La rivoluzione liturgica voluta dal Concilio non interessò solo la messa, ma anche tutti gli altri rituali. Su Radio Spada è stato trattato, per esempio, il grande problema della validità dei nuovi riti di ordinazione posto dagli esponenti del sedeprivazionismo e sedevacantismo. Questi nuovi rituali precedettero di un anno l’entrata in vigore del Novus Ordo Missae. A questo primo periodo di riforma si riferisce questo articolo che riprendiamo da fsspx.news. Il lettore scoprirà quanto siano datati certi problemi che si suppongono recentissimi.

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Forte dei principi definiti dal Concilio – partecipazione attiva dei fedeli ed ecumenismo -, il Consilium intraprende la totale sovversione della liturgia romana. Uno sconvolgimento in più fasi.
La nuova messa sarà il culmine di questo lavoro di riassemblaggio della liturgia cattolica, ma verranno modificati anche tutti i rituali dei sacramenti, oltre ad una serie di riti aggiuntivi.
La concelebrazione e la comunione sotto le due specie
Il 7 marzo 1965, il Consilium promulgò un decreto sulla concelebrazione e la comunione sotto le due specie ispirato dall’intento ecumenico. René Laurentin lo suggerì nel 1963: “La comunione sotto le due specie non dà qualcosa in più di Cristo rispetto alla comunione sotto l’unica specie del pane. Ma lo significa meglio. (…) Questo sarebbe un esempio di grande portata ecumenica” [1]. Aggiunse l’anno seguente: “Questa restaurazione è importante per l’ecumenismo perché il rifiuto del calice ai fedeli è stato un fattore di opposizione inutilmente violenta ai protestanti” [2]. Dopo il Concilio, riassunse: “Era quindi importante, da un doppio punto di vista teologico ed ecumenico, affermare chiaramente, in linea di principio, che i fedeli hanno un diritto fondamentale al calice, proprio come il sacerdote” [3].
La Congregazione per il Culto divino fornisce questa spiegazione nel 1970: “Va sottolineato che la comunione sotto le due specie è sempre rimasta in vigore nella Chiesa cattolica (principalmente nei riti orientali), nella Chiesa ortodossa, ed è vista con gran rispetto in altre confessioni cristiane. Da qui la grande importanza della nuova disciplina per l’ecumenismo” [4].
Il ritorno a una pratica a lungo abbandonata nella Chiesa latina non aveva quindi altro scopo se non quello di promuovere il riavvicinamento con ortodossi e protestanti, ignorando completamente le ragioni di un’usanza secolare in Occidente. Nella pratica, la reintroduzione di questo rito incontrò numerosi ostacoli che ne limitarono l’impatto.
La traduzione di Padre Nostro
All’inizio del 1964, una commissione congiunta di cattolici, ortodossi e protestanti iniziò a elaborare una traduzione comune della preghiera del Padre Nostro in uno spirito ecumenico. Il risultato, imposto per la festa di Pasqua del 1966, fu presentato in un comunicato stampa: “Nello sforzo dei cristiani verso l’unità, l’adozione di un testo comune per la preghiera del Signore è un segno di vasta portata ecumenica” [5]. I vescovi di Francia introdurranno questa preghiera nella messa in francese.
Il nuovo testo si basa sugli elementi comuni conservati nelle versioni ricevute dai Cattolici e dai Riformati. Introduce in francese la familiarità con Dio e cambia quattro parole. La maggiore difficoltà riguarda la sesta richiesta: “E non lasciarci soccombere alla tentazione”, trasformata in “E non sottometterci alla tentazione”. Questa traduzione ha una pericolosa ambiguità: Dio non è l’autore della tentazione, ma può permetterci di essere sottoposti ad essa. “Sottomettere” può essere inteso come se Dio fosse l’autore della tentazione.
Istruzione sul culto eucaristico
Il 1967 fu il primo di tre grandi anni di riforme. L’istruzione Tres abhinc annos (4 maggio 1967) autorizza in particolare il Canone in lingua volgare e promulga le ultime riforme parziali della messa tridentina.
Il 25 maggio 1967, l’istruzione Eucharisticum mysterium fu promulgata congiuntamente dalla Congregazione dei Riti e dal Consilium. Il testo promuove l’uso dell’espressione Missa sive cœna dominica. L’espressione “Cena del Signore” per designare la Santa Messa, con un’ovvia connessione con i protestanti, diventerà generalizzata. Si troverà nel 1969 nell’istituzione generale del Messale romano per descrivere la sinassi eucaristica. Inoltre, l’istruzione chiede ai pastori di insegnare ai cristiani a riconoscere la realtà dell’Eucaristia delle comunità ecclesiali non cattoliche che hanno conservato un autentico episcopato (gli ortodossi) e, d’altra parte, a scoprire i valori positivi della “Santa Cena” di altre comunità cristiane, in linea con il decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II (21 novembre 1964, n. 22).
In tal modo viene implementata un’inversione completa. D’ora in poi, si sarebbe dovuto guardare con rispetto le cerimonie condannate dalla Chiesa e riconoscere il loro valore eucaristico, mentre a un cattolico era proibito di parteciparvi attivamente.
I riti di ordinazione
Nel 1968 i riti dell’ordinazione furono rivisti. Dom Botte, presidente della commissione ad hoc del Consilium, racconta come la nuova formula fu presa dalla Tradizione Apostolica di Ippolito di Roma (III secolo). Questa decisione fu fortemente contestata. Infine, “ciò che ne determinò decisione fu il valore ecumenico di questo testo”6. “Riprendendo il vecchio testo di rito romano, abbiamo affermato l’unità di vedute dell’Oriente e dell’Occidente sull’episcopato. Era un argomento ecumenico. Fu decisivo” [7].
Il 18 giugno 1968, ottenne l’approvazione del Papa con la costituzione Pontificalis Romani : “Il ritorno alla tradizione apostolica di Ippolito, un prezioso documento dell’antica tradizione, rappresenta in sé un processo ecumenico di grande rilievo, come lo fa notare la costituzione apostolica di approvazione” [8].
Questa tradizione apostolica è tuttavia una raccolta di testi di varie epoche e di varie origini e non può essere attribuita a Ippolito di Roma. Alcune parti sono persino ricostruzioni discutibili, come la famosa anafora diventata il Canone II della nuova messa.
Lo stesso dicasi, mutatis mutandis, per riti di ordinazione. Nel voler tornare all’antica tradizione romana con un colpevole archeologismo, gli esperti fecero solo un mix di elementi, in cui molti riconobbero, a posteriori, solo un riflesso delle loro preoccupazioni e della loro interpretazione del passato.
[1] René Laurentin, L’enjeu du Concile. Bilan de la première session, Seuil, 1963, p. 24.
[2] René Laurentin, L’enjeu du Concile. Bilan de la deuxième session, Seuil, 1964, p. 249.
[3] René Laurentin, Bilan du Concile Vatican II, Seuil, Livre de vie, 1967, p. 157.
[4] « Notulæ ad instructionem de ampliore facultate sacræ communionis sub utraque specie administrandæ », Notitiæ 57, settembre-ottobre 1970, p. 328.
[5] « Communiqué conjoint des diverses confessions », DC 1463, 16 janvier 1966, col. 182.
[6] Bernard Botte, « L’ordination de l’évêque », LMD 98, 2e trimestre 1969, p. 120.
[7] Bernard Botte, Le mouvement liturgique. Témoignage et souvenirs, Desclée, 1973, p. 168.
[8] Jean-Marie Roger Tillard, « La réforme liturgique et le rapprochement des Eglises », in LODU.
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