di Giuliano Zoroddu

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Il 18 luglio del 1870 veniva solennemente promulgata la costituzione Pastor Aeternus con cui Pio IX con l’approvazione del Sacro Concilio Vaticano (primo, naturalmente!) riaffermava l’universale ed unico primato del Romano Pontefice su tutta la Chiesa ed insegnava l’infallibilità del suo magistero ex cathedra. Fra i vescovi che si batterono per questa definizione, invero fortemente dibattuta, non possiamo non ricordare due prelati sardi: fra’ Salvatorangelo de Martis di Galtellì-Nuoro, che già è abbiamo presentato ai lettori di Radio Spada, e Francesco Zunnui Casula di Ales e Terralba, di cui oggi andiamo ad occuparci. Nacque a Fonni, tra le nevi del Gennargentu, il 28 marzo 1824. Nel 1850, un anno dopo il conseguimento dei gradi accademici, ricevette il diaconato (23 febbraio) e il sacerdozio (16 marzo). Nello stesso anno veniva assunto fra i Canonici della Cattedrale di Nuoro e contemporaneamente eletto Penitenziere del Capitalo nonché Vicario Generale Capitolare sede vacante. Governò la Diocesi per 17 anni, tra persecuzioni ed apostolato. Il 22 febbraio 1867 Pio IX lo eleggeva Vescovo di Ales e Terralba: ricevette la consacrazione episcopale per le mani del De Martis, appena eletto alla sede di Galtellì-Nuoro, il successivo 16 giugno. Partecipò al Vaticano I, schierandosi fra gli infallibilisti: “Questa è la fede della Diocesi a me affidata – scriveva alla Deputazione della Fede confessando l’infallibilità del Romano Pontefice – anzi di tutta l’Isola di Sardegna. Alla qual fede certamente la mia patria carissima deve, se la religione cristiana da quando per l’infinita bontà di Dio fu predicata dagli Apostoli Pietro, Paolo e Giacomo, e fu nutrita da S. Clemente papa primo suo vescovo, e da tanti martiri; con il proprio sangue fu nutrita ed incrementata, se la religione restò fino ad oggi, non deturpata da errori, non scissa da scismi, né vinta da persecuzioni e vessazioni”. Dopo la sospensione del Concilio tornò alla sua chiesa e la governò fino al 1893, quando Leone XIII lo promosse all’arcivescovato Arborense. Morì ad Oristano cinque anni dopo il 14 dicembre 1898.
Per dare un saggio del pensiero di questo dotto e pio Prelato riproduciamo parte della lettera che indirizzò alla Diocesi di Galtellì-Nuoro a margine dei moti delle Romagne del 1859. Una testimonianza della sua tetragona fede nel Papato Romano, un buon sussidio per rafforzare la nostra.

“Il Pontificato cristiano, ch’è l’incarnazione vivente della religione dello stesso nome, non potea stare perpetuamente sepolto nelle catacombe che servirongli quasi di culla nella sua infanzia dei tre secoli, i quali colle persecuzioni e col martirio tentarono in vano di soffocarlo nel proprio sangue ancora in fasce. Perocchè dovendo tutta adempiere l’alta sua missione in ogni confine dello spazio sino alla consumazione del tempo, dovea perciò disseppellirsi ed apparire nel mondo stupefatto, armato d’una forza invincibile. Onde che giunti i pieni giorni della sua virilità sprigionatosi appena da quelle oscure caverne, il Vicario di Gesù Cristo presentossi col libro delle di lui eterne verità e col codice delle di lui divine leggi, coronato dal Re dei Re e dal Signore di tutti i dominii della terra sovrano del mondo, al gran Costantino, che compreso dal più alto sentimento di rispetto e di venerazione ne abbandonò volentieri la metropoli. Capì l’uomo grande che alla maestà, allo splendore, all’autorità del Vice-Dio sulla terra non potea reggere la maestà, lo splendore, l’autorità dell’Impero. Il quale avendo adempiuta la sua missione di preparare colla sua dominazione, colla sua gloria, coi suoi trionfi la Reggia a questo Monarca divino, dovette dopo un corso di quasi quindici secoli rimontare con passo retrogrado alle sue primitive origini, ai confini dell antica Troia ed ivi attendere come tutte le cose umane il suo sfacimento, la sua morte nell’ultimo dei suoi più gloriosi monumenti nella ricca, grande bella superba Costantinopoli.
