiae», dove il Pontefice e i cardinali si ritiravano pel riposo notturno.
A mezza notte si dava il segno per l’ufficio vigiliare. Il corteo dei vescovi e dei chierici sfilava lungo l’atrio, o paradisus, del tempio, illuminato da scarse fiaccole. Il Pontefice che era preceduto da quattro domestici con torcie accese, si fermava dapprima ad incensare la tomba di Leone Magno, quindi procedeva ad offrire il timiama su quella del grande Gregorio, come pure sugli altari allora assai venerati di san Sebastiano, di san Tiburzio, della Veronica e di san Pastore. Di lì la processione scendeva alla cripta sepolcrale dell’Apostolo; se ne incensava la tomba ed incominciava finalmente l’ufficio vigiliare.
È noto che in Roma nei dì festivi i mattutini erano due. A san Pietro, il primo era cantato giù nella cripta dell’Apostolo, il secondo invece presso l’altare nella basilica superiore. Dopo i primi tre salmi, seguivano intercalato dai responsori nove lezioni, di cui i canonici cantavano le prime tre derivate dagli Atti degli Apostoli, gli iudices la quarta e la quinta «de sermonibus apostolortim Petri et Pauli», un vescovo la sesta, uno dei cardinali la settima, il prior basilicarius l’ottava, e finalmente la nona con l’omilia sul Vangelo il Papa stesso.
Quando prima d’iniziare la lettura il Pontefice cantava, giusta il consueto: Iube, domne, benedicere, nessuno dei presenti osava accondiscendere: Nullus benedicit eum, – commenta Benedetto Canonico – nisi Spiritus Sanctus. Rispondevano perciò tutti: Amen.
Per il servizio corale prestato in quella notte, tanto i cardinali che il Papa ricevevano il consueto presbiterio dai proventi delle elemosine deposte dal popolo sull’altare di san Pietro. Al Pontefice pertanto spettavano venti soldi pavesi, ai cardinali, ai diaconi ed ai cantori cinque; all’arcidiacono invece, a cui carico altresì era la paga dei solisti che eseguivano i responsori, si davano ben diciotto soldi, un po’ meno dunque che al Papa. Questa vecchia tradizione romana si è in parte conservata, perché anche adesso, ogni volta che il Pontefice celebra in san Pietro la messa solenne, l’arciprete della basilica gli offre una borsa con pochi giuli, corrispondenti a circa venti lire della nostra moneta: pro missa bene cantata.
Dopo le lezioni, il primicerio dei cantori intonava il Te Deum seguito dalla colletta e dalla benedizione del Pontefice, e così finiva il primo ufficio vigiliare.
Risalito il coro nella basilica superiore, s’incensava l’altare della confessione ed il Papa intonava il verso: Domine, labia mia aperies, seguito dall’invitatorio e dai consueti salmi del mattutino festivo.
Le laudi si cantavano appena appariva l’alba, e subito appresso si celebrava
la messa, nella quale dopo la prima lezione avevano luogo le tradizionali acclamazioni o laudes in onore del Papa: Exaudi, Christe. Summo et egregio et ter beatissimo papae N. vita. – Salvator mundi, R. Tu illum adiuva. – Sancta Maria, R. Tu illum adiuva etc.
Terminato il divin Sacrificio, il Papa in segno di festa e di trionfo veniva ricinto colla tiara: debet… coronari in tanta festivitate, cuius vicarius est.


(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacramentorum. Notizie storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. VII. I Santi nel Mistero della Redenzione (Le Feste dei Santi dalla Quaresima all’Ottava dei Principi degli Apostoli), Torino-Roma, 1930, pp. 295-298)