“Super aspidem et basiliscum ambulabis:
conculcabiles leonem et draconem“
(Ps XC, 13)

di Giuliano Zoroddu
In un precedente articolo tratteggiavo in poche e modeste righe la vicenda storica dell’elefante Annone che dalla lontana India fu portato a Roma alla corte di Leone X. E facevo menzione anche degli altri animali particolari che in quel tempo si potevano ammirare nel centro della Cristianità: galline indiane, pantere, cavalli persiani, leopardi e persino un rinoceronte se solo una tempesta non avesse affondato la nave che lo trasportava a largo di Marsiglia.
Del resto l’interesse verso l’esotico non era una cosa del tutto nuova: certamente la scoperta del Nuovo Mondo l’intensificò, ma è cosa ben nota (sebbene non al grande pubblico) come sempre il Papato abbia patrocinato le scienze naturali.
Tuttavia oggi faremo un salto in avanti di quattrocento anni e lasceremo le luccicante corte del papa mediceo per spostarci nella Roma “italiana”, nella Roma di san Pio X.
Nel febbraio del 1907 infatti il santo Pontefice, benemerito per la difesa dei diritti della Chiesa e per la lotta senza quartiere al modernismo, riceveva una legazione, una delle tante invero, del Negus neghesti Menelik. E, sebbene non con lo stesso sfarzo esteriore che accompagnò i doni del re portoghese, furono umiliati al Vicario di Cristo, assieme alla riverenza dell’imperatore, anche due leoni che la significavano.
Così ne faceva relazione Civiltà Cattolica*:
“Tra i vari ricevimenti accordati da Sua Santità nel mese di febbraio va menzionato quello al P. Bernard Cappuccino reduce dalla missione diplomatica di Etiopia. Egli fu inviato all’imperatore Menelik II con un autografo di Pio X nello scorso settembre, e fu ricevuto con molta solennità in quella corte dell’imperatore prima, e poi dall’imperatrice, cui aveva l’incarico d’offrire da parte del Sommo Pontefice un artistico mosaico raffigurante la Beata Vergine. Ora portatore di due lettere di quei due sovrani ritornava col dono di due leoncini, che il Negus inviava al Santo Padre, dono splendido secondo la stima di quelle regioni e magnifico per sé stesso e che il Papa fece alloggiare nei giardini vaticani, dove rinchiusi in una gabbia di ferro pare stieno a rappresentare la generosità e la forza anche nel servaggio”.
* La Civiltà Cattolica, Anno 59°-1908, Quaderno 1386, 21 marzo 1908, p. 737.
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