Ma e d’onde mai tanta pieghevolezza nell’animo del vincitore di Massenzio e due volte domatore di Licinio alla presenza dell’umile Silvestro? D’onde tanta generosità nel Signore di quel Trono, che dissoluto e crudele pei tributi e tesori di centoottantamila leghe quadrate non avea più forte sostegno che l’ambizione? D’onde tanta riverenza nell’erede di quella Roma che sede dell’orgoglio, imponendo dall’Oceano Atlantico all’Eufrate e dal Muro Antonino al monte Atlante i suoi voleri a venticinque diverse nazioni, si gloriava di riscuoterne ancora gli omaggi? D’onde mai tanta religione nel cuore dell Imperatore Costantino?
Dio immortale! È da voi che solo disponete del cuore e del volere libero degli uomini con quei modi che sono proprii solamente della vostra infinita potenza. Da voi, che solo Dio dei secoli eterni, solo Creatore di tutto l’universo, solo vincitore di tutte le potenze che ne aveano abusato in ogni reprobo senso, e che vi avevano misconosciuto e vilipeso con ogni specie di superstizioni, con ogni sorta di vizii, con ogni maniera di atrocità, avete voluto dare con questo atto una prova pubblica del vostro trionfo sul regno di Lucifero, che da quel seggio supremo di tutti i poteri degli Dei e degli uomini dominava tutta la terra colla prepotenza di questi, e col prestigio di quelli. Da voi, che volendo elevare la Cattedra della verità per significare gli oracoli della increata vostra Sapienza, edificare il tempio della virtù, per pubblicare i decreti della vostra divina volontà costruire, l’altare dell’Olocausto per offerire la Vittima immacolata, innalzare il soglio del vostro dominio supremo per ricevere pubblicamente gli omaggi e le adorazioni dei vostri redenti, avete voluto impiegare per tutto ciò i frantumi del trono dell’idolatria, dell’errore, dell’empietà, dell’arbitrio affinché più facilmente potessero tutti i popoli venire alla cognizione della vostra Religione santissima e persuadersi per la grandezza del trionfo, che la vostra croce non è né scandalo, né stoltezza. Da voi che dovendo avere una Reggia la quale rappresentasse il vostro potere sulla terra avete consegnato al Custode del vostro Santuario e del vostro Tabernacolo, all’Interprete delle vostre leggi, al vindice del vostro onore, al dispensatore dei vostri tesori, al centro dell’unità della vostra Chiesa e Capo di tutti i membri che la compongono, al vostro Vicario insomma e rappresentante, la città dei Sette Colli che sola per le sue memorie e sue venture rispondeva alla sublime dignità e missione del vostro Pontificato.
