Sintesi della 608° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo causa epidemia di coronavirus. preparata nella festa di san Gaetano Thiene e postata nella vigilia di San Lorenzo Martire. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).

La cittadina francese di Le Pallet aveva dato i natali nel 1079 a Pietro Palatino, alias Pietro Abelardo ( era noto come il Palatino, in ragione della latinizzazione della sua stessa città di origine). Andava altresì fiero di essere soprannominato “Golia”, incurante del magistero ecclesiastico che considerava peccaminoso questo soprannome, dal momento che nel corso del Medioevo ” Golia” ha sempre evocato il demonio e inquietato la comune sensibilità popolare. Ma il Palatino andava fiero di avere la fama di Golia, tronfio come era di orgoglio e supponenza; già nell’ esordio del mio rapporto è possibile ravvisare un tratto profondo della personalità di Pietro Abelardo; il rifiuto della subordinazione all’autorità, un orgoglio eccentrico che lo spingeva a primeggiare, a competere con i suoi stessi docenti, di essere in ogni caso il primo della classe era il disio di Pietro Palatino, ne’ pace in cuor suo si dava finché non riusciva a conseguire tale obiettivo.
È d’ uopo considerarlo uno dei primi esimi spiriti libertari del Medioevo e questo atteggiamento l’ avrebbe accompagnato sino agli ultimi anni della sua vita, finché la sollecitudine caritatevole di Pietro il Venerabile, abate di Cluny, avrebbe fatto di lui un monaco regolare…. l’ orgoglio e la sregolatezza precedenti furono soppiantati allora dalla temperanza e dall’ascesi, la profusione nella sapienza umana (che il concilio Lateranense II del 1139 aveva vietato ai monaci e più in generale ai religiosi) fu soppiantata dalla dedizione completa alla scienza teologica.
Avrò modo di soffermarmi segnatamente sull’incontro tra Pietro il Venerabile e Abelardo che avvenne nel 1140 e che contribuì a riportare all’ovile una pecorella smarrita, ora non più refrattaria alla fraterna correzione.
Possiamo ricostruire la vita di Abelardo principalmente attraverso la sua autobiografia, “Historia mearum calamitatum”(scritta intorno al 1130 e destinata a un amico), sono altresì utili la lettera di Roscellino di Compiegne a lui indirizzata, una lettera di Fulco di Deuil, la ” Disputatio” di Guglielmo di Saint Thierry, la “Cronaca” di Ottone di Frisinga che fu suo allievo), le lettere di Bernardo di Chiaravalle, infine alcune allusioni alla sua vita si trovano nell’ opera di Giovanni di Salisbury.
Il Palatino mostrò versalità, nonché prestigio di giochi dialettici nella scienza logica, già il primo XII secolo vide contrapporsi il campo dei “realisti” ( Guglielmo di Champeaux e Sant’ Anselmo di Aosta) a quello dei “nominalisti” (Roscellino). Inizialmente, il Palatino appoggiò la posizione di Roscellino, che aveva contestato sia la visione realista di Sant’Anselmo (per cui gli universali hanno natura divina, ontologicamente sono più veri delle cose sensibili e preesistono nella mente del Creatore) sia quella dell’esistenza dell’ “universale in re” (1). Roscellino afferma che in senso proprio esistono solo gli individui sensibili, mentre gli universali non sarebbero altro che “flatus vocis” per designare le cose. Abelardo presto abbandonò la posizione di Roscellino, per passare nel campo avverso, quello realista sostenuto da Guglielmo di Champeaux.
Non per molto tuttavia…. spirito libertario, poco avvezzo a legarsi dogmaticante a una determinata scuola di pensiero, il Palatino divenne suo concorrente e fondò due scuole di pensiero autonome, prima a Melun, successivamente a Corbeil ( circa nel 1101 d.c) mentre fallì il suo tentativo di fondare una scuola a Parigi.
La posizione di Abelardo contestava sia il realismo che il nominalismo, a suo avviso entrambe posizioni accomunate dall’errore di concepire gli universali come enti; egli piuttosto concepiva i significati universali “sermones” prodotti dalla mente in conseguenza del processo di elaborazione conoscitiva .
