Sintesi della 604° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano , non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo causa epidemia di coronavirus. e postata durante l’ottava dei Ss. Pietro e Paolo. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).

I media nazionali trattano attualmente poco, per non dire nulla, dell’attuale conflitto civile che sta insanguinando la Libia post Gheddafi, per quanto il conflitto tra Fayez Serraj riconosciuto leader libico supremo a livello internazionale e Khalifa Haftar, intenzionato a creare un “Consiglio di unità nazionale” di opposizione, sia uno dei più sanguinari e forieri di infauste conseguenze a livello di stabilità politica interna, ma anche di congiuntura economica internazionale.

È inevitabile che la pandemia coronavirus (peraltro fattore che in Libia, coniugandosi con l’ instabilità generale determinata dal conflitto ,prevedibilmente contribuisce a generare un quadro di infernale drammaticità) abbia egemonizzato l’informazione e oscurato sui media nazionali lo spazio ad altri eventi.

Non si tratta, ad avviso di chi scrive, dell’unica motivazione che ha indotto a non dedicare né da parte di Rai né da parte di Mediaset spazio a un conflitto pur drammatico e a dir poco inquietante. Il mainstream nazionale è in evidente stato di imbarazzo a trattarne; dopo aver acclamato nel 2011 la “primavera araba libica” come il solo evento che avrebbe portato all’importazione della “pace ” e della “democrazia”, lo stato di instabilità profonda, di para-anarchia che interessa la Libia post Gheddafi è lì a smentire tout court queste previsioni.

È doveroso a mio avviso uno sguardo sull’attuale situazione conflittuale che ha fatto seguito all’esito della “primavera araba” del 2011, sia per gli storici legami coloniali che legano la nazione italiana a quella del Maghreb, sia per i rapporti di natura geopolitica e commerciale che legano Italia e Libia, culminati in un vero e proprio trattato di amicizia stipulato tra Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi a fine agosto del 2009; seguì a detto trattato un periodo di rapporti bilaterali in un clima di cordialità (il “rais di Tripoli” non nutriva più quel livore rancoroso nei confronti dell’Italia che, poco dopo l’ascesa al potere nel 1969, era culminato nel congelamento dei beni degli italiani residenti in Libia e nell ‘imposizione di lasciare il paese).

Poi nel 2011 il magnate di Mediaset, dopo aver tergiversato un po’ pensò bene di tradire questa amicizia, e di avallare la ” primavera araba” libica, ordita dal premier inglese David Cameron, da quello “francese” di Nicolas Sarkozy, dal presidente USA Barack Obama, supportata inoltre dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti e culminata  infine con il barbaro assassinio di Gheddafi.

Muammar Gheddafi era stato precedentemente in buoni rapporti sia con Silvio Berlusconi che con il neocons d.o.c Sarkozy, di cui aveva persino appoggiato la campagna elettorale.

Non preoccuparsi e sottovalutare l’attuale contenzioso libico da parte del nostro governo è Indice di irresponsabilità se non altro per il fatto che la miseria indurrà un’ immigrazione incontrollata alla volta delle coste del Mediterraneo e il problema umanitario rischierà di sottrarsi ad ogni controllo (ricordiamo che nel trattato di amicizia italiano-libica Gheddafi e Berlusconi concordarono anche la regolamentazione dei flussi dalle due sponde del Mediterraneo).

Secondo la benpensante vulgata mainstream, allora diffusa sui media nazionali tanto dalla borghese sinistra radical chic quanto dalla bluet destra liberale (sull’input del “kompagno” presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi e Ignazio La Russa si erano decisi a votare la concessione delle basi della NATO per la missione del “bombardamento umanitario”) la detronizzazione del “rais di Tripoli” sarebbe stata l’ unica strategia vincente per instaurare la democrazia, la libertà e la salvaguardia dei “diritti umani”!

Non si è realizzata né libertà nè democrazia…. Dopo la” primavera araba” ” vittoriosa”, lo scenario traumatico è il seguente: balcanizzazione della nazione, secondo quella costante della “pax americana basata sul “divide et impera”, conflitto permanente tra i vari clan tribali, deficienza di un potere centrale accentratore che possa tenere a freno queste lotte fraticide (Gheddafi, per quanto appartenesse alla tribù dei Qadhafa e tendesse quindi a un certo favoritismo verso questo clan tribale, era nondimeno riuscito a non inimicarsi le altre, almeno sino allo scoppio dell’insurrezione del 2011), inasprirsi dei gruppi fondamentalisti wahabiti e salafiti, di cui uno dei più noti è Ansar-al Sharia (avendo contribuito alla “vittoriosa” coalizione anti-Gheddafi, pretendono ora essere rappresentati e di avere voce in capitolo), l’esponenziale crescita della miseria, il tracollo in caduta libera dell’economia….questo l’ esito della “pax americana”.