Egli è perciò che Iddio protesse mai sempre, con una provvidenza speciale e con un continuo miracolo, ciò che con un miracolo ancora aveva egli medesimo fatto. E qui per tutta brevità, scendendo da Silvestro per i grandi S. Leone, S. Gregorio fino ad Adriano, percorriamo, Fratelli dilettissimi, nelle cronache delle storie le epoche relative ad Alarico, Attila, Odoacre, Totila, Alboino, Astolfo, Desiderio. Ma quale spettacolo di vicissitudini in cinque secoli! La penna e l’animo nostro rifuggono dal riferirvi le stragi, le crudeltà, le devastazioni, le prepotenze, il vandalismo in una parola con cui anche quei popoli che non ne avevano e ne sdegnavano il nome, distruggevano l umanità, rovesciavano i troni, usurpavano le proprietà, spegnevano le dinastie, s’appropriavano il potere, sfasciavano per dir breve lo stesso Impero, consegnato esso pure, come quello di Alessandro, allo spirito desolatore della divisione. E quindi tutto ciò noi lasciamo sotto il velo del passato per non aggravare il presente colla memoria di avvenimenti non più dolorosi pei nipoti, che umilianti per gli antenati. E solamente noi vi diremo che fra tante rovine ed ambizioni il solo Pontificato, protetto dalla virtù di Dio e dal suo spirito rivestito, pubblicando i dommi e le massime della vita eterna, non pur attraversava colla sua privilegiata sede i nembi e le tempeste, ma anche rendeva ai figliuoli del Vangelo meno sentito e profondo l’urto di tante passioni in lotta quasi permanente. Che egli solo animato dal sentimento della carità e della giustizia, riducendo al suo proprio mezzo l’uso dei beni terreni, condannando la voluttà e fulminando l’orgoglio ed il principio della schiavitù, predicava la pace e l’amore agli uomini di buona volontà; onde non fu maraviglia che mentre gli altri popoli ricevevano la sua dottrina e ne riconoscevano l’autorità spirituale, i più vicini in tempi così tristi e calamitosi si dessero essi medesimi ai Successori di Pietro, eziandio per essere governati temporalmente, a mano a mano che gl’Imperatori di Bisanzio per la prepotenza degli eventi abbandonavano le loro possidenze in Italia. Che egli solo protettore delle arti belle e delle scienze, che aveva vivificate collo spirito e genio cattolico, facendo sorgere dalle ceneri del fuoco dei Goti più bella e più pura che non sorgesse dagli avanzi degli incendii di Nerone, la sua Roma in cui la spada nemica guidata da una intelligenza superiore, percotendo tutto ciò ch’era destinato a perire, fu costretta contro le sue più decise risoluzioni a risparmiare quanto veniva notato col segno della vita, e componendola in pari tempo colle sue dipendenze ad una più durevole e robusta vita civile morale e religiosa, basata non più sulle prepotenze della Signoria, ma sugli ufficii del consiglio dava le norme e l’esempio del giusto e paterno governamento dei popoli. Che egli solo portato dallo spirito del Signore che lo tutelava nelle sue più vitali e dure battaglie suscitate da coloro che per invidia di residenza avrebbero voluto procurarne la rovina, raccogliendo i rottami dei troni rovesciati ed i resti dell umanità massacrata, e novello creatore, inspirando in essi il soffio vivificatore della nuova vita cristiana e della nuova scienza divina, rigenerava l’umanità creando nuove società, nuovi regni, nuovi diritti fondati non sulle pretensioni dell’ambizione, ma sui doveri della dottrina evangelica, restando egli pure riconosciuto da tutte le potenze e da tutti i popoli cattolici Sovrano temporale di quegli Stati che erano indicati col titolo di Patrimonio di S. Pietro e della Chiesa Cattolica. Ecco ciò che noi solamente vi diciamo, lasciando a voi l’incarico di rivedere ulteriormente nelle storie da Stefano III a Pio IX, da Pipino al Terzo dei Napoleoni, come il Pontificato elevandosi sulle rovine del vecchio mondo frenasse le usurpazioni, proteggesse la libertà, emancipando nella sola donna la metà del genere umano, riformasse la vita pubblica colla sua morale, tracciasse la giusta via ad ogni ramo dell’umano sapere, promuovesse l’amore e la carità fra i popoli, consolidasse i dommi sociali, stabilisse le leggi della giustizia e del dovere, formasse le basi del diritto pubblico, facesse trionfare il bene e la verità e battezzando il nuovo mondo, creasse la moderna civilissima Europa. E noi frattanto chiediamo ai nemici suoi se un fatto così stupendo, rappresentato sempre, tanto sotto i fieri colpi della scure come sotto gli splendori e la maestà del Triregno, da un vecchio Sacerdote dai capelli bianchi e dalla fronte rugata, compiuto colle sole armi della fede e dell’amore, difeso solamente dalla giustizia e dal proprio diritto, non apparisca al mondo ammiratore fornito di alti e di caratteri sovrumani? Se non sia egli un effetto di quella speciale provvidenza con cui Dio dirige sino alla fine dei secoli la grande opera dell’eterna salvezza degli uomini? Se non dipenda punto l’effetto di quest’opera dalla ricognizione del supremo potere e della sovranità assoluta di Dio su tutte le creature? Se non sia logico e conveniente che il suo Vicario rappresenti questo potere e questa sovranità che abbraccia non solamente lo spirito, il cielo, l’eternità, ma pure il corpo la terra, il tempo e tutto insieme l’altro e questo mondo ancora? Se possa mai darsi una degna rappresentanza di tale potere e di tale sovranità senza reggia, trono, scettro e regno, costituendo Iddio autore di questo controsenso del suo Pontificato?