Nondimeno, finirà per conciliarsi con Guglielmo di Champeaux e tornò a essere suo allievo nel campo della retorica presso la Scuola della Cattedrale di Parigi.
È d’ uopo ricordare le notevoli implicazioni che la problematica sugli universali aveva nel campo della teologia e dell’eresiologia. Il sinodo locale di Soissons del 1092 aveva condannato come eretica la posizione di Roscellino, implicando il rifiuto della sussistenza ontologica dell’ universale altresì la negazione della natura Divina comune alle tre Persone della Trinità. Come spiegare la riconciliazione del Palatino con Guglielmo di Champeaux?
Molto probabilmente Il Palatino non aveva rinunciato alle sue posizioni, nondimeno la riconciliazione con Guglielmo era questione di convenienza; infatti il magistero ecclesiastico sosteneva come consono all’ortodossia teologica la posizione di Sant’ Anselmo e di Guglielmo di Champeaux sul problema degli universali e quindi Abelardo in questo modo poteva cautelarsi contro ogni sospetto di eresia.
Tuttavia un nuovo sinodo locale tenuto a Soissons nel 1121 condannò come eretica la posizione teologica del Palatino, secondo cui non vi sarebbe distinzione reale delle Persone della Trinità nella sostanza Divina. Si trattava dell’eresia modalista che affondava le proprie radici nel protocristianesimo. Il magistero ecclesiastico professava invece la reale distinzione delle tre Persone della Trinità, partecipi dell’unica natura Divina. E attraverso la recita del credo di Atanasio il Palatino poté fare penitenza ed essere nuovamente accolto nel grembo dell’ortodossia.
Dopo essersi per lungo tempo occupato delle cose umane ben più di quelle divine, della sapienza umana ben più di quella divina, il Palatino divenne insegnante di teologia presso la scuola della Cattedrale. Fu Anselmo di Laon a formarlo nella scienza teologica, nondimeno egli usò nei confronti del nuovo maestro lo stesso atteggiamento di insubordinazione irriverente che aveva usato nei confronti di Guglielmo di Champeaux; insofferente ad ogni autorità e metodo, decise di allontanarsi dall’impostazione di Anselmo e sperimentare una via personale che a breve si sarebbe rivelata ardita e non scevra da implicazioni eterodosse. Non gradirono la supponenza del Palatino alcuni degli stessi allievi di Anselmo e suoi compagni di studio, quali Alberico e Lotulfo che avranno insofferenza nei suoi confronti.
Abelardo con ogni probabilità era già monaco sin da prima del 1122, ma da spirito libertario aveva rifiutato ogni inquadramento in un ordine monastico e ogni ossequio a una regola monastica precisa; questo comportamento comportò contro di lui il livore dei rappresentanti più rigorosi dell’ordine circestense e segnatamente di Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’ ordine, dotato di particolare ascendente sul pontefice Innocenzo II; fu suo stretto alleato nel procedimento di condanna ecclesiastica delle eresie di Abelardo.
Materia di condanna del concilio di Sens del 1140 furono una ventina di dottrine eretiche del Palatino, nell’ ambito teologico ed etico. Di fatto la concezione etica che Abelardo presenta nel “Scito te” rappresentava una posizione innovativa, estrosa, sovversiva rispetto alla tradizione e perciò gravida di implicazioni eterodosse.