All’indomani del crollo del regime nazionale, le forze alleate avevano fatto pieno affidamento su membri poco noti del Consiglio di Transizione Nazionale che aveva preso pieni poteri a fine ottobre del 2011 (era stato eletto allora primo ministro Abdulraheem al Keeb).

In realtà, il CTN era fiancheggiato da gruppi armati di fondamentalisti sulla cui affidabilità non si poteva certo contare, tanto è vero che non molto tempo dopo la fine della “guerra civile” del 2011 avrebbero innescato conflitti fra bande armate. Stefano Mercuri afferma che la Libia di Gheddafi costituisse una sorta di “scatolone di sabbia” in cui non sarebbero mai esistite in senso vero e proprio le “fondamenta dello stato”, a causa del potere onnipervadente di Gheddafi, non controbilanciato da alcuna istituzione. In realtà, la Libia post Gheddafi è uno “scatolone di sabbia” ancora più vuoto e vacillante, che nemmeno può contare sul culto di una personalità forte come era stato il colonnello Gheddafi.

Dopo il fallimento del tentativo del governo di transizione nazionale presieduto da Abdulraheem al Keeb di restaurare la stabilità, dal 2014 la Libia è martoriata da un nuovo conflitto che non pochi definiscono come Seconda guerra civile. Cominciarono allora a fronteggiarsi due fazioni e governi contrapposti, il primo insediato nella cittadina di Tobruch e sostenuto dalla Camera dei Rappresentanti, il secondo insediato a Tripoli, sostenuto dal Nuovo Congresso Nazionale, dalla coalizione Alba Libica, dal partito Giustizia e Costruzione (di orientamento progressista, aveva avuto un ruolo decisivo nel corso della Primavera Libica), dalle milizie di Misurata, Tuareg, Tebu e infine dalle tribù berbere.

Contro il secondo fronte diretto da Fayez Serraj, il generale Khalifa Haftar mosse una spedizione chiamata Spedizione Dignità. Dopo l’ ottobre 2014 gruppi fondamentalisti salafiti e wahabbiti, alcuni particolarmente noti come Ansar-al -Sharia (corrisponde all’ideologia qaedista libica) e lo Stato islamico di Al Baghdadi (Isis) hanno preso parte al conflitto conquistando le roccaforti di Derna e Sirte. A partire dal marzo 2016, il governo di Accordo Nazionale si è insediato a Tripoli con il riconoscimento internazionale dell’Onu; tuttavia il generale Haftar e la Camera dei Rappresentanti si sono rifiutati di riconoscerlo, ciò che ha portato non già alla ricomposizione nazionale, ma ad un’acutizzazione della guerra civile.

Secondo fonti ” ufficiose” ma non ufficialmente comprovate, l’attuale primo ministro del Consiglio Presidenziale Fayez Serraj, riconosciuto a livello internazionale, sarebbe ideologicamente vicino alla fratellanza musulmana libica, mentre Khalifa Haftar è un ex ufficiale al servizio del colonnello Muammar Gheddafi, caduto in disgrazia a causa del fallimento di una sua operazione di guerra in Ciad. A fianco del generale Serraj vi è attualmente il governo italiano, il Qatar, la Turchia che a partire dal 2020 ha invaso con le proprie truppe la Libia e nel trionfo di Serraj ravvisa la possibilità di instaurare in Libia un governo integralista vicino all’ideologia del premier Tayyp Erdogan.

L’ Iran, notevole potenza regionale del Medio Oriente, secondo fonti “ufficiose” e non ufficiali (la notizia è della rete Voltaire e risale a una decina di giorni fa) avrebbe deciso di schierarsi a fianco del generale Serraj, per contrapporsi all’Arabia Saudita, altra colossale potenza regionale del Medio Oriente, atavica mente rivale dell’Iran.

A fianco del generale Khalifa Haftar sono: la Russia che addestra costantemente miliziani dell’esercito regolare siriano impegnati dunque su due fronti, quello di Idlib e ora quello libico; l’ Egitto del premier al Sisi che non può tollerare la costituzione di un governo integralista islamico nella vicina Libia, per cui avrebbe bombardato le cittadine di Derna e Sirte, per strapparle allo Stato islamico, inoltre avrebbe acceso un fronte di guerra contro la coalizione Alba libica, che appoggia Fayez Serraj.

