>>> Il liberalismo è peccato. Questioni che scottano. Di Felix Sardà y Salvany <<<

Nuova recensione di Piergiorgio Seveso

Il liberalismo è un mostro che ben non si sa se sia uomo o bestia. Ma certamente dacché è mostro, è fiera spaventosa. Benché dissi male in chiamarla fiera. Una fiera è nata per essere feroce e mostrarsi accanita sempre. Il liberalismo invece è un mostro così strano che apparisce come uomo di casa, come domestico di famiglia e per poco vuol essere tenuto come amico. Anzi agogna alla vostra confidenza, e quando ei parla se voi non gli credete si mostra indignato e vi denomina incivili verso a chi vi benefica, mal curanti dell’utile proprio. Ma vatti, vatti, che tu sei, o liberalismo, la brutta bestia. Ti ravvisiamo dalla voce e dalle opere. La voce del liberalismo è parola di infingimento, e le sue opere sono nulle ovvero che si estendono per accarezzare il vizio, per adulare la carne.

(Servo di Dio Don Luigi Guanella)

Finiva con questa citazione del carissimo don Guanella, gloria del clero lariano, la mia prefazione a “Il liberalismo è peccato” di Felix Sarda y Salvany di quattro anni fa. Già il fatto che sia il curatore di quest’edizione a farne una recensione rende bene lo spirito battagliero e per nulla convenzionale della nostra casa editrice.

Primo fine della nostra casa editrice è il rovesciare le are del “cattolicamente corretto”, spezzare le metope, svellere i triglifi di un certo “tradizionalismo cattolico” cortigiano e assuefatto a tutto, abbattere le cariatidi del “quieta non movere” per non disturbare i manovratori neomodernisti di ieri, oggi e domani.

Siamo quindi ovunque serva, senza paludamenti accademici, senza pose culturali soverchiamente inutili, senza nemmeno le titubanze e le cautelosità di una certa “buona stampa”. Quest’edizione era assolutamente necessaria per il pubblico di lingua italiana perchè era da fine ottocento ovvero dalla traduzione del benemerito padre Gaetano Zocchi che mancava una versione italiana, aggiornata (almeno nello spirito) di quest’opera benemerita.

Non era mancata nel 1972 una ristampa anastatica da parte dell’editrice Forni di Bologna ma realizzata per finalità di documentarismo culturale sulle correnti antiliberali e antimassoniche dell’epoca e non certo con l’impegno militante, controrivoluzionario e cattolico integrale messo in piedi da questa casa editrice. Era necessaria quindi e l’abbiamo realizzata.

Avere quindi nella propria libreria quest’edizione è anzitutto un atto di fede, di coraggio e di anticonformismo ma tutto sarebbe vano, tutto si limiterebbe ad un mero esercizio di retorica ed estetica reazionaria se questo libro non fosse interiorizzato dai nostri lettori, non diventasse parte integrante delle loro vite, del loro modo di porsi all’interno dell’attuale quadro ecclesiale, sociale e politico.

Come avrete ben colto, il principale significato del saggio di Padre Salvany travalica la sua opera, il suo tempo e anche le contingenze polemiche in cui è stata realizzato e si inserisce nell’eterna lotta tra Cristo e Belial, tra la Civitas Dei e la Civitas hominis.

E in un’epoca come la nostra in cui l’aggettivo “profetico” è ampiamente utilizzato e risulta essere essenzialmente una copertura fraudolenta per nefandezze teologali e sperimentalismi omicidi, ben a ragione il testo del prelato spagnolo si rivela profetico nella denunzia del cattolicesimo liberale, della politica dell’amalgama e del compromesso di piccolo cabotaggio che di male minore in male minore ci ha portato ai disastri di oggi.

Dai “cattolici fedeli al Re e allo Statuto”, siamo passati ai “cattolici moderati, patriottici, nazionali” e poi all’aconfessionalismo dell’Internazionale bianca e demo(no)cristiana, dai cantori della “Conciliazione” siamo passati al cantori della Costituzione, via via sino agli attuali nefasti dei “diritti civili”.

E se all’epoca l’autore potè contare sull’appoggio e sull’approvazione della Santa Sede, oggi invece i nemici che il buon padre aveva combattuto nelle sue pagine, hanno de jure e de facto trionfato dentro e fuori la Chiesa nell’ultimo cinquantennio. Non solo hanno trionfato ma hanno la fattuale apparenza di aver sbaragliato definitivamente tutti i fronti avversari. Quelle stesse “autorità” ecclesiali, più volte invocate dall’autore nel proprio saggio, come guarentigia e scudo per le posizioni cattoliche romane, si son fatte banditrici e propagatrici di tutte le più inique, antistoriche, disumane e omicide posizioni del Liberalismo rivoluzionario (sia esso “progressista” che “conservatore”). Il tangibile vuoto d’Autorità (a partire dalla Suprema sede sino a giungere alle ultime lande delle parrocchie terminali, trasformate in ospedali da campo per disagiati) è reso ancora più vivo e sanguinoso dalla lettura di queste pagine.

Lo dicevo allora nell’Ottava di San Pietro e lo ripeto oggi in un altra medesima Ottava, invitandovi ad acquistare e a leggere questo libro per i cattolici della diaspora e dell’esilio ecclesiale contemporaneo.

Perchè, come diceva acutamente Orazio Maria Gnerre, nella postfazione di quest’edizione:

“Se è vero che il peccato originale fu il primo atto di liberalismo, è vero che l’epoca attuale, che per ogni cristiano autentico non può che essere quella della fine imminente, è quella della realizzazione più profonda delle premesse del peccato originale, dell’origine del peccato. L’epoca della compiuta peccaminosità, come scriveva Fichte. Il liberalismo è peccato ma il liberalismo è il peccato. Il liberalismo è la condizione esistenziale dell’inferno. Se i reduci di uno schieramento ormai allo sbando, identificando il Nemico, potranno conservare la speranza, forse, quando Cristo tornerà la seconda volta per rovesciare la torre di Babele, troverà ancora la Fede”.

Buona lettura a tutti!

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