A giudizio di Abelardo, la ” bonne foi” e l’ ” intentio” sono aspetti fondamentali per definire il peccato e vanno distinti sia dalle inclinazione naturali che dall’atto oggettivo. L ” intentio” qui ha priorità rispetto all’ossequio “formale” alle regole etiche; a tal guisa, una donna che per ” troppo amore” verso il figlioletto decidesse di soffocarlo per evitare che muoia di gelo, non potendolo proteggere per indigenza di mezzi dal rigore invernale, commetterebbe un ” peccato minore”. Maria Teresa Fumagalli Brocchieri, studiosa dell’etica di Abelardo, ha messo in relazione questa profonda innovazione del “Scito te” con le profonde trasformazioni sociali ed economiche che hanno interessato la Francia nel XII secolo: il passaggio del perno della produzione dalle campagne alle città, l’incremento demografico, la maggior mobilità sociale, il dispiegarsi di nuove professioni, una maggior valorizzazione dell’amore nella sua componente carnale, una maggior dedizione da parte dei religiosi alle scienze profane; tutto questo complesso di nuovi fermenti a livello sociale contribuì’ alla definizione di una sorta di proto rinascimento in pieno Medioevo. Gli spiriti più progressivi, favorevoli a questa nuova temperie, consideravano Parigi ” la Atene del Nord”, invece gli ambienti religiosi più conservatori parlarono di vera e propria Babilonia. Di fatto, il concilio Lateranense II del 1139 provvederà a precludere ai monaci lo studio di alcune scienze profane come la medicina, con l’ intento di infrenare un’eccessiva dedizione dei religiosi alle scienze profane. Onde evitare che la profusione nell’ “umana sapienza” prendesse il sopravvento sugli studi teologici
Riprendendo la tesi della dottoressa Fumagalli Brocchieri, l’etica di Pietro Abelardo, fondata sul concetto di intenzione, sarebbe funzionale alla società più terrena e antropocentrica delineatasi nel XII secolo, ne sarebbe in qualche modo un aspetto sovrastrutturale (3). In forza delle trasformazioni sociali in atto nel corso del 1100, i teologi si sentirebbero spinti ad affrontare le problematiche etiche, segnatamente quella del ” peccato” in un orizzonte non più esclusivamente di metafisica teologica, ma altresì di introspezione psicologica; a mio avviso, la condanna pronunciata dal magistero in quel di Sens è legittima; il Palatino non poteva pretendere che il magistero ecclesiastico passasse sotto silenzio la sua visione sovversiva rispetto alla tradizione; l'” intentio” è un fondamento troppo fragile per l’etica, qui la psicologia subentra alla metafisica teologica nelle vesti di giudice rispetto a ciò che è peccato! Affrontando il tema del peccato in un orizzonte non più teologico, ma antropologico e psicologico, peraltro fabbricando ad artem una sorta di casistica morale con sottili elocubrazioni dialettiche, la concezione del Palatino offre il destro al soggettivismo etico e al probabilismo morale.
Introduco l’ultima sezione del mio lavoro, analizzando l’ incontro del Palatino a Cluny con l’abate Pietro il Venerabile e la prodiga attività di mediazione svolta da questi per ottenere da parte dell’autorità pontificia la clemenza verso “Petrus Magister”.
È assai probabile che Abelardo abbia bussato alla porta del monastero di Cluny verso la fine del giugno 1140 e che nel suo programma dovesse trattarsi di una provvisoria sosta e richiesta di ospitalità; successivamente il Palatino sarebbe dovuto ripartire per Roma per trattare né più né meno con il pontefice.
È altresì altamente probabile che Abelardo e Pietro il Venerabile si conoscessero solo per fama (presso Cluny Abelardo aveva la fama di “Petrus Magister”) e non avessero mai trattato . Le due lettere che Pietro il Venerabile avrebbe indirizzato al Palatino costituiscono quasi certamente un falso: è altamente improbabile che siano state indirizzate dall’abate di Cluny, in esse compare l’ esortazione a convertirsi alla vita monastica, mentre invece già da tempo Abelardo era monaco, per quanto per lunghi periodi non vivesse nell’ambito di una comunità (3). Pietro il Venerabile era comunque al corrente del travaglio interiore che albergava nell’animo di Abelardo, nonché della livorosa polemica che Bernardo di Chiaravalle, già partigiano di papa Innocenzo II al tempo dello scisma procurato da Anacleto (4) e suo stretto alleato, muoveva costantemente contro il Palatino.