Se non che studiamo ancora per un momento, Fratelli dilettissimi in Gesù Cristo, questo fatto meraviglioso del Dio vivente da cui tutto viene disposto in numero peso e misura per servire ai disegni della sua infinita misericordia che in nessun altra delle sue opere si manifesta in un modo più consolante e più proprio come in quella dell’umano riscatto, che per divina disposizione si effettua nel corso del tempo e nei limiti dello spazio mediante il solo ministero del Papato. Ora volendo Iddio che l’esercizio di questo ministero si presentasse anche ai meno disposti per accettarne l’azione, affatto scevro di quelle difficoltà che le passioni umane, facili pur troppo a rigettare ogni sentimento di dovere, sapessero anche non imprudentemente nell’ordine comune delle cose suscitare fra i mezzi di cui potea disporre nell’infinita sua sapienza, egli ha prescelto a tal fine quello del governo temporale dei Papi, per quei motivi eziandio meno oscuri e profondi i quali lasciansi da noi più facilmente conoscere. Essendo infatti i sommi Pontefici i maestri della verità, i custodi della morale, i difensori della giustizia a vantaggio di tutto il genere umano, come accettarne la dottrina, come seguirne le norme, come riverirne le decisioni senza sospetto di pressione o al meno di influenza per parte di quel potentato di cui fossero essi costituiti sudditi? Come non dubitare della libertà e dell’indipendenza della loro parola dei loro ufficii, dicasteri, congregazioni, concistori? Come non temere d’intrighi nei provvedimenti, di incagli nelle operazioni, di deferenze negli ordinamenti? Come non prevedere degli ostacoli per poter arrivare al bacio del loro sacro piede, per ricevere dal loro labbro infallibile gli oracoli, i voleri, le disposizioni sopra qualunque materia della loro giurisdizione apostolica? Forse che l’apprensione di questi ostacoli è un imprudenza di mente esaltata? Prendete nuovamente fra le vostre mani gli annali della Chiesa e da Clemente V a Gregorio XI vi troverete provata la sussistenza di queste difficoltà suscitatesi, appunto quando la Sede Pontificia esulava prima in Lione ed in Avignone dipoi.
Altronde quante lusinghe di preponderanza e di predominio non sono da supporsi nell’animo di quel sovrano che si vantasse d’avere sotto il suo scettro un tanto suddito? Quante tentazioni di prepotenze avvisandosi di dominare tanti milioni di cattolici sparsi fuori dei suoi Stati dominando il Pontefice loro centro e loro Capo? Al contrario quanti motivi di gelosia e di diffidenza negli altri sovrani? Quanti sospetti e quanti dubbi sulle mire e tendenze dei cattolici dei loro Stati? Oh Dio! Qual abisso di presupposti e di soprusi! Qual vortice d incertezze e di timori! Qual turbine di conseguenze funeste da uno stato parimenti funesto! La voce del Pontefice non sarebbe più rispettata dagli altri governi come l’oracolo giusto e spassionato di Dio, ma temuta come l’espressione interessata ed iniqua del suo Signore temporale. Le sue decisioni sarebbero aduggiate come usurpatrici delle regalie straniere a favore del suo sovrano. Il culto cattolico sarebbe tenuto come un mezzo non più diretto a dimostrare il supremo dominio di Dio. ma quello del felice Monarca che impererebbe sul suo vicario. Il Cattolicismo in conseguenza diverrebbe per sola ragione politica in questo Stato, esclusivamente la religione dominante ed ufficiale come per la ragione medesima sarebbe dagli altri tutti bandito. E quali sarebbero le conseguenze di queste lotte animate dalla ragione di Stato? Le prime persecuzioni e l’antica barbarie le quali inorridirono l’animo di quel Grande che trovava il bene dell Europa nell’essere la Sede del Pontefice, che egli avrebbe creato ove non esistesse non in Parigi od in Vienna o in Madrid ma sibbene nella sua Roma. E questa induzione è così logica nell’ordine dei mezzi umani che la miscredenza e la empietà nemiche di ogni autorità e di ogni legittimo potere, non potendo conseguire la giurata distruzione della religione cattolica coi mezzi dei quali poterono disporre nell’attuale sistema delle cose, adottarono quello di rovesciare prima di tutti gli altri facili a seguire poi nel precipitoso declivio il trono del Romano Pontefice.
