Giovanni Brini, S. Giuseppe Calasanzio resuscita un fanciullo, 1834, chiesa di S. Agostino o di S. Giuseppe Calasanzio, Siena
[foto da scuolaecclesiamater.org]

Ecco un assiduo devoto delle tombe dei Martiri Romani, un quotidiano visitatore delle Sette Chiese di Roma. Questo gran santo, di cui Dio volle provata la pazienza come di un altro Giobbe, ha diritto alla cittadinanza Romana, giacché egli trascorse in riva al Tevere più di mezzo secolo. Dopo d’aver fondato l’ordine delle Scuole Pie, dopo d’aver rinunziato all’onore della porpora cardinalizia, perché nulla mancasse ai meriti del Calasanzio, egli quasi ottantenne, dagli sbirri fu trascinato come un malfattore per le vie di Roma, e condotto al tribunale della Sacra Inquisizione. Deposto dall’ufficio di Generale del suo ordine, schernito perfino dai suoi stessi discepoli, quasi fosse rammollito dalla grave età, san Giuseppe Calasanzio tutto sopportò con pari grandezza d’ animo. Quando a novantadue anni, il 25 agosto 1648 uscì di vita, l’Ordine delle Scuole Pie era quasi annientato; ma l’uomo non vale a distruggere le opere di Dio, ed il Santo in sul dipartirsi dalla terra ne predisse il rifiorire. L’evento confermò la profezia. La messa è tutta intonata allo spirito ed alla speciale vocazione dei membri delle Scuole Pie.


L’introito deriva l’antifona dal salmo 33. «Venite, o figliuoli, e porgetemi ascolto, ch’io v’insegnerò il timor di Dio». Segue l’inizio del salmo medesimo: «Benedirò il signore in ogni tempo, e la sua lode sarà sempre sul mio labbro».
Benedire Dio nelle tribolazioni, è da pochi; ma meno ancora sono coloro che ricevono dalla sua mano anche i favori della vita; onde se il cimento è pericoloso per una virtù debole, assai più dannosa riesce a molti la prosperità, e molto pochi sono quelli che ci si fanno santi. Pago d’ una giusta mediocrità, diceva perciò il Savio al Signore: Divitias et paupertatem ne dederis mihi, sed tantum victui meo tribue necessaria.
Preghiera. – «O Signore, che per mezzo del tuo beato confessore Giuseppe provvedesti la tua Chiesa d’ un novello aiuto onde informare la gioventù a pietà ed a sapere ; per le sue preghiere ed esempi, deh! fa si che ancor noi operiamo ed insegniamo, in modo da conseguire il premio celeste».
Gesù ha detto ai suoi Apostoli : Euntes docete omnes gentes, baptizantes eos. Dunque, prima ancora d’amministrare i Sacramenti, la Chiesa ha ricevuto da Dio l’autorità d’insegnare, d’istituir scuole, d’ elevare cattedre e pulpiti, donde bandire la parola della verità senza che alcuna autorità umana possa impedirglielo. Fedele a questa missione di cultura, la Chiesa, anche nel Medio Evo, a fianco dei presbiteri e delle cattedrali eresse delle scuole, ove mantenne accesa la face del sapere classico. E quando dopo il secolo XVI, prima ancora che le mutate condizioni d’Europa assicurassero al popolo una più larga influenza nella cosa pubblica, il saper di lettere era tuttavia monopolio dei ricchi, fu parimenti la Chiesa quella che, antiveggendo i tempi, per mezzo di san Giuseppe Calasanzio, di san Giovanni Battista de la Salle, del Venerabile Don Bosco ecc., si prese la cura d’ aprire scuole gratuite e popolari.
La prima lezione [Sap 10, 10-14] è come ieri, con delicata allusione alle gravi persecuzioni sostenute dal Santo, ed al suo arresto da parte degli sbirri dell’ Inquisizione.
Il responsorio graduale è come il 31 gennaio [Ps 36, 30-31]; mentre invece il
verso alleluiatico [Jac 1, 12] che si adatta tanto bene al lungo martirio del Calasanzio, è identico a quello della messa di san Raimondo, il 23 gennaio.
La lezione evangelica [Matth 18, 1-5] è come per san Giovanni Battista de la Salle, il 15 maggio. I piccoli ci vengono presentati siccome il modello della Cristiana perfezione, perché quello che essi sono per condizione di età, puri cioè, affettuosi, umili, disinteressati, i fedeli lo divengano sotto l’influsso della grazia. In base a tutta questa elevatissima costruzione ascetica, v’è però una virtù che le vale tutte.
Dice infatti il Salvatore : Quicumque humiliaverit se, sicut parvulus … L’umiltà dunque è la condizione essenziale per questo ritorno alla santa infanzia dallo spirito ; la quale, lungi dall’esser baia da fanciulli, esige invece da chi la pratica un’ abnegazione eroica di sé medesimo.
L’antifona dell’Offertorio deriva dal salmo 9. «Il Signore accolse il desiderio dei poveri; al suo orecchio giunse la voce del loro cuore».
Bisogna distinguere tra povertà e povertà. Quella lodata nelle Scritture, è solo la povertà praticata di cuore e nel cuore stesso, la quale quindi s’identifica coll’umiltà.
Sulle Oblate. – Noi ricolmiamo oggi di offerte i tuoi altari, onde ci riescano vantaggiose pei meriti di Colui che disponesti appunto fosse nostro protettore.
La colletta s’ispira al frasario dei Sacramentari, ma sa troppo d’ arcaico. In antico, il popolo effettivamente ricolmava l’altare dei suoi doni; ma oggi la frase «altare muneribus cumulamus» non ha senso, perché non corrisponde più all’odierna disciplina liturgica.
L’ antifona per la Comunione, è in relazione colla scena descritta nell’odierna lezione evangelica di san Matteo. Però è tolta dal testo di san Marco (X, 14): «Lasciate che i pargoli vengano a me e non vogliate impedirglielo, giacché di questi appunto è il regno dei cieli».
La purezza e l’umiltà esercitano sempre sul cuore del Divino Agnello un’ irresistibile attrattiva.
Dopo la Comunione. – «Santificati, o Signore, in grazia del Sacrificio di nostra salute, per le preghiere del beato Confessore Giuseppe ti supplichiamo, che tu ci conceda d’avanzare sempre più nello spirito di pietà».
La pietà è l’orientazione della mente ed il battito del cuore verso di Dio. Essa è utile ad ogni cosa, come scrive l’Apostolo a Timoteo, giacché è una virtù generale che imprime un ritmo soprannaturale a tutte le vostre azioni.



(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. VIII. I Santi nel Mistero della Redenzione (Le Feste dei Santi dall’Ottava dei Principi degli Apostoli alla Dedicazione di S. Michele), Torino-Roma, 1932, pp. 209-212)