Seconda ed ultima parte dell’articolo sulla Notte di San Bartolomeo che riprendiamo da un vecchio numero de La Civiltà Cattolica.
QUI la prima parte.

Giorgio Vasari, Terza storia della Notte di San Bartolomeo, Sala Regia, Vaticano, 1573
[foto da qui]

La prima notizia dell’uccisione dell’ Ammiraglio e di molti capi seguaci suoi, giunse in Roma il martedì 2 Settembre, per un corriere di Lione, spedito dal Danei, segretario del Governatore Mandelot. Ella fu giudicala cosa molto notabile, e mollo cara al Papa ed a tutti; ma sopra tutti gli altri riuscì carissima al Cardinal di Lorena, il quale insieme con l’ambasciatore di Francia , si recò subito al Pontefice per dargliene ragguaglio. Tuttavia, siccome non se ne aveano altri avvisi più autentici da Parigi, si stava ancora in qualche dubbio. Ma ogni dubbio fu tolto il di 5 Settembre, in cui giunse da Parigi il sig. Beauville, Inviato straordinario presso la S. Sede, con lettere credenziali del Re, o con dispacci del Nunzio Salviati. Per questi e per la relazione del Beauville si venne in più ampia cognizione del successo: il quale (scrive un gravissimo testimonio) è stato lodato, per quanto spetta al servizio del Re e del suo regno e della religione; ma molto più sarebbe stato lodato il fatto, se Sua Maestà l’avesse potuto fare a mano salva, come già fece il Duca d’Alva in Fiandra, con la relentione e con la forma delli processi. Nondimeno di tutto si lauda Iddio e la sincera mente di Sua Maestà.
Or qui, prima di proceder oltre, è da avvertire l’aspetto in cui furono presentati a Roma da queste prime notizie i falli di Parigi.
Carlo IX , sommamente ansioso che l’atroce macello non cagionasse sinistre impressioni nel pio e rettissimo animo del Pontefice, volle essere il primo a dargliene la notizia , colorandola nel modo più acconcio a giustificare le uccisioni. Perciò fece pregare il Nunzio di soprattenere il corriero espresso, che questi volea spedire il di stesso del 24 Agosto, e di consentire che i suoi dispacci si mandassero con quei del Re, il quale desiderava che il suo ambasciatore fosse il primo a dar la nuova al Papa. Ora i regii dispacci non partirono che dopo il 26; cioè , dopo che il Re, uscito dalle prime incertezze ed agitazioni, ebbe in solenne Parlamento dichiarato la gran congiura ugonotta, come giusta e necessaria causa delle uccisioni da lui ordinate. Dopo tal dichiarazione, furono dal Re spediti corrieri a tulle le Potenze, per recar loro , insieme colla nuova, la giustificazione del terribile fallo; il Beauville fu inviato a Roma, colle istruzioni dategli, il punto principale fu senza dubbio, ch’ei dovesse rappresentare vivamente l’ atrocità e grandezza della congiura che mirava a rovesciare tutto lo Stato e a distruggere in Francia il cattolicismo; l’ estremo pericolo, in cui il Re con tutta la reale famiglia erasi all’improvviso trovato; e la necessità estrema che l’avea quindi costretto a ordinare, senz’altro processo, il castigo de’rei ed a tollerare gli eccessi della vendetta popolare. Solto questo aspelto appunto è presentata la strage in una lettera del Duca di Montpensier, Luigi di Borbone, al Papa , scritta il 26 Agosto, e recata dal Beauville; la quale può aversi come fedele miraglio del pensiero del Re e dell’ opinione ch’egli volea imprimere dell’ animo del Papa; e sollo il medesimo aspetto vedremo essersi in Roma ricevuta e divulgata universalmente la gran novella. Né a questa rappresentazione, che altronde avea molle apparenze di vera, contraddiceano punto i primi dispacci del Salviati ; anzi la confermavano, parlando delle gran minacce falle dagli ugonotti dopo la ferita dell’Ammiraglio, e quanto alle uccisioni, annunziando solo la sostanza del fatto. Imperocchè le vere ed intime cagioni della strage, il Nunzio di Parigi non poté scoprirle e trasmetterle a Roma che più tardi 2; e le orrende particolarità del macello non poterono qui per venire che assai tempo dopo.
