«Sanguis martyrum semen christianorum» scriveva Tertulliano nel suo Apologetico, e diceva il vero. Prezioso, vivo e vivificante è il sangue effuso per Gesù Cristo! Tanto prezioso, che non di rado veniva conservato e venerato: pensiamo al sangue di san Gennaro, di san Lorenzo, di san Pantaleone. Oggi ricorre la festa di una pia donna che fra gli altri servizi resi a Dio ed alla Chiesa può vantare la cura dei Martiri, la loro sepoltura, la devota riposizione delle loro reliquie e del loro sangue: santa Prassede.

Jan Vermeer, Santa Prassede, 1655
[da qui]

Non è nuovo tra gli antichi cristiani il vedere egualmente perfetti i genitori e i figliuoli; con tanto studio ed amore seguivano le famiglie i comandi e perfino i consigli dell’Evangelo. Una fortuna così bella toccò ancora a Pudente e Sabina amendue romani di nobilissima stirpe consolare, i quali non solo dalla Chiesa sono venerati per santi, ma tali eziandio furono Novato e Timoteo preti, Pudenziana e Prassede vergini venuti alla luce da sì avventuroso connubio. Lasciando il parlare degli altri diremo alcun che della sola Prassede, attenendoci in molta parte a quanto ne scrisse il Davanzati [1], ricordato dai Bollandisti, il quale non perdonò ad indagini per fornirci se non di sicure almeno di più probabili notizie essendo apocrifi o assai incerti gli atti che diconsi scritti da Ermete soprannominato Pastore.
Nacque ella dunque in Roma nel secondo secolo della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio e vuolsi che fosse pronipote di quel Pudente che, come ognun sa, albergò nella sua casa san Pietro e fu uno de primi ad essere da lui convertito alla fede nella quale educare poi fece tutta la sua famiglia, divenendo egli stesso uno de più fermi e zelanti proteggitori dei cristiani. Non mancano altri istorici di volere che quel Pudente di cui parla anche san Paolo sia il medesimo che fu poi padre di santa Prassede ed in tale caso essa non sarebbe nata nel secondo secolo ma nel primo. A noi sembra più probabile la opinione che abbiamo abbracciato.
Crescendo Prassede negli anni, crebbe sempre più in lei l’amore per la pietà sì pel domestico esempio sì perché ogni dì più s’istruiva nelle verità di quella fede che aveva la bella ventura di professare. Scorta da soprannaturale lume, benché com’è a credere non le mancassero ragguardevoli giovani che la chiedessero in isposa, preferì le celestiali alle terrene nozze, rimanendosi vergine di corpo e di animo e tutto adoperando per conservare e garantire una virtù che rende gli uomini somiglievoli agli angeli. Pertanto fin quasi dalla fanciullezza imprese una penitentissima vita, dormendo sulla nuda terra, cibandosi per lo più di erbe, vestendo assai neglettamente, esercitandosi in continue preghiere e crocifiggendosi a Cristo per vivere poi eternamente con lui.
Benché tutte le virtù cristiane debbano ritrovarsi in un anima che caMmina per la perfezione, essendo le une dipendenti e legate colle altre, nondimeno come c’insegna santa Caterina da Siena [2], Iddio spesso ne dà alcune quasi come per capo di tutte le altre, così a modo di esempio a chi dà principalmente la carità, a chi la giustizia, a chi una fede viva, a chi una prudenza, una pazienza, una temperanza, una fortezza le quali virtù, come dicevasi, traggono a sé le altre e le fanno più luminosamente risplendere. Ora nella nostra santa pare che in modo particolare sfolgorasse la carità del prossimi e la cura del martiri.
Era ella dotata di viscere così compassionevoli verso i poveri, che non lasciava modo per aiutarli, credendo per fermo non esser lei se non una amministratrice delle sue sostanze per essi. Né li sovveniva solo richiesta, ma in compagnia o deI diaconi o di persone divote o delle sue medesime ancelle conducevasi alle loro case per spiarne ogni bisogno e per accorrere tanto più gradita quanto meno aspettata. Che se avesseli incontrati per via, distendeva subito la mano benefica verso di essi siccome fu un giorno in cui imbattutasi con una mendica famiglia, con largo sussidio consolò ad un tempo i genitori e i figliuoli, i quali nudi e smunti chiedendo pane, straziavano il cuore di chi aveva dato loro la vita. Questo suo spirito di carità era così noto allo stesso pontefice che spesse volte a lei raccomandava i novelli cristiani acciocché fossero da lei provveduti in ogni loro bisogno siccome con grande cuore e consolazione del suo animo faceva. Laonde, essendo assai doviziosa, nulla per sé delle sue ricchezze serbava e viveva come la più vile della plebe.
