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La seconda cosa [qui la prima] che dobbiamo onorare in questo mistero [dell’Incarnazione], è la partecipazione che la santissima Vergine da quel momento incominciò ad avere alle pene ed ai patimenti del Figlio suo in proporzione dell’amore ch’Ella gli portava e della grazia incomparabile che da Lui riceveva.

Per meglio intendere questo punto, dobbiamo richiamarci tre verità:
1) Per quanto le maggiori sofferenze di Gesù Cristo siano state riservate per gli ultimi giorni della sua vita su la terra, Egli non è mai stato senza soffrire; anzi appena fu rivestito di una natura passibile, subito incominciò a patire; e lo crederemo più facilmente se vorremo considerare che fin da quel momento Gesù chiaramente conosceva la grandezza di Dio e l’enormità dell’offesa che gli viene fatta dal peccato, di cui Egli era carico come responsabile; doppia conoscenza che in Lui era accompagnata da un eccesso di zelo che gli rendeva sensibile, ed infinitamente sensibile, tutto
quanto interessava l’onore del Padre suo.
2) La Vergine fin d’allora incominciò ad avere piena conformità col Figlio suo e quindi a partecipare ai patimenti di Lui, nella misura in cui partecipava alla grazia ed alla santità di questo primo mistero.
3) La grazia dell’Incarnazione è ben differente da quella di Adamo; la grazia di Adamo innocente era grazia di dolcezza; e di riposo, in segno di che il nostro primo padre venne posto in un paradiso terrestre; l’Incarnazione invece si compie nella privazione per la natura umana della sua propria e naturale sussistenza, sussistenza che alla natura umana è pur così intima da essere una stessa cosa con essa. Inoltre, fin da quel primo istante, a Gesù Cristo, l’Uomo nuovo, venne presentata la Croce; ed Egli l’accettò e se ne prese il carico; perciò la grazia che appartiene all’Incarnazione è una grazia di privazione e di croce, una grazia di rinuncia e di annientamento di se medesimo, una grazia che divide l’anima dallo spirito [1]; e siccome la Vergine ebbe parte a questa grazia più di tutti i Santi assieme, perciò Ella soffrì più di tutti i Martiri e degli altri Santi riuniti assieme, ed incominciò fin d’allora a soffrire come il Figlio suo, in virtù del privilegio dello strettissimo legame e della singolare conformità che aveva con Lui [2].


[1] Che porta il dolore sino in ciò che vi è di più intimo nell’uomo.
[2] Gesù è Vittima fin dal primo momento ed associa la Madre sua al suo stato di Vittima, poiché la assume come Cooperatrice della Redenzione. Gesù è uomo per soffrire, così Maria è Madre di Dio per soffrire. Abbiamo quindi un parallelismo completo tra i misteri di Gesù e i misteri di Maria, nelle umiliazioni e nel dolore come nella gloria.

da “Le grandezze di Maria”, del Card. Pietro de Bérulle, trad. del sac. Maurilio Andreoletti, 2a ed., Vita & Pensiero, Milano, 1943.