“San Mosè Etiope, il quale da famoso ladrone divenuto famoso Anacoreta, convertì molti ladroni e con sé li condusse al monastero” (Martirologio Romao, 28 agosto)

Mosè era uno schiavo nero di un ricco proprietario terriero. Il suo carattere duro e scontroso creava però molti problemi ogni giorno, fino a quando il suo padrone ne ebbe abbastanza e lo cacciò via. Mosè trovò rifugio in una banda di malfattori, e per la sua enorme forza fisica non tardò a imporsi e a diventarne il capo. Una volta, espulso dalle autorità per i molti suoi crimini, si nascose nel deserto in cui vivevano gli asceti più famosi. La frequentazione dei santi monaci lo rese giorno dopo giorno più mite. Lo illuminò la grazia di Dio, perché il pentimento è un tempo di grazia; il suo cuore si ammorbidì, si pentì veramente e cercò la redenzione. Il suo cambiamento fu radicale e in poco tempo arrivò alla statura spirituale dei grandi Padri del deserto. Dopo il battesimo fu ritenuto degno di ricevere anche la grazia del sacerdozio.
Le due grandi virtù che lo adornavano erano il vero pentimento e la profonda umiltà. Fino al suo ultimo respiro “pianse amaramente” per i suoi peccati e si considerò inferiore a tutti gli uomini. San Mosè sfruttò al massimo questo dono inestimabile e raggiunse la divinizzazione, la visione di Dio. Diversi episodi della sua vita rivelano il cambiamento radicale che si verificò nella sua anima. Cambiare il modo di pensare e lo stile di vita sottintende il pentimento. Vale la pena menzionarne uno: una volta, quattro banditi – i suoi vecchi compagni – entrarono nella sua capanna per derubarlo, senza immaginare chi ci avrebbero trovato. Quando lo videro, rimasero molto sorpresi. Ad uno ad uno San Mosè li catturò facilmente, li legò e li condusse dagli Anziani, chiedendo loro cosa fare con quei ladri, e dicendo allo stesso tempo: “Non sono più adatto a punire gli uomini”. Quando i ladri sentirono queste parole, confessarono i loro misfatti, si pentirono e divennero loro stessi monaci.
Un altro episodio caratteristico che rivela l’umiltà del Santo è il seguente: il giorno in cui fu ordinato Presbitero dal Patriarca di Alessandria, questi, nel momento in cui gli faceva indossare i paramenti sacri, gli disse amichevolmente che era diventato bianco come una colomba. Mosè chiese umilmente al Patriarca se giudicasse l’esterno o l’interno, visto il colore bianco di quei paramenti. Il Patriarca, volendo mettere alla prova la sua umiltà, diede ordine segretamente che, ad un certo punto, venisse allontanato dal santo Vima (il presbiterio dietro l’iconostasi). Così, quando cominciò la Divina Liturgia, fu messo fuori. San Mosè uscì immediatamente, senza alcuna opposizione. Una persona che lo seguiva con il compito di vedere se dicesse qualcosa di cattivo, lo sentì che ripeteva tra sé: “Ben ti sta, nero cadavere. Dal momento che non sei un uomo, cosa cerchi dagli uomini? ”(Gerontikon, pp. 252 -253).
All’età di 75 anni lasciò questa vita in modo violento e da martire. Banditi idolatri penetrarono nella sua grotta e lo uccisero a colpi di coltello, così diede l’anima a Dio.
La Chiesa con il modo di vita che offre, con la terapia della virtù, della preghiera e dei sacramenti, trasforma gli sciacalli e i lupi in pecore e agnelli senza macchia. Cambia l’orgoglioso in umile, le prostitute e gli adulteri in saggi, gli assassini e i ladri in santi.
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