di don Giuseppe Rottoli FSSPX
da La Tradizione Cattolica, Anno XXVI – n°1 (94) – 2015, pp. 20-29.
QUI la prima parte
Le lodi
Una mancanza di lingua che facilmente si commette è il lodare se stessi, è questo un frutto della superbia personale. Chi ha il difetto di lodare se stesso, suole avere anche quello di disprezzare gli altri, ma disprezzando il prossimo dimostra di essere dominato dalla superbia e di non avere buon cuore. Perché si disprezza quel tale o il suo modo di fare? Per mostrarsi a lui superiore. Dobbiamo però pensare che colui che giudichiamo a noi inferiore in una cosa, può esserci superiore in un’altra! Del resto ognuno ha ricevuto dal Creatore i propri doni: chi ne ha di più e chi di meno. Per il fatto che uno ha meno abilità di noi non merita il nostro disprezzo. D’altra parte quando ci lodano gli altri procuriamo di non montare in superbia, anzi umiliamoci internamente pensando che non meritiamo la lode come
afferma la Santa Scrittura: «Quanto più tu sei grande, tanto più umiliati in tutto» (Eccli 3,20).
La menzogna
Col termine “menzogna” o “bugia” si intendono le parole con cui si esprime il contrario di quanto si pensa o si vuole, con l’intenzione di ingannare gli altri. La menzogna o bugia è la negazione della verità, Dio è la verità, dunque chi mente volontariamente offende il Signore. Se la bugia arreca un grave danno al prossimo è peccato mortale, se invece apporta un piccolo danno è peccato veniale o leggero. Le bugie che non fanno male ad alcuno e si dicono soltanto per scusarsi, oppure si dicono per scherzo sono sempre un male ed ordinariamente costituiscono un peccato veniale. La bugia non è mai lecita e non si può mentire neanche per fare un bene a qualcuno o per evitare un male al prossimo. Il non dire o il semplice negare ciò che si conosce ma che non si deve o non si può manifestare per giusti motivi, non rientra nel parlare menzognero, poiché colui che interroga indiscretamente non ha il diritto di sapere, almeno per tale via, e colui che risponde o ha il dovere di non manifestare o almeno non ha il dovere di manifestare quanto gli viene chiesto. Quindi quando dalla manifestazione della verità potrebbe venire del male, allora si deve tacere la verità. In certi casi dunque volendo evitare la bugia e nello stesso tempo non volendo manifestare la verità ci si può servire delle cosiddette “restrizioni mentali”, cioè di certe espressioni prudenti che abbiano doppio senso o che non significhino né “sì” né “no”, come per esempio: “Che ne posso sapere io? Che cosa posso risponderti? Chi può sapere come stia la faccenda?”. A volte si può anche rispondere negativamente facendo sempre delle restrizioni mentali. A chi per esempio ci chiede denaro e si teme che non sarà restituito si può rispondere: “Non ho denaro disponibile”, sottintendendo: “per te”. A chi ci domanda: “È in casa il padrone?” si può rispondere come egli ha ordinato: “Non c’è”, sottintendendo: “per stare a vostra disposizione”. Il male anche minimo, quale sarebbe una piccola bugia innocua, sarà punito immancabilmente da Dio. In Purgatorio si scontano le piccole mancanze e l’anima si purifica da ogni residuo di pena temporanea. Stare in Purgatorio significa soffrire il fuoco e altre pene terribili. Basta riflettere su qualche apparizione di oltre tomba, per rimanere attoniti del rigore della Divina giustizia nel punire quelle che noi chiamiamo piccole mancanze. Si pensi anche all’episodio di Anania e di Saffira, narrato nel libro degli Atti degli Apostoli, entrambi morirono puniti da Dio per una bugia che non nuoceva ad alcuno, questo significa che la bugia anche innocua non è quel piccolo male che si crede (At 5,1-11).