Secondo le rivelazioni di un articolo di Francesco Maselli del sito Linkiesta del 6 giugno, il conflitto ormai giunto alla sua quinta fase si sta progressivamente internazionalizzando, assumendo per diversi aspetti la fattispecie di una sorta di “guerra per procura”; in seguito al decisivo ingresso della Turchia nel conflitto, che risale all’inizio del 2020, la sorte della “guerra civile” si è ribaltata; mentre il generale Khalifa Haftar, avvalendosi del massiccio appoggio russo a mezzo di droni e missili Sukhoi , sembrava sul punto di prevalere nettamente a seguito dell’espugnazione di Tripoli da parte del LNA (Libia National Army) dello scorso aprile, ora l’ago della bilancia nel conflitto pende a favore di Fayez Serraj, i cui miliziani a mezzo del considerevole sostegno turco (le cui forze da terra ammontano a 9500 risorse) sono riusciti a far retrocedere progressivamente le truppe del generale Haftar; non solo il ruolo massiccio della Turchia, ma anche almeno altri due fattori hanno contribuito al ribaltamento della sorte a favore di Fayez Serraj; innanzitutto, le forze della NATO, in un primo momento, palesemente al fianco di Haftar, comandante del LNA, ora hanno intimato al generale di non proseguire i bombardamenti su Tripoli e si son dichiarate non disposte ad appoggiare un suo ulteriore avanzamento.

In secondo luogo, Khalifa Haftar, fino a solo un mese fa vincitore incontrastato, ha perso molto consenso popolare, nella misura in cui viene costantemente accusato dai suoi stessi ex partigiani di involvere la nazione libica nelle spire di potenze estere, la Russia, l’Egitto, gli Emirati Arabi uniti, fameliche di risorse.

Perché ho ritenuto opportuno dedicare una conferenza a quella che da molti osservatori è stata definita la “seconda guerra civile” libica? In primo luogo, per denunciare le nefaste conseguenze sul piano internazionale a livello di congiuntura economica, in primis e non solo, per quanto riguarda risorse energetiche vitali, gas e petrolio.

Qualora il conflitto non trovi al più presto una soluzione diplomatica, le ripercussioni economiche negative si riverseranno sull’Europa intera e segnatamente sull’Italia, dato il privilegiato rapporto di vicinanza geografica e geopolitica che lega Italia e Libia.

Soprattutto, la nostra battaglia militante e culturale deve altresì destituire di fondamento la diabolica quanto seducente filantropica “religione dei diritti umani”, che si presenta ora in salsa neocons ora progressista. Denunciare indefessamente…la sua pretesa di importare libertà e democrazia a suon di “bombardamenti umanitari”(l’espressione stessa è ossimoro e puro non senso).

Aggiungiamo che tutto il contesto del Maghreb e del Medio Oriente è storicamente e atavicamente autocratico, estraneo al concetto di libertà e democrazia.

Provatevi a parlare di libere elezioni o di certificati elettorali ai componenti di una tribù Tuareg…vi guarderebbero come degli alieni stralunando gli occhi!

La Libia sotto il colonnello Gheddafi era uno “scatolone vuoto”, senza pluripartitismo, né libere elezioni, con l’esercito stesso esautorato dal ” rais di Tripoli”?

Oggi versa nella ben peggiore condizione di para-anarchia. Sub specie della costante proclamazione della necessità di importare “diritti umani” , la NATO e l’ Ue hanno mascherato con la loro aggressione illegittima dal punto di vista internazionale (in quanto avvenuta senza alcuna provocazione) la cinica aspirazione a disfarsi di un dittatore autocratico, ma non allineato all’ordine mondiale. Infatti, il disegno del colonnello di creare una valuta unica panafricana non è stato accolto con favore né dagli USA, né dalle potenze europee in quanto avrebbe comportato svantaggi finanziari tanto per il dollaro, quanto per l’euro.

E’stato utile riportare questa considerazione per far luce su uno dei motivi concreti che hanno portato il trio Cameron-Obama-Sarkozi a dichiarare guerra a Gheddafi, nonostante precedentemente i rapporti bilaterali fossero stati discreti .

Per quanto concerne l’attuale conflitto, non abbiamo ragione di parteggiare per nessuno dei due contendenti, non essendo altro che avidi avvoltoi aspiranti a spartirsi le carcasse di una nazione che, dopo il truce assassinio del colonnello, a fatica può ancora riconoscersi come tale.

Confidiamo nella pace di Cristo Re, mai confideremo in “guerre umanitarie”.

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