Ma oltrechè Iddio non è il tentatore della fede e dei suoi figliuoli di cui vuole amorevolmente la salvezza egli non è pure nelle sue opere meno provvido degli uomini o meno conseguente di loro nei suoi eterni consigli. Laonde essendo egli il sovrano assoluto di tutto e di tutti, epperò non soggetto ad alcuno, ha provveduto che il suo Vicario rivestito del suo potere e circondato da un raggio della sua maestà, fosse sovrano anch’egli e che quindi non fosse egualmente suddito di niuno dei Monarchi della terra. Con quest’ordine mirabile di provvidenza, stabilito e sostenuto con un continuo miracolo, i diritti di Dio sono rappresentati e difesi con quel decoro che si conviene alla sua divina Maestà e si rendono quasi visibili all’occhio dell’uomo. Questi per ricevere la religione della croce e per adempierne i precetti e le massime non trova altro ostacolo che la ripugnanza ed ostinazione della sua volontà. I nemici della Chiesa deposta la spada non hanno altr’arme per combatterla che la calunnia di cui si sono mai sempre ignobilmente serviti. La religione senza ricorrere ai primi strepitosi e continui miracoli adempie incessantemente la sua missione di rigenerare e di incivilire il mondo ed i Monarchi per disposizione divina ne sostengono il trono affine di evitare le conseguenze temporali del suo rovescio. E dopo tutto ciò si negherà tuttavia che il governo temporale del pontificato è l’opera di Dio fatta dai secoli e per loro ancora ben fatta?
I nemici della Religione del Nazzareno e d’ogni altra legittima autorità osano ancora negare tanta evidenza, perché distrutto il soglio pontificio non havvene un altro solo che possa reggere all’urto delle loro macchinazioni. Ond’è che non a torto il regnante Pontefice c’invitava alla preghiera affinché Iddio nell’eccesso della sua clemenza infinita illumini queste menti e corregga questi animi traviati, consolando così il suo cuore ed abbreviando il tempo della prova. Egli è vero e sta scritto a caratteri indelebili che le porte dell’ inferno non prevarranno contro quella Chiesa la cui pietra angolare è Gesù Cristo, il cui sposo è Dio, la cui guida è lo Spirito Santo, la cui testimonianza è il Verbo di Dio, il cui nutrimento è l’Eucaristia, i cui custodi sono gli Angeli, il cui premio è Dio medesimo, sommo vero e sommo bene. Egli è vero ancora che invano i turgidi flutti dell’incredulità urtarono il Pontificato per sommergerlo perché, come quelli del mare sul lido dovranno essi pure risolversi in ischiuma giunti appena a quella corona di spine ed a quello scettro di canna che ricevette dal suo istitutore divino. Tutto ciò è segnato a note incancellabili e le istorie ci dimostrano che immobilmente assiso sulla colonna non più infame del suo Fondatore, il Pontificato stringendo con una mano i tempi andati ed avendo nell’altra il libro sigillato dei secoli avvenire di cui egli solo sente vivamente l’istinto, vide addensarsi sul suo capo con gran fracasso diciotto secoli e mezzo di tonanti procelle, che pur mirò sciogliersi in benefica rugiada scese appena a scalzarne il piede”.