Sapeva anche infine che Abelardo stesso si era venuto a trovare ai ferri corti nei rapporti con il suo maestro di logica Guglielmo di Saint Thierry. Con sollecitudine caritatevole tentò un’opera di mediazione per risolvere questi contrasti e soprattutto per far evitare al Palatino una nuova condanna ecclesiastica (sarebbe stato un durissimo colpo inferto ad un animo già particolarmente travagliato).
La questione della attività di mediazione svolta da Pietro il Venerabile presso il pontefice Innocenzo II ha posto tuttavia per lungo tempo un problema di natura cronologica, dunque di rapporto tra ” usteron” e ” proteron” ( che oggi comunque può dirsi risolto). l’opera svolta dall’abate di Cluny precede oppure segue il Concilio di Sens?
Se lo precedesse, saremmo costretti a non considerare più valida la data del 1140 in cui collocare il Concilio e dovremmo postdatarlo almeno di un anno (effettivamente alcuni storiografi, l’ Alberico nella sua opera “Cardinalato e collegialità, studi sull’ecclesiologica tra XI e XIV secolo” e il Constable propendono a pensare che il concilio di Sens sia avvenuto nel 1141).
Pietro Zerbi comunque sostiene che non ci siano motivi veramente validi per non tenere per buona come data per il Concilio il 1140 e che esso si sarebbe svolto poche settimane prima rispetto alla lettera inviata dall’abate di Cluny al pontefice. Pietro il Venerabile avrebbe dato adito ad ” una splendida azione preventiva, volta essenzialmente a risparmiare ad Abelardo il duro colpo della condanna papale”(Pietro Zerbi). Nondimeno l’abate di Cluny non era al corrente del fatto che nel frattempo Innocenzo stesso aveva confermato la condanna pronunciata dal Concilio di Sens con la lettera “decimo septimo kalendas augusti” e peraltro coinvolgeva altresì nella condanna e relativa proibizione di divulgazione dei libri un discepolo di Abelardo, Arnaldo da Brescia.
Pietro il Venerabile si prodigò con lodevole abnegazione non solo per riconciliare il Palatino con Innocenzo II, ma altresì per riappacificare l’animo di Bernardo di Chiaravalle nei suoi confronti.
Scrive Monsignor Piero Zerbi” giunge a Cluny, anche l’ abate di Citeaux, Rainaldo, che d’ accordo con Pietro, si da a lavorare come mediatore di pace fra Abelardo e Bernardo di Chiaravalle, a motivo del quale il ” magister” aveva interposto appello”. Rainardo stesso spinse il Palatino a procurarsi questo incontro con Bernardo di Chiaravalle, con l’obiettivo di ottenere un’intesa, non senza averlo vivamente raccomandato di abiurare dalle dottrine eretiche precedenti e di deporre tutto quanto concorresse a urtare la sensibilità dell’abate. Abelardo riferì di aver avuto un riscontro positivo nel corso del colloquio con Bernardo di Chiaravalle (5).
La ricostruzione cronologica più attendibile dei fatti inerenti la condanna ecclesiastica e l’ opera di mediazione di Pietro il Venerabile per quanto riguarda il biennio 1140-1141 è la seguente:
– lo svolgimento del Concilio di Sens ( nonostante la tesi discordante di qualche storiografo, oggi è possibile riferirlo quasi con certezza al 1140). Si trattò non già di un concilio ufficiale, ma processuale, presieduto non dal pontefice ma dall’abate Bernardo di Chiaravalle. Egli procedette con la “Fraternalis admonitio”, l’ “Evangelica denuntiatio”, infine con la scomunica vera e propria a carico del Palatino
– la conferma della scomunica da parte di papa Innocenzo II a mezzo del documento ” in data”decimoseptimo kalendas augusti”
– l’arrivo di Abelardo a Cluny
– la lettera di Pietro il Venerabile a papa Innocenzo II, documento di enorme importanza che attesta l’ indefessa opera di mediazione dell’abate
– l’ incontro tra Abelardo e Bernardo di Chiaravalle, vivamente sollecitato da Pietro il Venerabile e da Rainardo, abate di Citeaux
– la convocazione di un nuovo Concilio nel 1141 da parte dell’arcivescovo Henry Siegler a Sens per riconfermare la condanna promulgata l’ anno prima da Bernardo di Chiaravalle e confermata dalla successiva lettera pontificia.