La bestemmia
La bestemmia è una delle più gravi offese fatte a Dio, consiste nel profanare o disprezzare il suo santo nome, pronunziandolo con ira, attribuendo qualità ingiuriose. È bestemmia anche profanare il nome dei santi. Chi bestemmia in quel momento agisce da pazzo perché non parla conforme alla ragione. Se crede che Dio non esiste è pazzo perché si arrabbia contro di lui. Invece se crede che esiste perché non trema quando lo insulta? Ma sa chi è Dio? Dio è Colui che in un attimo, con un solo atto di volontà ha creato l’universo con milioni di mondi, negli spazi infiniti dei cieli. Dio è Colui che regge la terra che il peccatore calpesta e che in un istante potrebbe ridurlo nel nulla, con tutto quanto lo circonda. Che farebbe il bestemmiatore se una
formica lungo la via s’infuriasse e lo mordesse? Alzerebbe il piede e la schiaccerebbe, ed egli davanti a Dio è meno di una formica. Se Dio non lo annienta nel momento in cui lo bestemmia, non è perché Dio non senta o non faccia caso del suo insulto, ma perché vuol dargli la possibilità di salvarsi. A volte anche noi possiamo essere causa delle bestemmie di qualche persona, in questo caso la responsabilità di un peccato così grave, oltre a cadere su colui che la pronuncia, cade anche su chi gliene dà motivo. Perché si sia responsabili delle bestemmie fatte dire ad alcuno, si richiede che si preveda la bestemmia e si faccia qualche cosa di ingiusto o di veramente colpevole. Guai a chi fa discorsi scandalosi «La bocca parla dell’abbondanza del cuore», dice Gesù. Quando il cuore è buono, puro e delicato anche il parlare è modesto ed edificante. Quando al contrario un cuore è ingolfato nei vizi, dedito all’impurità e pieno di fango morale, facilmente la bocca manifesta il marciume interno con il discorso vergognoso. Non si può trovare paragone più adatto per tale gente che quello dei maiali. Questi animali vivono nella sporcizia, insudiciano il terreno che calpestano e tutto ciò che toccano. Anche san Paolo ispirato dallo Spirito Santo ha scritto: «I cattivi discorsi corrompono i buoni costumi» (1 Cor 15,33). Inoltre egli ha scritto: «Ogni cattivo discorso non esca più dalla vostra bocca» … «Fornicazione poi e qualsiasi impudicizia o avidità di possedere, non si nominino neppure tra voi, come conviene ai santi, e così non disoneste parole, o buffonerie, o scurrilità che non convengono … che nessuno vi inganni con vuoti discorsi, poiché per tali cose viene l’ira di Dio sui ribelli» (Ef 4,29 – 5,3 – 5,6). Già nell’Antico Testamento lo Spirito Santo aveva avvertito: «Al turpiloquio non si avvezzi la tua bocca perché in esso vi sono parole di peccato» (Eccli 23,7). Gesù nella sua vita si mostrava calmo e paziente; le sue parole erano piene di soavità sino a chiamare “amico” Giuda nell’atto stesso in cui baciandolo lo tradiva. Rarissime volte il suo parlare era terribile, questo avveniva quando si rivolgeva a coloro che gli rovinavano le anime. Diceva perciò ai Farisei ostinati nel male: «Razza di vipere… sepolcri imbiancati… guai a voi perché non entrate voi nel regno dei cieli e non permettete che vi entrino gli altri!». Adoperò anche parole tremende verso gli scandalosi: «Guai al mondo per gli scandali; guai a colui per colpa del quale avvengono gli scandali! Sarebbe meglio per lui che gli venisse attaccata al collo una macina da mulino e venisse precipitato nel profondo del mare!» (Mt 18,6). Dunque sorvegliate i figli, informatevi che giovani siano quelli che frequentano. Un cattivo suggerimento che essi ricevano da un falso amico, potrebbe essere il principio della rovina morale di quei figli che tante cure vi sono costati. I genitori sarebbero disposti a qualunque sacrificio per difendere i figlioli da una mano assassina; per salvare il loro corpo si sentirebbero in dovere di affrontare anche la morte. Quando una bocca infernale si permette di fare discorsi vergognosi alla presenza dei figli, come possono i genitori restare impassibili o peggio ancora ridere scioccamente? Non pensano essi che il discorso cattivo è più funesto di un pugnale, poiché può portare l’anima alla
rovina eterna? Per salvare l’anima dobbiamo essere disposti a tutto, anche a spargere il sangue come hanno fatto milioni di martiri, tra i quali santa Maria Goretti.
