Dai Discorsi di san Leone Magno (da lapaginadisanpaolo.unblog.fr)
Sermo LXXXV, 1-4. P L 54, 435-437.
QUI per il testo latino.
La perfezione di tutte le virtù e la pienezza di ogni giustizia scaturisce, miei cari, dall’amore che abbiamo verso Dio e verso il prossimo. Non ci può essere dubbio, perciò, che in nessun altro si trova e si rivela questo amore nella sua espressione più eccellente e più fulgida, come nei santi martiri. Sono costoro vicinissimi a nostro Signore Gesù Cristo, che è morto per tutti gli uomini, sia perché hanno imitato la sua carità sia perché hanno subito una passione simile alla sua.
Nessuno certo con tutta la sua bontà può raggiungere il grado di quell’amore con cui il Signore ci ha redento: ben diverso, infatti, è il caso di un uomo che, necessariamente mortale, muore per un giusto, dal caso di colui che, esente da ogni debito di morte, immola la sua vita per i peccatori. E tuttavia è davvero grande il contributo che i martiri hanno dato a tutta l’umanità: la loro fortezza è servita al Signore, che ne è la fonte, come mezzo per togliere agli occhi dei suoi figli l’aspetto terribile della pena di morte e della crudeltà della croce, e per renderla anzi a molti di loro desiderabile.
Non esiste persona buona che sia tale solo per se stessa, non c’è sapiente la cui sapienza giovi solo a lui stesso; anzi, la natura delle virtù autentiche è come una luce, per cui chi ne è illuminato può strappare anche altri dalle tenebre dell’errore. Ne segue che non c’è modello più valido di quello dei martiri per istruire e formare il popolo di Dio. Sarà quindi adatta l’eloquenza per commuovere, sarà efficace il ragionamento per persuadere; resta però che gli esempi sono sempre più forti delle parole, e vale di più insegnare coi fatti che con la lingua.
In questo genere di insegnamento superiore si distingue il santo martire Lorenzo, la cui passione dà splendore a questo giorno. Quale fosse in proposito il suo grande prestigio, poterono avvertirlo i suoi stessi persecutori: infatti, la sua forza d’animo meravigliosa, in lui essenzialmente derivata dall’amore di Cristo, non solo sfidò impavida tutti i tormenti, ma con l’esempio di resistenza che offriva diede vigore anche agli altri.
In quel tempo si scatenò il furore della autorità pagane contro le membra più nobili del corpo di Cristo, dando la caccia soprattutto a coloro che appartenevano all’ordine sacerdotale; e l’empio persecutore riversò il suo ardente odio contro il levita Lorenzo, in quanto svolgeva funzioni di primo piano non solo nell’amministrazione dei sacramenti ma anche nel gestire i beni della Chiesa. Dalla cattura di un solo uomo egli si riprometteva un doppio bottino: pensava infatti che, se fosse riuscito a farsi consegnare da lui il denaro sacro, sarebbe anche riuscito a staccarlo dalla vera religione.
Ecco dunque che l’uomo, avido di denaro e nemico della verità, trova le sue armi in queste due passioni che tutto lo infiammano: nella cupidigia per arraffare l’oro, e nell’empietà per eliminare Cristo. Pretende anzitutto dall’onestissimo custode del tesoro che gli siano consegnate le ricchezze della Chiesa, cioè l’oggetto primo della sua brama spasmodica. E il santo levita, per fargli vedere dove le teneva riposte, gli presentò le schiere innumerevoli dei cristiani poveri. Per sfamarli e vestirli – egli diceva . aveva impiegato quelle sostanze certo indistruttibili, perché tanto più integralmente le aveva salvate, quanto più santo era l’uso che dimostrava di averne fatto.
Quel ladrone, deluso nei suoi desideri, freme di rabbia, e in un impeto di odio contro la religione che aveva disposto un tale impiego delle ricchezze, passa al saccheggio dell’altro tesoro più prezioso, Tenta cioè di strappare a colui presso il quale non aveva trovato nessuna somma di denaro, il deposito della fede, di cui in un senso ben più elevato e santo era ricco.
Comanda quindi a Lorenzo di rinunziare a Cristo, e intanto si accinge ad attaccare con crudeli tormenti la forza solidissima della sua anima di levita. E poiché le prime prove non approdano a nulla, egli passa a torture ancora più violente. Quelle membra erano ormai orrendamente straziate per le molte mutilazioni provocate dai flagelli; ebbene egli dà ordine che siano messe sopra il fuoco per esservi abbrustolite: fa prendere un graticcio di ferro, che arroventato bruciava per l’ininterrotto calore, e vi fa ripetutamente voltare e rivoltare quel corpo, perché più violento ne sia lo strazio e più prolungata la pena.
Ma pure con questo nulla ottieni, a nulla riesci, o crudele aguzzino! Sfugge alla tua tecnica raffinata la materia del corpo e a un certo punto, mentre Lorenzo vola verso il cielo, non puoi più continuare. Le fiamme che preparasti non poterono vincere la fiamma della carità di Cristo, perché il fuoco che bruciava Lorenzo di fuori fu più fiacco di quello che internamente lo infiammava.
O persecutore, con le tue sevizie rendesti un gran servizio al martire e facesti più bella la sua vittoria raddoppiando le pene. Che cosa, infatti, tu non escogitasti per accrescere la gloria del vincitore, se anche gli strumenti del supplizio servirono ad abbellire il suo trionfo?
Apriamo dunque il cuore, o miei cari, a una grande gioia, e per la fine beata di questo nobilissimo eroe rallegriamoci nel Signore che è davvero mirabile nei suoi santi, perché di essi ha fatto a un tempo i nostri protettori e i nostri modelli. Egli ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo, che dall’oriente all’occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano, è toccata anche a Roma per merito di Lorenzo.
Mai noi cesseremo di confidare nella potenza della sua preghiera e del suo patrocinio. Potremo così, dato che – come afferma l’Apostolo . tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati, rafforzarci nello spirito di carità e premunirci con una fede ferma e perseverante capace di superare tutte le tentazioni.
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