Dopo la condanna pronunciata a Sens, Il Palatino aveva cercato di conquistare il favore dell’arcivescovo stesso, inducendolo a organizzare una disputa pubblica in cui figurassero come contendenti Bernardo di Chiaravalle e il Palatino stesso, ma Henry Siegler non acconsentì, anzi apertamente si schierò con l’ abate di Chiaravalle ( non sortì’ effetto alcuno la correzione da parte del Palatino della sua “Scholarium Teologia” né la composizione dell’ “Apologia contra Bernardum” con cui aveva inteso controbattere in merito ai punti dottrinali per i quali era stato dichiarato eretico).
Quel viaggio che il Palatino ebbe in progetto nel 1140 a Roma, l’ anno stesso della sentenza di condanna a suo carico pronunciata dal Concilio di Sens, non avvenne… nonostante avrebbe potuto trarne beneficio, in quanto ” extrema ratio” per cautelarsi presso Innocenzo II nei confronti di quanti insistevano sulla natura eretica delle sue tesi.
Non era certo agevole accattivarsi il favore di Innocenzo II, che aveva anzi ratificato la sentenza di condanna di Sens, ma avrebbe comunque potuto giocarsi l’ ultima possibilità. Secondo il disegno originario del Palatino, Cluny non era che una tappa transitoria…..alla fine non si sarebbe più mosso da Cluny, ove trascorse gli ultimi due anni della sua vita in un percorso di rigenerazione morale, ” reductum ad novam vitam”, da Pietro il Venerabile. Finalmente un’opera di espiazione aveva intrapreso attraverso casta e regolare vita monastica, profondendosi nella scienza teologica e accantonando l’ umana sapienza, che perseguita in modo esclusivo, si riduce a ” vanità delle vanità”.
Note all’articolo
(1) si svilupperà successivamente la scuola di Sant’Alberto Magno che apporterà una nuova concezione dell’universale, concepito non già come entità ontologica sussistente in re, nè come ” flatus vocis” alla maniera rozza del Roscellino; l’ universale è da Sant’Alberto Magno e da San Tommaso d’Aquino inteso come presenza dell’ intellegibile alla visione intellettuale, in quanto supponente per una pluralità di individui della medesima specie; perciò distinto anche dall’essenza ( la ” cavallinita’” è distinta dal concetto universale di ” cavallo”, il primo concetto pertiene al piano ontologico, il secondo al piano logico)
(2) scrive infatti Maria Teresa Fumagalli Brocchieri nella sua prefazione al “Scito te” :”c è in Abelardo un forte impegno ad un’analisi logica, psicologica e anche sociale di che cosa voglia dire intenzione è volontà nel soggetto anche nella vita relazionale”
(3) a ragione sostiene Pietro Zerbi in “Tra Milano e Cluny. momenti di vita religiosa ed ecclesiastica nel secolo XII ” il contenuto delle lettere non si adatta più a lui (Pietro Abelardo) che non poteva certo in quel momento essere trattato come uno che dovesse ancora lasciare le attrattive del mondo per abbracciare una nuova vita”
(4) lo scisma del XII secolo che oppose Innocenzo II all’ntipapa Anacleto fu particolarmente grave e tra gli episodi più eclatanti vi fu a Milano ( schierata dalla parte di Anacleto) l’insurrezione contro Anselmo di Pusterla, vescovo partigiano di Anacleto, di buona parte della popolazione e anche di cittadini giunti da fuori.lo scisma si concluse nel1138 con il trionfo di Innocenzo II
(5) Pietro Zerbi tratta e commenta l’ episodio nella medesima opera, non trascurando l’ipotesi che questa benevolenza dell’ abate di Cluny verso il Palatino fosse dovuta anche all’ammirazione che provava per le sue doti di “magister” di dialettica