Sintesi della 612° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo ausa epidemia di coronavirus. preparata nella festa di Santo Stefano Re d’Ungheria e postata nella festa di San Pio X. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).
In questa ricerca da poco condotta a termine due pensatori vissuti a distanza di circa quattro secoli si contrappongono, Francesco Suarez ed Etienne Gilson.
Il gesuita Francesco Suarez (1548-1617) fu giurista oltreché teologo e filosofo, uno dei massimi esponenti di quella che è stata definita “Scolastica Barocca”, termine che prelude all’approssimarsi del tramonto della Scolastica stessa; processo che si compirà nel Seicento, con l’ avvento della scienza matematica fisica newtoniana che spazzerà via essenze, fini, visione ilemorfica del cosmo su cui si basava la cosmologia aristotelica e scolastica, per imporre una fisica meccanicista, riduzionista dell’ universo a mera estensione in movimento ( riterrà quindi le sole cause efficienti, espungendo quelle formali e finali).
Alcuni degli allievi stessi di Suarez cercheranno di impugnare la difesa di una visione essenzialista contro la concezione meccanicistica-quantitativa dell’universo ( di cui peraltro la metafisica cartesiana non è che un accidente), ma in un’impresa disperata.
A Etienne Gilson, filosofo neoscolastico del 900′, si deve innanzitutto la denuncia del progressivo oblio da parte della filosofia contemporanea della metafisica intesa come scienza dell’essere in quanto essere ( il concetto più universale ma non già vuoto di contenuto, come vorrebbe Hegel, in cui tutti gli altri concetti sono contenuti e lo presuppongono); oblio dovuto alla svolta essenzialista del razionalismo cartesiano, ma altresì a quella parcellizazione e specializzazione del sapere che il positivismo ha segnatamente incoraggiato (1).
Si deve altresì a Gilson l’istanza di un recupero della classica nozione metafisica di actus essendi quale nocciolo trascendentale che lega essenza ed esistenza, sempre in polemica con ogni impostazione essenzialista del problema dell’essere, anche se in questo percorso bisogna riconoscere con il compianto dott. Andrea Dalledonne che Padre Cornelio Fabro ha anticipato Il Gilson (2).
I guadagni conseguiti da Gilson sono certamente pregevoli e degni di riflessione assidua, anche se egli, a differenza di padre Cornelio Fabro, non di rado confonde l’ atto di essere con l’ esistenza sensibile.
Rischiando talvolta di sbilanciare la nozione di actus essendi a favore dell’esistenza, invece esso non può essere essenzializzato, ma al contempo, neppure risolto tout court nella sfera dell’esistenza. In l’ “Etre et l’ Essence” il neoscolastico francese disamina la storia della concezione del rapporto tra essenza ed esistenza in un itinerario del pensiero che dalla filosofia greca giunge all’esistenzialismo kierkegardiano; egli ravvisa sostanzialmente tre posizioni: rapporto di distinzione reale tra essenza ed esistenza (secondo l’ insegnamento di Avicenna e, mutatis mutandis, di San Tommaso d’Aquino), una distribuzione modale ( la linea di Duns Scoto, che configuro’ l’esistenza come grado o appendice dell’essenza), infine la posizione della distinzione di ragione (già incoraggiata dal Suarez e approfondita dalla Metafisica essenzialista del razionalismo moderno).
Le ” Disputationes metaphysicae” (pubblicate per la prima volta nel 1597) costituiscono una vera e propria “Summa” del pensiero metafisico moderno o premoderno e di notevole influsso sulla metafisica razionalista del 600′ e anche successiva (a ragione Gilson definisce Cartesio uno degli “allievi degli allievi” di Francesco Suarez).
Le Disputationes metaphysicae costituiscono un trattato autonomo dal punto di vista del metodo nella misura in cui Francesco Suarez decise di non ” soggiacere” più all’autorità di Aristotele, ma di fondare la scienza metafisica su propri principi. Non scompare certo né la linea tomista né quella scotista e in fondo egli ” conserva l’ abitudine medievale che si esplicava a suo agio in tante quaestiones disputatae a partire dal XIII secolo, di non determinare mai una questione senza aver dapprima riferito, confrontato e criticato le opinioni più famose proposte dai suoi precursori sul punto controverso” (3).
In ogni caso Suarez ritiene di doversi svincolare dalla ” soggezione” alla Metafisica aristotelica, di cui peraltro non condivide l’ esposizione troppo ” prolissa”.
Che cosa significa per Suarez domandarsi che cosa sia l’essere? Precisamente significa cercare quale concetto oggettivo corrisponda a questo termine che sussiste nel pensiero. Infatti egli contempla una distinzione tra concetto di “essere nominale” e ” oggettivo”; intendendo con il primo l’atto che ha per oggetto la nozione di essere offerta all’intelletto (4).