Al sapersi dunque in Roma, che il Re Cristianissimo e tutta la famiglia reale e i principi della sua Corte erano quasi per miracolo scampati da un’orribil congiura , macchinata contro le lor vite; che l’Ammiraglio e i principali ugonotti, autori e complici di tal congiura, erano stati colpiti del meritato castigo; che il popolo parigino, levatosi a furore contro i ribelli settarii, ne avea fatto tremenda vendetta; e che cotesti nemici fierissimi dello Stato e della religione cattolica, i quali voleano l’uno e l’altra rovesciare in Francia, non solo aveano fallito il loro colpo, ma erano stati schiacciati e abbattuti per modo che non potrebbero , per gran tempo almeno, rialzare il capo; al risapersi, diciamo, queste grandi nuove, non è maraviglia che Roma prorompesse in vive dimostrazioni di giubilo e festeggiasse i successi di Parigi, come uno de’più fausti avvenimenti della Cristianità.
Il Pontefice fu il primo a dar pubbliche mostre di esultanza, col rendere a Dio le dovute grazie per così segnalato beneficio. Nello stesso giorno del 5 Settembre, in cui avea ricevute le lettere di Parigi, il Papa, dopo tenuto Concistoro nel palazzo di S . Marco, sua residenza estiva, scese coi Cardinali nell’attigua chiesa di S . Marco, ed ivi dinanzi al SS. Sacramento esposto, intonò il Te Deum. Poscia ordinò, pel giorno 8, sacro alla Nativilà di Maria SSma, una generale processione e festa solenne a S. Luigi de’ Francesi. La processione, allestita per tempissimo, si mosse col canto delle litanie da S. Marco, e passando per le più nobili vie del centro di Roma, s’indirizzò alla chiesa di S. Luigi. Precedevano le Confraternite laicali; indi venivano per ordine, come nella gran processione del Corpus Domini, tutte le corporazioni del clero regolare e secolare; la famiglia pontificia e gli ufficiali di Palazzo, tutti in gala di festa solenne; poi il Suddiacono colla Croce , cui seguivano gli Abbati, i Vescovi, gli Arcivescovi, i Vescovi Assistenti, i Patriarchi e trentatrè Cardinali, tutti parati con mitre; e finalmente, sollo un ricco baldacchino, le cui aste erano alternativamente portale dagli ambasciatori delle Potenze, dai Cavalieri di S . Pietro e da altri nobili, veniva il sommo Pontefice in paramenti Pontificali e in mitra preziosa. Giunta la processione in S. Luigi, fu cantata Messa solenne dal Cardinale di Sens, Nicolò de Pellevè; dopo la quale, sceso il Papa dal trono e inginocchiatosi al faldistorio innanzi l’altare, si cantò il salmo, Domine in virtute tua laetabitur Rex, ed altre preci consuete pel rendimento di grazie, colle quali fu posto termine alla funzione. Lo stesso giorno nelle ore pomeridiane, si fece per la città una numerosissima processione di fanciulli e giovanelli, in candide colle e con rami d’ulivo in mano, che cantavano benedizioni e lodi a Dio per la miracolosa protezione, da lui mostrata sopra il regno di Francia e la Chiesa Cattolica collo sterminio dei rebelles ennemis de Dieu, de son Eglise el de la couronne de France contre laquelle ils avoient conjuré pour l’ usurper.