Della cura poi verso i martiri e i perseguitati cristiani basti il sapere che coraggiosa accorreva negli ergastoli, nelle prigioni, nelle segrete e in qualsivoglia altro luogo si trovassero racchiusi, dandole forza e coraggio la carità di cui ardeva e non pretermettendo industria per venire a capo dei santi suoi desiderii. Ne ascondeva nella sua casa quanti più potesse e cercava tutte le vie per sottrarli alle ricerche e alle mani dei barbari persecutori. Anche in queste opere per non esporsi ai pericoli andava per lo più accompagnata ed era spesso incuorata e diretta dalla sua medesima sorella Pudenziana, né avresti saputo discernere in quale di queste due gentili donne fosse maggiore lo spirito di religione. Avevano sommamente a cuore il dare sepoltura ai martiri, recandone i corpi se non altro nel loro palagio, divenuto più chiesa che casa, né ciò bastando a Prassede ne ricercava di notte le reliquie affinché non andassero disperse o non venissero dai Gentili contaminate. Questo zelo la spingeva tanto oltre che giungeva colle spugne a raccogliere il sangue e quindi il riponeva in un certo pozzo della casa paterna, il quale tutto dì si venera vedendovisi dipinta la santa in somigliante atteggiamento.
Il Signore la visitò, com’egli usa, con molte tribulazioni e per averla a sé unita le tolse prima i genitori, quindi i fratelli, per ultimo la sua maggiore sorella che in età assai giovane la precedette alla gloria. Ella sentì al vivo tali perdite ed in ispecie quella di Pudenziana, colla quale poteva dirsi più unita per vincolo di perfezione che di sangue, nondimeno si rassegnò pienamente al divino volere.
Anelava Prassede alla corona del martirio e con fervide preghiere chiedeva al Signore o di essere esaudita o che quella persecuzione cessasse, ma Iddio ne accettò il solo desiderio seppure dire non si voglia che fosse realmente martire.
In fatti narrasi che l’imperatore Antonino avendo udito come questa nobile vergine fosse la fautrice e proteggitrice dei cristiani, mandò in casa di lei i sicarii per far di essi crudelissimo scempio; e che innanzi ai suoi occhi medesimi barbaramente trucidassero il prete Semetrio con molti altri cristiani; né è fuor di luogo il credere che Prassede indignata contro i carnefici avrà da essi ricevute se non battiture e ferite per lo meno affronti e dileggi. Laonde Anastasio bibliotecario, l’Oldoino, il Panvinio ed altri non hanno dubitato di annoverarla tra le martiri, col quale glorioso nome avvi pure un antico officio di santa Prassede.
Il pontefice san Pio, ch’essendo prete della chiesa romana e vicario d’Igino aveva appieno conosciuta Prassede, e istruitala ancora vieppiù nella fede consapevole della sua bontà e della stima, in cui era presso tutti l’annoverò fra le diaconesse nel quale officio non è a dire con quanta scrupolosità e con quanta esemplarità si diportasse. Se in addietro ora assai più si studiava di essere la prima in tutte le pratiche del cristiani, né mancava mai di andare alle loro adunanze con quella circospezione che le faceva di mestieri per non essere discoperta.
Non possiamo con precisione dire in quale anno morisse, ma se fu ella figliuola non di Pudente giuniore ma dell’altro che accolse san Pietro, converrebbe dire che morisse in età assai avanzata o quasi decrepita essendo stato martirizzato il Principe degli apostoli nell’anno 65 dell’era cristiana. Quello però ch’è certo si è che fu di vita incolpabile e che profondamente i cristiani si dolorarono allo spegnersi di tanto lume.
La spoglia di lei fu onorevolmente sepolta presso quella della sorella nel cemeterio di Priscilla nella via Salara, donde poi in processo di tempo fu trasportata nella chiesa detta da lei di santa Prassede, ove di presente si venera. E questo è uno degli antichi titoli cardinalizi, né potrebbe con precisione dirsi quando fu tale basilica fabbricata. Il Davanzati vuole che nel 318 fosse già titolo cardinalizio e tesse il novero di alcuni preti che lo ebbero. Altri opinano essere ciò avvenuto più tardi e che il culto di questa santa incominciasse a propagarsi alcuni secoli dopo, opinione non contraddetta dai Bollandisti. È noto che san Carlo Borromeo e il ven. Roberto Bellarmino, cardinali di tale titolo, furono restauratori della basilica e promotori delle virtù della santa.
Lasciando a coloro che si danno agli studi delle cose ecclesiastiche l’esame più minuto di tali notizie ad edificazione del nostro spirito, basti il sapere che Prassede fu vergine e che divenne santa per avere professato in tutta la sua vita la religione di Cristo, né essersi mai allontanata da essa. La nobiltà del natali le servì ad essere più umile, la dovizia per versarla in seno del poveri e l’esempio domestico per non tralignarne giammai. La lettura di questa breve vita giovi eziandio a profitto delle anime nostre affinché, siccome diceva san Paolo, né la infermità, né le angustie, né le traversie, né le tribolazioni, né i patimenti, né la stessa morte valgano mai a separarci dalla carità di Cristo.



(Cav. Francesco Fabi Mantovani in Il perfetto leggendario ovvero Vite de’ santi per ciascun giorno, Roma, 1841, vol. II, PP. 149-152)



[1] Notizie al pellegrino della basilica di santa Prassede. Opera del p. don Benigno Davanzati da Firenze, abate di Vallombrosa, Roma, 1725, per De Rossi.
[2] Trattato I della discrezione