A ogni concetto oggettivo corrisponde un concetto formale in modo biunivoco. Ma al fine di offrire risposta alla domanda ” quale natura corrisponda al concetto formale di essere” è decisiva un’altra distinzione, quella di essere come “verbo” e come “nome”; nel suo significato originario, essere designa un “ens”, un participio presente, un essenza attuale concretizzarsi nell’esistenza; per estensione e in senso derivato, “essere” designa un nome, cioè un’essenza possibile, ma capace di esistere nella misura in cui i suoi attributi sono compossibili ( cioè fra di loro non contraddittori).
È molto importante aver rammentato questa ultima distinzione, fondamentale nell’ontologia suareziana: egli risolve il participio “existens” nel participio “ens”, ritiene che un ‘essenzsuma possibile, cioè i cui attributi siano compossibili, abbia il requisito necessario e sufficiente per esistere
Francisco Suarez dunque ritiene che la semplice prensione del concetto di “essenza reale” o ” essenza attuale” offra l’ idea della sua esistenza e che sia pleonastico aggiungere l’ esistenza ad un essenza reale. Questo dato è sufficiente a capire che egli concluderà alla negazione della distinzione reale tra essenza ed esistenza.
È d’ uopo qui rimarcare un punto che ho già anticipato all’inizio della trattazione, Francesco Suarez è partigiano di un’ ontologia che afferma il primato dell’essenza, a cui non interessa fondamentalmente interrogarsi sull’esistenza attuale o possibile (5).
Insomma, la metafisica non ha più il compito di andare alla ricerca delle essenze attualmente esistenti, dal momento che per Suarez e per i suoi discepoli è ” indifferente alla natura dell’essere il fatto che esso esista o non esista”.
Una vulgata decisamente moderna della scolastica, ora fondata sul primato dell’essenza, già notevolmente distante da quella tomista che al contrario aveva definito la supremazia dell’atto di esistere.
Naturalmente, Francisco Suarez è un pensatore cattolico, estraneo a ogni necessitarismo, afferma pienamente il concetto di creazione nonché la convinzione che l’atto di esistere appartenga alla creatura in maniera contingente e al Creatore in maniera necessaria; nonostante questo, la sua ontologia del primato dell’essenza pone le basi per l’ esclusione dell’esistenza dall’oggetto primo della filosofia prima. Una tale ontologia, che riduce l’esistenza all'”attualità dell’essenza reale” finisce non solo per escludere l’ esistenza dalla scienza dell ‘essere, ma altresì per accantonare la problematica stessa dell’existentia.
Ora esplicherò le ragioni per cui Suarez pensa bene di negare la distinzione reale tra essenza ed esistenza, dottrina che egli attribuisce a San Tommaso d’Aquino e ai suoi vecchi discepoli .
Afferma nelle sue Disputationes,XXXI,1,3, che secondo l’ opinione di San Tommaso d’Aquino “existentiam esse rem, quam distinctam omnino realiter ab entitate essentiae creaturae”; quando pensa alla distinzione reale tra essenza ed esistenza, Suarez ritiene che si tratti della distinzione non già di due principi o condizioni dell’ ens, bensì di due cose e quindi prende posizione contro la distinzione reale, essendo a suo avviso un essenza attualizzata sufficiente per se a fornire la nozione di esistenza; riconosciamo che nella Scolastica la dottrina tomista della distinzione reale tra essenza ed esistenza sia stata talvolta travisata ed intesa in senso naturalistico(6), con indebita cosificazione obiettivazione dei concetti di essenza ed esistenza; cionondimeno, Suarez si arresta a un’interpretazione superficiale e naturalista della dottrina insegnata da San Tommaso d’Aquino e ripresa segnatamente da Gilles de Rome, non approfondisce l’immensa portata che questa dottrina riveste, le sue notevoli implicazioni a livello teologico, soprattutto per quanto riguarda la problematica creazionista.
Inoltre non tiene conto del fatto che San Tommaso d’Aquino non ha mai inteso la distinzione reale come totale separazione di cose, bensì come correlazione tra due principi il cui nocciolo trascendentale è l’actus essendi
La questione della distinzione tra essenza ed atto di esistere si rivela molto più legata alla problematica della creazione e della contingenza creaturale di quanto Suarez non avesse pensato; ad avviso del gesuita spagnolo, Gilles de Rome e i discepoli di San Tommaso d’Aquino hanno ritenuto opportuno concepire distinzione reale tra essenza ed atto di esistere perché assillati dall’istanza di giustificare la differenza tra il Creatore, Esse ipsum subsistens, e la creatura cui l’ esistenza compete per partecipazione in modo contingente.
Per Suarez, con ogni probabilità influenzato dal rasoio di Occam molto più di quanto sia lecito supporre, la natura contingente degli enti creati si giustifica ammettendo semplicemente la distinzione tra essenza possibile e attualizzata, senza bisogno di includere nell’atto di essere l’ esistenza.