Il cardinale Carlo di Lorena, il quale dicesi che regalasse 1000 scudi al corriere apportatore delle novelle di Parigi, era in Roma l’ anima delle feste, con cui in quei giorni i Romani, e soprattutto i Francesi e i numerosi aderenti della Francia, della casa dei Guisa e del Re di Spagna, qui celebrarono l’ insperato trionfo, riportato sopra gli ugonotti. Ma alle feste romane egli volle associare altresì lo stesso Re Carlo IX; laonde fattosi interprete ed esecutore del pensiero del Re, nel giorno medesimo 8 Settembre, fece affiggere sopra la porta della chiesa di S. Luigi un gran cartello scritto a letteroni in oro, e tutto inghirlandato a festa, il quale dal latino voltato in nostra lingua diceva così: «A Dio Ottimo Massimo, al Beatissimo Padre Gregorio Papa XIII, al Sacro Collegio degl’Illustrissimi Cardinali, al Senato e Popolo Romano: Carlo IX , Re Cristianissimo di Francia , infiammato di zelo pel Signore Iddio degli eserciti, avendo subitaneamente, a guisa d’angelo sterminatore mandato da Dio, disfatto in un sol colpo quasi tutti gli eretici del suo regno e nemici suoi; a perpetua ricordanza di sì gran beneficio, e pieno di solida e perfetta gioia che ciò accadesse nei principii del pontificato del Beatissimo Padre Gregorio XIII; annunzia e significa come certa la ristorazione delle cose ecclesiastiche, e il vigoroso rifiorimento della religione, che quasi appassita andava in decadenza; ed unito oggi con voi in ardentissime preghiere, assente di corpo ma presente collo spirito, rende di così gran beneficio somme grazie a Dio Ottimo Massimo, qui nella chiesa di S. Luigi suo predecessore, e supplica umilissimamente la divina Bontà, che questa speranza non vada fallita. Carlo, del titolo di S. Apollinare, prete della S. Chiesa Romana, Cardinal di Lorena, ha voluto ciò notificare ed attestare a tutto il mondo, l’anno del Signore 1572, il sesto di prima degl’idi di Settembre»
Né qui terminarono le dimostrazioni della S. Sede. Il Papa scrisse lettere di congratulazioni a Carlo IX ed a Caterina de’Medici pel felice loro scampo dalla congiura ugonotta; ed al Cardinale Flavio Orsini, che già nel Concistoro del 27 Agosto era stato per altri negozii importantissimi destinato Legato a latere in Francia,commise eziandio di farsi presso le loro Maestà interprete dei medesimi sentimenti. Inoltre, il dì 17 Settembre pubblicò un ampio Giubileo, per implorare sopra il Regno e il Re di Francia sempre più efficace la protezione di Dio, e per ottenere la conversione degli eretici, non che pel felice riuscimento della guerra contro il Turco e della elezione d’un nuovo Re in Polonia; pei quali fini furono fatte in Roma per tre giorni da tutto il clero secolare e regolare, generali processioni e pubbliche preghiere, ed il S. Padre con molti Cardinali visitò le sette Chiese. Ne è da tacersi la celebre orazione, recitata dal Mureto nei Concistoro del 23 Dicembre, nel quale Gregorio XIII ricevé a pubblica udienza il sire di Rambouillet, ambasciatore straordinario mandato dal Re di Francia per prestargli la consueta obbedienza, come a nuovo Pontefice. Quell’orazione fu un panegirico pomposo della strage ugonotta, ma colorita sotto quei sembianti, nei quali era sempre stata grandissima premura di Carlo IX che ella fosse rappresentata al mondo, e soprattutto al Papa. O noctem illam memorabilem, esclamava il Cicerone francese, quae paucorum seditiosorum interitu REGEM A PRAESENTI CAEDIS PERICULO, REGNUM A PERPETUA BELLORUM CIVILIUM FORMIDINE LIBERAVIT! … O diem denique illum plenum laetitiae et hilaritatis, quo tu, Beatissime Pater, hoc ad te nuncio allato, Deo immortali et divo Ludovico Regi, cuius haec in ipso pervigilio evenerant, gratias acturus in dictas a te supplicationes pedes obiisti! Quis optabilior ad te nuncius afferri poterat? aut nos ipsi quod felicius optare poteramus principium Pontificatus tui, quam ut primis illius mensibus tetram caliginem, quasi exorto sole, discussam cerneremus?