I castighi
Colui che non veglia sulla sua lingua e che la sporca, attira sulla sua anima mille castighi: i rimorsi della coscienza; il rammarico di aver detto qualche parola imprudente o nociva; la tristezza di aver fatto nascere delle inimicizie, dei processi, delle querele, delle vendette, delle ingiustizie; il dispiacere di aver meritato la prigione o l’infamia; l’obbligo di rendere al prossimo la reputazione che gli è stata tolta ingiustamente; la necessità di riparare i danni causati con le maldicenze, le calunnie, i cattivi consigli che si è permesso; la vendetta di Dio; la prospettiva del giudizio e della dannazione. Chi parla male degli altri, fa tre danni morali. Il primo lo reca all’anima propria, macchiandola di peccato; il secondo danno lo fa a chi ascolta volentieri; il terzo lo fa a colui del quale sparla togliendogli l’onore. San Giacomo ha scritto che: «Chi non manca nel parlare è un uomo perfetto e può tenere a freno anche tutto quanto il corpo. Se noi mettiamo il freno in bocca ai cavalli perché ci siano ubbidienti, teniamo a freno anche tutto il loro corpo» (Gc 3,2). Nello stesso modo colui che sa moderare la lingua sa dominare le sue concupiscenze, passioni, vizi… è dolce, buono e modesto. Il libro dei Proverbi riporta che «la lingua soave è l’albero della vita, ma la lingua senza freno mette in costernazione lo spirito» (Pro 15,4). Infatti la lingua del giusto è impiegata a dire solo cose utili, feconde, che attirano su coloro che l’ascoltano la vita della grazia. Oltre a ciò la lingua saggia e dolce produce dei frutti che hanno qualche rapporto con l’albero della vita perché: conserva e prolunga la salute sia dell’anima che del corpo, perché essa preserva dalle commozioni, dalle querele, dalle lotte e dalle collere; conserva l’uomo in una pace, una serenità e una gioia costante; tempera e regola tutte le facoltà dell’uomo, i suoi sensi e le sue affezioni; guarisce i dolori e i dispiaceri del prossimo; calma coloro che sono presi dalla collera, concilia i nemici, unisce i gelosi, rende umili gli orgogliosi e incoraggia i timidi. Nella Santa Scrittura ci sono moltissime esortazioni a moderare la propria lingua, per esempio nel libro dell’Ecclesiastico leggiamo: «Chi odia i
lunghi discorsi estingue la malizia» (Ecli 19,5) e più avanti troviamo: «Colui che usa saggiamente la sua lingua si rende amabile» (Ecli 20,13). Inoltre: «Chi fa gran spreco di parole, danneggia se stesso» (Ecli 20,8). Il libro dei Proverbi afferma: «Chi custodisce la sua bocca e la sua lingua, custodisce dalle angustie l’anima sua» (Pro 21,23), infatti la custodisce dall’inimicizia, dall’ingiustizia, dalla tentazione di nuocere, dalla collera di Dio e dall’inferno; è amato dal Cielo e dalla terra, vive felice e muore della morte dei giusti, assicura la sua eternità ed orna la sua corona per l’eternità.
Occorre usare prudenza nelle parole.
San Bernardo scrive: «Meditate due volte le vostre parole prima di affidarle alla vostra lingua. La riflessione purifica l’anima, governa i sentimenti, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i buoni costumi, dà ordine alla vita e la rende virtuosa» (Tract. De perfect.). La lingua è un cavallo indomito, occorre trattenerla con l’aiuto della ragione e della prudenza. Ognuno deve sforzarsi di adattare le sue parole al luogo, al tempo, all’età e alle persone prima che non diventino offensive. L’autore del libro dell’Ecclesiaste ci dà questo consiglio: «Non essere avventato con la bocca, né abbia fretta il tuo cuore di fare parole al cospetto di Dio. Ché Dio è in Cielo e tu sulla terra, perciò siano poche le tue parole» (Ec 5,1).
