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da fsspx.news

Il 23 maggio 1968, la Congregazione dei Riti ha promulgato tre nuove preghiere eucaristiche elaborate dal Consilium, l’ente creato da Paolo VI per attuare la riforma – o meglio la rivoluzione – liturgica. Ma questa nuova creazione era voluta dal Concilio? Ed era anche ragionevole?

Il primo progetto del Consilium voleva “migliorare” il canone romano, per correggerlo. Ma il compito si rivelò difficile, soprattutto a causa delle opposizioni tra liturgisti sui presunti difetti del testo. Quindi, la critica di Dom Cipriano Vagaggini, abbastanza radicale, non era condivisa da tutti[1].

Il 25 maggio 1966 il Consilium – non poteva che essere Bugnini – precisò al Papa che, nel caso in cui si fosse dovuto pensare a una nuova preghiera eucaristica, “il Consilium sarebbe stato onorato di poter presentare i progetti”[2].

Durante l’udienza del 20 giugno 1966, il cardinale Lercaro – che guidava il Consilium – propose al Papa “di conservare integralmente il testo tradizionale del Canone e di creare ex novo una o più formule di preghiera eucaristica, da affiancare alla tradizionale”. La risposta di Paolo VI ci viene data dal Bugnini: “Lasciate invariata l’attuale anafora; si compongano o cerchino due o tre anafore da usare in tempi particolari” [3].

La terza preghiera eucaristica

L’elaborazione – eseguita con una fretta che ha dell’incredibile – delle preghiere eucaristiche 2 e 4 è stata riportata nei due articoli precedenti. Il presente articolo si occupa della terza preghiera eucaristica e poi dà un giudizio generale.

Le circostanze della realizzazione di questo terzo canone sono meno documentate di quelle degli altri due. Tuttavia, alcuni elementi sono noti. Così, afferma Jounel: “La Preghiera Eucaristica III è una rifusione del Progetto di un secondo canone romano di P. Vagaggini” [4].

Inoltre, come spiega Dom Guillou [5]: “A differenza della seconda preghiera eucaristica che trae la sua unità dall’originale, la terza è composta da una quindicina di prestiti o centoni. Sono stati arrangiati da un unico autore moderno “[6].

Dom Guillou prosegue in maniera deliziosa: “Si tratta di una cosa seria, anche se non si può dire che sia attuale, perché da subito mons. Huygue [7] avrebbe voluto preghiere meno “impermeabili”, abbandonando “un linguaggio condensato e allusivo”.

“Le nuove anfore dovrebbero tradurre, scriveva (La Maison Dieu 92) ‘la gioia e le speranze dell’uomo di oggi, il successo tecnico che completa la creazione, la scandalosa differenza tra paesi ricchi e paesi poveri, la minaccia di guerra aggravata dalla corsa agli armamenti, il potente movimento per il progresso umano …, la precarietà del lavoro …, la proliferazione di persone lasciate indietro dalla civiltà, bambini disabili, anziani abbandonati, ritardati mentali’ e perché no: vescovi confusi?”

“Il movimento è attivo. L’insieme della preghiera universale, delle prediche in cui non si parla più di Dio, non bastano più. Si va verso l’elaborazione di eucaristie appropriate! Non era questo il modo delle prime celebrazioni secondo San Giustino? È vero che subito si è ritenuto saggio rinunciarvi, ma i nostri restauratori vogliono riscrivere la storia come se l’esperienza non contasse. Non si è arrivati al punto di parlare di “costruire la Chiesa”, come se vivessimo in capanne? In una tale atmosfera, la PREX III era piuttosto rassicurante; sarebbe stata anche meglio della seconda preghiera, se troppi sacerdoti non l’avessero interrotta” [8].

Il fallimento di una liturgia fabbricata

Questo successo – relativo – della terza preghiera eucaristica non le impedì di cadere, insieme alle altre due, sotto le critiche degli stessi progettisti. L’appellativo di “aborto”, applicato da padre Bouyer al risultato di questa riforma insensata, se appare severo, non sembra meno crudelmente giusto e giustificato.