Finalmente, a perpetuar la memoria del grande avvenimento, come a Parigi Carlo IX avea fallo coniare due medaglie, l’una col motto: Virtus in rebelles, l’altra colla leggenda francese: Charles IX dompleur des rebelles; così a Roma, Papa Gregorio, esprimendo il medesimo pensiero di trionfo sopra i ribelli eretici, fece incidere una medaglia, avente da una faccia il suo busto, e dall’altra un angelo sterminatore, armato di croce e di spada, coll’epigrafe storica: Ugonotorum strages. Poi al celebre Vasari, che stava allora adornando di nobili affreschi la sala regia del Vaticano, commise di dipingere le principali scene della tragedia parigina del S. Bartolomeo, cioè la ferita dell’ ammiraglio, l’ esecuzione del 24 Agosto, e la seduta del Re in Parlamento. I quali affreschi 1 si vedono tuttora presso la porta della Sistina, dopo i gran quadri della battaglia di Lepanto: e fu bel pensiero di ravvicinare nella medesima sala, destinala a commemorare i più insigni trionfi della Chiesa, questi due avvenimenti, succedutisi a breve intervallo di pochi mesi, e i più memorabili de’ tempi moderni. I Turchi e gli Ugonotti erano allora i più terribili nemici del nome cattolico; ed ambedue erano stati fiaccati d’un tremendo colpo, i primi dall’armata della Lega di S. Pio V alle Curzolari nel Settembre del 1571, i secondi da Carlo IX e dal popolo parigino nell’Agosto del 1572.
Se non che, gran divario correa tra le due vittorie; giacché la prima, come era stata di gran lunga più splendida e decisiva, così era purissima d’ogni macchia e degna dei pieni applausi di tutta la cristianità; laddove la seconda, nonostante le apparenze di giustizia e di zelo, onde Carlo IX si era studiato di rivestirla, lasciava trasparire dei sospetti e delle ombre sinistre di violenza illegale e di crudeltà, le quali temperavano d’assai il giubilo de’sinceri cattolici .
La stesso Filippo II e il Duca d ‘Alba, se dobbiam credere al contemporaneo Branlôme, benchè andassero lietissimi della uccisione dell’Ammiraglio e de’suoi complici, nondimeno non ne approvarono mai il modo, chiamandolo un carnaggio da Turchi, anziché una giustizia da cristiani; e le brave milizie spagnuole ai macelli di Parigi contrapponevano con giusto orgoglio il procedere del Duca d’Alba contro i calvinisti ribelli di Harlem, da lui gagliardamente puniti, ma con tulle le forme della giustizia.
Certo è che anche Gregorio XIII esultò, ma non senza dolore del mitissimo animo suo per tanto sangue versato; esultò della liberazione del Re e del regno di Francia dal furore ugonotto e dai pericoli di quella gran congiura, la quale, benché non fosse in realtà così paurosa ed imminente, quale il Re la denunziava a tutto il mondo, nondimeno avea purtroppo gran fondamento e grandissima apparenza di verità; ma nel tempo stesso gli spiacque che nel punire i congiurati non si fossero serbale, come in Fiandra, le vie legali de’ processi, e si fossero abbandonali i rei, e forse co’ rei molti innocenti, al furore del popolo. Il Maffei, annalista fedelissimo del pontificato di Gregorio , narra che al risapere la morte dell’ Ammiraglio e dei principali ugonotti , dal re Carlo ordinata per sicurezza della sua persona e quiete del regno, il Papa, benché liberato da un molestissimo affanno, tuttavia, come di membra con dolore tagliate dal corpo, mostrando temperata letizia diede le dovute grazie a Dio.
E il Branlôme afferma avere udito da un gentiluomo, presente allora in Roma e ben informato delle cose di palazzo, che il buon Papa, quando gli furono recate le novelle della strage, versò lacrime di dolore sopra le vittime; ed a chi rimostravagli, perché piangesse del castigo inflitto a siffatti nemici di Dio e della Chiesa: Piango, rispose, del modo troppo ingiusto, dal Re usato in tal castigo , e temo che Dio non sia tosto per punirnelo; e piango ancora dei tanti innocenti che in tale macello saranno periti insieme coi colpevoli.
Ma, se il modo dell’esecuzione aveva intorbidato di giusto rammarico la letizia, nel Pontefice cagionata dalla vittoria contro gli ugonotti ; molto maggiormente resto l’animo suo amareggiato, allorché vide dileguarsi in fumo le belle speranze che, a pro della religione, Carlo IX avea con tal vittoria destate. Il Re e la Regina madre si erano affrettati di assicurare Gregorio, che egli ora vedrebbe qual fosse il loro zelo per la fede cattolica; non si maravigliasse, se per qualche tempo avrebbero mantenuto nel regno l’ Editto di pace cogli eretici; essere ciò necessario per la quiete dello Stato e per cessare nuovi macelli; ma essere loro ferma intenzione di abbattere poi interamente l’eresia e di restituire la religione cattolica nell’antica osservanza; la morte data all’Ammiraglio e agli altri capi della setta dover essere pegno certissimo della sincerità di questa loro intenzione, e guarentigia sicura delle promesse che facevano a Sua Santità.