Occorre praticare il silenzio
San Giacomo ha scritto per il nostro bene: «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira» (Gc 1,19). Anche Seneca aveva ben capito questo: «Colui che non sa tacere, non sa parlare». Lo Spirito Santo ci insegna: «Ascolta in silenzio e con la tua modestia ti guadagnerai la buona grazia» (Ecli 32,9). Sant’Agostino ci esorta: «Che siano le vostre opere a parlare e non la lingua. Niente domina meglio la lingua che il silenzio. Volete imparare a parlare? Tacete e durante il vostro silenzio pensate a ciò che dovete dire e come lo dovete dire. Ascoltate, esaminate e tacete se volete vivere in pace. Una fornace conserva il calore finché la porta è chiusa, nello stesso modo il cuore conserva l’amore di Dio quando la bocca non si apre troppo spesso» (Serm. 32 in Evang. Lc). Si purifica e si santifica la propria lingua nel fuoco della meditazione. Essa ci comunica la carità di Gesù Cristo e la sua grazia che purifica il cuore e la lingua dei giusti, li governa e li ispira affinché dicano solo cose vere, utili, edificanti e sante. S. Bernardo chiama il silenzio “il custode della religione”, in esso è situata la forza dei religiosi, come la forza di Sansone era nei capelli (Serm. De mutatione aquae). Lo stesso santo afferma: «Lega la tua lingua se vuoi essere religioso; perché senza legare la lingua la religione è vana e gli uomini spirituali sanno (quelli che sono esperti) quanto la frequente libertà della lingua allontana dalla devozione e quanto porta alla dissoluzione interiore» (Tract. De Passione Domini, cap. XXVII). Quasi in tutti gli ordini era comandato il silenzio sotto minaccia di gravi pene; coloro che vogliono riformare i monasteri devono curare dapprima di restituire il silenzio. Giustamente Sant’Ignazio di Loyola diceva: «Vuoi conoscere se in qualche ordine vige la disciplina religiosa? Guarda se in esso sono osservate rettamente queste tre cose: il silenzio, la clausura e la purezza. Se infatti vi si trovano queste tre cose certamente vige in esso la disciplina, altrimenti sappi che essa langue». Ammonire i peccatori è un’opera di misericordia spirituale per cui a volte, con i dovuti modi, è un dovere parlare. «Chi impone il silenzio allo stolto acquieta gli sdegni» (Pro 26,10). Anche san Giacomo dovette scrivere: «Chi si crede religioso e non tiene a freno la sua lingua si inganna e la sua religione è vana» (Gc 1,25). Chi è loquace è irreligioso perché: mostra di venerare se stesso e non Dio, né di magnificarlo; viola la legge di Dio in molti modi: mentendo, diffamando, irritando, giurando ecc.; infama e disonora la legge cristiana, perché gli infedeli dicono: è impossibile che questo cristiano (e conseguentemente gli altri) sia religioso, che abbia un culto modesto di Dio e una mente in ordine, essendo tanto effuso e scomposto nelle parole. Come la modestia del corpo indica la modestia dell’animo, così l’immodestia e l’intemperanza della lingua sono indice ed effetto dei vizi di immodesta e di intemperanza; la loquacità è segno di un animo vago, dissoluto, improvvido, irreligioso, chi infatti non frena la lingua, come frenerà l’ira, la curiosità, la gola, la superbia e tutti gli altri potentissimi vizi? «Colui che non trattiene la lingua
soprattutto nei momenti di collera non sarà mai vittorioso delle passioni della carne» (Hyperichius, Vit. Patr.).
Quali sono i mezzi per usare bene la lingua?
Innanzi tutto occorre chiedere la grazia a Dio: «Poni o Signore una custodia alla mia bocca e una porta alle mie labbra affinché non declini il mio cuore a parole maliziose, a scusare i peccati» (Ps 104,3). Bisogna poi pregare molto, amare il silenzio, praticare la mortificazione dello spirito, del cuore, sorvegliarci, vigilare sulle proprie parole ed evitare la compagnia dei maldicenti. Nella solitudine Dio parla al nostro cuore come afferma il profeta Osea: «Condurrò l’anima nella solitudine e là parlerò al suo cuore» (Os 2,4). Per questo sant’Antonio, sant’Ilario, san Girolamo e molti altri lasciarono le città per sfuggire ai pericoli, per darsi allo studio e alla preghiera. S. Giovanni Battista fu condotto nel deserto per sfuggire alla persecuzione di Erode, là disprezzò le fallacie del mondo, ebbe così per compagni gli Angeli, fu un esempio di virtù, santità, giustizia, verginità, penitenza e testimone di Dio. Sant’Agostino aveva fatto scrivere queste parole nella sala dove prendeva i pasti: «Sappia, chi è abituato a rovinare la vita degli assenti con le sue parole, che questa mensa gli è vietata».
Trackback/Pingback