Gilson in ” Etre et Essence” mostra magistralmente come Il gesuita spagnolo abbia dato prova di impostazione ingenua e superficiale, accantonando i diritti dell’ esistenza (7). Considerando concluso il tema dell’ actus essendi dopo aver affermato che l’essenza posta in essere è quella attualizzata, non sì è ritenuto in dovere di svolgere ulteriori approfondimenti. Gilson, filosofo neoscolastico preoccupato di recuperare quel primato dell’esistenza che la scolastica barocca suareziana si accingeva ad eclissare, ritiene invece che una semplice distinzione di ragione tra essenza ed atto di esistere non renda conto della nobiltà e portata ontologica che riveste l’atto di esistenza: essa conferisce l’atto primo fondamentale, l’atto di essere, cui sono subordinati tutti gli ” acta secunda”( pensare, percepire, nutrirsi,etc).
Suarez si inganna di grosso quando pensa che l’atto di esistenza sia una questione che non interferisca con quella della creazione. Infatti l’ex del termine di esistenza richiama, rinvia alla causa, fonte, radice da cui è scaturito l’ ente creato; existere significa ” uscire dalla propria causa ” e da essa essere posto in essere (8). A differenza del termine ” essenza”, il termine ” esistenza” dunque rinvia in ultima analisi alla Causa Prima, l’ Ipsum Esse Subsistens da cui l’ esistenza si irradia per atto di Bontà e Sollecitudine a tutti gli enti creati che ne partecipano in modo contingente.
In definitiva, quel processo o Gilson definisce di desistenzializzazione dell’ ontologia si avvia nella tarda scolastica suareziana, per quanto il gesuita spagnolo non raggiunga certamente gli eccessi del deteriore essenzialismo cartesiano di marca spinoziana.
Difende pur sempre da teologo cattolico la natura finita della creatura quale segno della sua contingenza; cionondimeno, la nozione stessa di contingenza non viene alla fine giustificata rigorosamente, dal momento che Suarez ha sottovalutato il valore portante dell’atto di esistere per le sue implicazioni ontologiche e teologiche, di fatto egli richiamandosi perfino all’ autorità di Aristotele per il quale ” homo ” e ” quidam homo” non implicano distinzione reale, ha ingenuamente pensato bene di espungere dalla speculazione metafisica, l’atto di esistenza, alla stregua di alcunché di pleonastico rispetto all’ essenza attuale o di un inutile doppione.. Cari amici della Comunità Antagonista Padana e di Radio Spada, buona lettura !
Note all’articolo
(1)cfr. E.Gilson, The Unity of philosophical Esperience, Scribner’ s Sons, New York, 1937,pag 136
(2) mi pregio di segnalare l ottimo lavoro di Andrea Dalledonne, Valenze etico-speculative del realismo metafisico, edizione Marzorati. A giudizio del nostro, non solo il pur autorevole Gilson è arrivato in ritardo rispetto a Cornelio Fabro alla riscoperta dell’ actus essendi, ma lo avrebbe anche leggermente travisato a causa di una talvolta unilaterale insistenza sui diritti dell’esistenza sensibile
(3) E.Gilson, L’ Essere e L’Essenza, Massimo, Milano, 2007(edizione ristampata in italiano), pag.132
(4) Quaestiones disputatae, II,1,1,pag 31 ” conceptus formalis dicitur actus ipse, seu (quod idem est) verbum quo intellectus rem aliquam seu communem concipit…conceptus obiectivus dicitur illa res , vel ratio, quae proprie et immediate per conceptum formalem cognoscitur seu repraesentatur”.
È d’ uopo osservare che il lessico suareziano in questo ambito verrà ripreso da Cartesio e, di fatto, il concetto di essere oggettivo qui enucleato ricorda non poco la ” chiara” e ” distinta” idea cartesiana.Vi è un punto inoltre in cui Suarez si involve nello psicologismo, punto peraltro non rilevato dal Gilson. Finché egli definisce il concetto formale ” verbum” non vi sono difficoltà; ma quando egli accoglie la definizione di concetto formale come atto con cui avviene la prensione del concetto oggettivo si configura la psicologistica confusione tra noesis e noema. Del resto Cartesio compie un errore analogo definendo l’ evidenza come attitudine dell’ intelletto a concepire le idee in modo chiaro e distinto, anziché come modo dell’ essere.
(5) Etienne Gilson, l’ Essere e L’Essenza,cit., pp. 139-145
(6) Sulla possibile e nondimeno non giustificata interpretazione naturalista dell’ actus essendi della metafisica classica ha dedicato profonde riflessioni Il dottor Carlo Arata in Persona ed Evidenza nella prospettiva classica, edizioni Marzorati, pag.34
(7) Gilson, l’Essere e L’Essenza, cit.pag 142″ la negazione di Suarez di ogni esistenza distinta non è che il rovescio di un’ affermazione integrale e definitiva dell’ essenza pura di ogni dato non concettualizzato e che la ragione non sia capace di assimilare integralmente”. Cenno polemico del Gilson nei confronti della pretesa suareziana di espungere dalla speculazione metafisica ciò che, come l’ atto di esistere, non si presta a concettualizzazione
(8) In forza di questa visione essenzialista già matura viene meno anche la distinzione tra giudizio di esistenza e giudizio predicativo, essa non rende conto della sostanziale irriducibilità del secondo (che attribuisce un predicato al soggetto) al primo ( che per dirla con Kant attribuisce a un soggetto la sua posizione assoluta)