E certo, se mai v’era stata occasione propizia di spegnere al lutto e per sempre in Francia l’eresia, questa era ben dessa. Ma questo pensiero era lontanissimo dall’animo di Caterina e di Carlo, e le loro belle promesse al Pontefice non erano che lustre diplomatiche.
Il timore di attirarsi addosso l’inimicizia della Regina d’Inghilterra e dei Protestanti di Germania, l’antipatia verso il Re di Spagna, la cui preponderante potenza dava troppa ombra alla Francia , e la gelosia contro l’ambizione dei Guisa, che ora più che mai pretende vano di dominare nei regii consigli , ricondussero ben presto Caterina, dopo la violenta crisi del S. Bartolomeo , alla sua consueta politica di conciliazione e favore verso gli ugonotti, a lei troppo necessarii per tenere in rispetto la fazione de’ cattolici, imbaldanziti dalla vittoria, e per assicurarsi così sopra gli uni e gli altri l’assoluto dominio. Di questa nuova fase della politica della Regina madre fu indizio significantissimo, fra gli altri, l’accoglienza usata al Cardinale Orsino, Legato straordinario del Papa. Il Cardinale, oltre all’affare precipuo della lega contro il Turco, avea segrete istruzioni di indurre il Re di Francia a stringersi in più intima amistà col Re di Spagna, ad allontanarsi dai Protestanti d’Inghilterra e di Germania , ed a ricevere nel regno il Concilio di Trento.Ma, appena saputosi in Parigi della solenne spedizione del Legato da Roma, Carlo IX spacciò corrieri al Pontefice perché lo trattenesse, o, se già era partito, lo rivocasse, allegando che la sua venuta sarebbe, nella presente agitazione degli spiriti, di gran travaglio e fastidio alle cose del regno. Siccome però il Legato avea già valiche le Alpi, e il decoro non sofferiva ch’ei tornasse indietro, fu pregato di sostare per qualche tempo in Avignone ; e quando finalmente ebbe ottenuto dal Re permissione di recarsi a Parigi , il ricevimento che ivi ebbe dalla Corte fu sì contegnoso e glaciale, che l’Orsino, veduta vana ogni speranza di riuscire nella sua missione, non ebbe altro miglior partito che di sollecitare la sua partenza.
In tal guisa , il gran colpo della strage del S . Bartolomeo che avea destato tanta commozione nel mondo ed eccitato tanta espettazione, riuscì quasi interamente sterile di quegli effetti che gli eretici ne aveano temuto e i cattolici sperato . Quei che in Francia se ne promettevano la pace del regno e il termine delle discordie religiose e civili che da tanti anni lo laceravano, restarono delusi; e non meno ingannati rimasero fuori di Francia quei che si aspettavano che la politica del Re Cristianissimo dopo un sì gagliardo colpo di Stato cangiasse indirizzo, ed abbandonando le timide e tortuose vie per cui s’era fin qui condotta, sempre altalenando tra la parte cattolica e la ugonotta , si gittasse finalmente con ferma e intera risoluzione a sostenere la causa cattolica, come per altro i veri interessi della Francia medesima e della real dinastia e della nazione primogenita della Chiesa esigevano. Ma non è maraviglia che il fatto riuscisse a così sterile e vano termine. La strage degli ugonotti era stata un colpo di furore temerario, ispirato non già da lunga e ponderata premeditazione, ma da un impeto subitaneo di paura e di collera, sfogato il quale, gli autori principali del colpo, cioè Caterina e Carlo, erano tornali quei medesimi di prima; e la loro condotta dopo la strage è la prova appunto più luminosa del non aver essi mai premeditata la strage. D’altra parte, come nota saviamente il Davila, dai consigli sanguinosi e violenti non s’è veduto mai con seguire prospero effetto; e di questa maledizione di sterilità niun attentato forse mai fu tanto meritevole, quanto l’orribile macello della notte di S. Bartolomeo.


(La Civiltà Cattolica, Anno XVIII, 22 giugno 1867, pp. 14-32)