È la nozione stessa di “fare” la liturgia che deve essere messa in discussione. Dobbiamo ricordare la critica rilevante del cardinale Ratzinger su questo argomento, citata nel primo articolo. La Lettera ai nostri confratelli sacerdoti n° 54 offre un’antologia delle reazioni dei liturgisti del tempo, tra i più impegnati. Sono particolarmente illuminanti.

Il vero problema è sapere se “una liturgia davvero significativa per l’uomo di oggi può venire da uffici nazionali e internazionali composti principalmente da ecclesiastici e specialisti” [9]. Perché “una buona liturgia non si crea in una volta. Le liturgie del passato erano organicamente generate l’una dall’altra” [10].

Questo è “un aspetto della riforma liturgica che forse avrebbe dovuto essere criticato di più: un’attenzione forse troppo spinta a razionalizzare le strutture liturgiche” [11].

Stessa eco di un altro specialista: “L’istituzione dei nuovi riti o rituali sono stati talvolta condotti sulla base di modelli il cui valore strutturale e universale era sovrastimato, oppure da presupposti teologici o dottrinali non pienamente sviluppati”[12].

Anche padre Laurentin, così entusiasta del Concilio, finì per ammettere che “la riforma liturgica era seria, competente, coerente, ma non sfuggiva alla freddezza delle liturgie risultanti non dalla preghiera stessa, ma dalle commissioni specializzate. Queste a volte hanno avuto la mano pesante per lavare via segni e tradizioni” [13].

Lasciamo la conclusione a Dom Oury, che riassume benissimo lo spirito degli innovatori: “è necessaria una buona dose di illusione e megalomania per credersi umilmente capaci di forgiare una liturgia migliore di quella che venti secoli di tradizione cristiana hanno pian piano plasmato” [14].

(Fonti: Mazza/Lettre à nos frères prêtres/dom Guillou – FSSPX.Actualités)
Illustrazioni: WitherspoonL / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)


[1] Cf. Enrico Mazza, « Le rôle de Dom Cyprien Vagaggini dans la composition des prières eucharistiques du Missel de Paul VI », La Maison-Dieu 298, 2019/4, pp. 55-91.
[2] A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975), Roma, Edizioni liturgiche CLV, 1983, p. 444.
[3] Ibidem
[4] Pierre Jounel, « La composition des nouvelles prières eucharistiques », La Maison-Dieu 94, 1968, p. 53.
[5] Dom Edouard Guillou (1911-1991), monaco benedettino dell’abbazi Sainte-Marie, detta abbazia de la Source (congregazione di Solesmes), a Parigi. Durante il Concilio, anima con la sua penna erudita e argomenta il settimanale Nouvelles de Chrétienté. Lascierà in seguito la sua abbazia per collaborare con la Fraternità San Pio X fino alla morte.
[6] Edouard Guillou, Le canon romain et la liturgie nouvelle, Ed. Fideliter, 1990.
[7] Mons. Gérard Huyghe (1909-2001),vescovo d’Arras, impegnato nei movimenti sociali del suo tempo.
[8] Edouard Guillou, op. cit.
[9] Robert Gantoy, « Deux réactions à propos d’une analyse du vocabulaire liturgique », Communautés et liturgies 5, settembre-ottobre1975, p. 413.
[10] Adrian Hastings, « Le christianisme occidental et la confrontation des autres cultures », La Maison Dieu 179, 3e trim. 1989, p. 40.
[11] Pierre-Marie Gy, « Bulletin de liturgie », Revue des sciences philosophiques et théologiques 2, avril 1985, p. 319.
[12] Dominique Dye, « Statut et fonctionnement du rituel dans la pastorale liturgique en France après Vatican II », La Maison Dieu 125, 1er trim. 1976, p. 141.
[13] René Laurentin, « Vatican II, acquis et déviations », Le Figaro, 23-24 novembre 1985, p. 10.
[14] Guy Oury, « Les limites nécessaires de la créativité en liturgie », Notitiæ 131-132, juin-juillet 1977, p. 352, article repris de Esprit et Vie – L’Ami du clergé du 28 avril 1977.