Articolo di Diego B. Panetta, originariamente pubblicato con il titolo di “Pandemia in assenza di Dio” su lintellettualedissidente.it
Di là dal mondo in cui viviamo, esiste, in uno sfondo lontano, un altro mondo ancora, ed ambedue presso a poco si trovano nello stesso rapporto, che la scena del teatro e quello della realtà. Noi vediamo attraverso un velo sottilissimo un altro mondo di veli, più tenue, ma di più intenso carattere estetico del nostro, e di un valore differente dai valori delle cose. Molti esseri che appariscono materialmente nel primo mondo, non appartengono ad esso, ma hanno nell’altro la loro vera dimora. Epperò quando un uomo in questo si dilegua, e quasi del tutto viene a disparirvi, può essere a causa di uno stato di malattia o di uno stato di salute.
S. Kierkegaard, Aut-Aut
Queste sono solo alcune delle righe fresche e ancora attuali con cui inizia il Diario del seduttore, tra le più note opere di Søren Kierkegaard (1813-1855). Durante le fredde giornate danesi, egli amava rifugiarsi nella scrittura “sub-creando”, per parafrasare Tolkien, un mondo ai confini tra la penetrazione psicologica e l’indagine filosofica. Eppure, a distanza di ben due secoli, chi oserebbe affermare che tra il suo Don Giovanni e l’uomo della post-modernità non vi sia alcuna similitudine? L’uomo estetico, il cui profilo è ben tratteggiato in una parte della sua vasta opera Aut-Aut (1843), è caratterizzato dall’istinto, dall’immediatezza, dalla voracità con cui egli anela sensazioni uniche, agognando l’irreale, unica sua realtà. Egli è un uomo raffinato, convinto che la vita sia come la tela di un dipinto sulla quale registrare con tatto ed eleganza le emozioni percepite dai sensi, che la mente stimola continuamente come un perpetuo processo di affinamento.
Egli soffriva di una exacerbatio cerebri, sì che il mondo reale non poteva avere per lui sufficiente stimolo, se non in modo interrotto, a momenti. Egli non stttraevasi alla realtà: poiché non era troppo debole per sopportarla, ma troppo forte; e in questa forza appunto era la sua malattia. Tosta che la realtà aveva perduro la sua forza stimolatrice, si trovava disarmato e lo spirito del male era presso di lui. Di questo egli era conscio nell’istante stesso dell’incitamento e in questa coscienza stava il male.
S. Kierkegaard, Aut-Aut
La realtà, questa misconosciuta, è assunta per ciò che non è. Essa è compresa in delle coordinate che non le appartengono dietro le quali si sceglie di rifugiarsi, o quanto meno, si crede di scegliere. L’uomo “obliquo” – come lo definisce Evola –, discentrato non poggia su nient’altro che non sia la mutevolezza delle sue sensazioni; stato innaturale, antiumano che contrasta la sua aspirazione verso l’assoluto. Eppure egli è capace di far da sé, di “costruirselo” un mondo, o per lo meno, di illudersi di poterlo fare. Il padre del Decadentismo Joris-Karl Huysmans (1848-1907) presenta sotto questa luce il suo Des Esseintes, protagonista del suo celebre romanzo À rebours. Il giovane francese decide che è il momento di tagliare i ponti con la società borghese che lo circonda, per rifugiarsi in una casa vicino Parigi e ricrearsi un mondo a sua misura. Acquari, profumi esotici, camere ritagliate secondo i suoi voleri, tutto deve corrispondere al suo desiderio del giorno, per soddisfare il capriccio di vivere in un sottomarino, piuttosto che in un’isola tropicale o in una comoda casa di campagna. Dopo aver letto il romanzo, Barbey d’Aurevilly (1808-1889) scriverà:
Dopo un libro come questo, al suo autore non resta più che scegliere tra la bocca d’una pistola e i piedi della croce.
Barbey d’Aurevilly
Huysmans sceglierà “i piedi della croce” e morirà da oblato benedettino. La “bocca d’una pistola”, al contrario, è la via che l’occidente ha imboccato da quando ha proclamato la morte di Dio.
In tempi di pandemia, come quello che abbiamo appena lasciato alle spalle e quello che avremo dinanzi, in una situazione di perenne instabilità, l’uomo ha decretato la morte dei rimedi spirituali, per buttarsi sui molto più confortevoli psicofarmaci o esotici guru orientali. Generazioni di morfinomani non dichiarati abitano le nostre strade, scorrono nei vicoli delle nostre città, percorrono centinaia di km incapaci di soffrire, o meglio, di dare un senso e perfino un valore a quella sofferenza. Più psicofarmaci, meno chiese sembra essere il leit motiv del XXI secolo. Di fronte al Covid gli stati decretano la chiusura delle chiese, vietando le Messe, non ritenendole così “utili”, dopotutto. In fondo, è molto più “utile” nutrire la disperazione della gente narcotizzandola che non impedendole di unirsi all’unico Sacrificio redentivo avvenuto per la salvezza degli uomini, e attraverso quel Sacrificio offrire i propri sacrifici, di ciascuno di noi, dando così un senso profondo e salvifico alle croci quotidiane.
La maggior parte degli uomini di Chiesa sembra non accorgersene o addirittura essere in combutta con coloro i quali desiderano che la parte spirituale dell’uomo non debba essere nutrita, rinforzata. Alla santità, la Conferenza episcopale preferisce il civismo. Al cattolico non deve essere più mostrato l’esempio di Abramo, “l’eroe della fede”, che dopo aver sentito la chiamata di Dio parte con la moglie verso l’ignoto alla ricerca della Terra promessa. Colui che per amore di Dio è disposto a sacrificare il suo unico figlio, Isacco. Molto più “utile” proporre ai fedeli l’uso della mascherina, il rispetto del distanziamento sociale e, perché no, anticipare il governo nella scelta di chiudere tutto: chiese, santuari e quant’altro.
Una saracinesca si è chiusa, infatti, tra l’uomo e Dio con il silenzio deplorevole di coloro i quali poco o nulla hanno fatto per venire incontro alle esigenze degli “affamati”. Il “pane quotidiano” di cui l’uomo necessita è la speranza di ricongiungersi un giorno con Dio. Di varcare i confini della temporalità per gettarsi nell’abbraccio dell’Eterno, reso presente nella Eucaristia. Questa è la fonte per mezzo della quale l’uomo perviene ad una cristallina visione di sé e del mondo che lo circonda. Scriveva il pensatore colombiano Nicolas Gomez Davila:
Se Dio non esiste tutto è permesso? No. Se Dio non esiste, nulla ha importanza. I permessi sono risibili quando i significati si annullano.
Nicolas Gomez Davila
Cosa aspettare allora a ridonare significato alla realtà, rendendo giustizia a chi l’ha posta in essere? Varchiamo il sagrato di una chiesa accogliente, rinfranchiamoci i sensi con una volta gotica o barocca, imbracciamo il Santo Rosario e dichiariamo guerra al nostro tempo, uniti su di un comune fronte: quello dell’essere contro il divenire.