[foto da piusppxii.wordpress.com]
Bergoglio (volutamente?) ogni volta che apre bocca ingenera un vespaio. Una delle ultime affermazioni riguarda il piacere sessuale. Riprendiamo quanto riporta vaticannews.va nell’articolo dedicato al libro-dialogo tra Francesco “e un agnostico [similes cum similibus facillime congregantur, ndRS], ex comunista e gastronomo, come Carlo Petrini, fondatore di “Slow food”: “Il piacere arriva direttamente da Dio, non è cattolico né cristiano né altro, è semplicemente divino. Il piacere di mangiare serve per far sì che mangiando ci si mantenga in buona salute, così come il piacere sessuale è fatto per rendere più bello l’amore e garantire la prosecuzione della specie“. Parole non disdicevoli in se stesse, ma indelicate (e il tema della sessualità è tra i più delicati) e foriere di un messaggio non certo cristianissimo (sempre che chi le ha pronunziate voglia dare un messaggio cristiano). Quindi offriamo ai Lettori su questo argomento un estratto dal Discorso che Pio XII tenne alle ostetriche il 29 ottobre 1951.
Ora la verità è che il matrimonio, come istituzione naturale, in virtù della volontà del Creatore non ha come fine primario e intimo il perfezionamento personale degli sposi, ma la procreazione e la educazione della nuova vita. Gli altri fini, per quanto anch’essi intesi dalla natura, non si trovano nello stesso grado del primo, e ancor meno gli sono superiori, ma sono ad esso essenzialmente subordinati. Ciò vale per ogni matrimonio, anche se infecondo; come di ogni occhio si può dire che è destinato e formato per vedere, anche se in casi anormali, per speciali condizioni interne ed esterne, non sarà mai in grado di condurre alla percezione visiva.
Precisamente per tagliar corto a tutte le incertezze e le deviazioni, che minacciavano di diffondere errori intorno alla scala dei fini del matrimonio e ai loro reciproci rapporti, redigemmo Noi stessi alcuni anni or sono (10 marzo 1944) una dichiarazione sull’ordine di quei fini, indicando quel che la stessa struttura interna della disposizione naturale rivela, quel che è patrimonio della tradizione cristiana, quel che i Sommi Pontefici hanno ripetutamente insegnato, quel che poi nelle debite forme è stato fissato dal Codice di diritto canonico (can. 1013 § i). Che anzi poco dopo, per correggere le contrastanti opinioni, la Santa Sede con un pubblico Decreto pronunziò non potersi ammettere la sentenza di alcuni autori recenti, i quali negano che il fine primario del matrimonio sia la procreazione e la educazione della prole, o insegnano che i fini secondari non sono essenzialmente subordinati al fine primario, ma equipollenti e da esso indipendenti (S. C. S. Officii, I aprile 1944 – Acta Ap. Sedis vol. 36, a. 1944, p. 103).
Si vuole forse con ciò negare o diminuire quanto vi è di buono e di giusto nei valori personali risultanti dal matrimonio e dalla sua attuazione? No certamente, poiché alla procreazione della nuova vita il Creatore ha destinato nel matrimonio esseri umani fatti di carne e di sangue, dotati di spirito e di cuore, ed essi sono chiamati in quanto uomini, e non come animali irragionevoli, ad essere gli autori della loro discendenza. A questo fine il Signore vuole l’unione degli sposi. Infatti di Dio la Sacra Scrittura dice che creò l’uomo a sua immagine e lo creò maschio e femmina (Gen. I, 27), ed ha voluto — come si trova ripetutamente affermato nei Libri sacri — che «l’uomo abbandoni il padre e la madre, e si unisca alla sua donna, e formino una carne sola » (Gen. 2, 24; Matth. 19, 5; Eph. 5, 31).
Tutto questo è dunque vero e voluto da Dio; ma non deve essere disgiunto dalla funzione primaria del matrimonio, cioè dal servizio per la vita nuova. Non soltanto l’opera comune della vita esterna, ma anche tutto l’arricchimento personale, lo stesso arricchimento intellettuale e spirituale, perfino tutto ciò che vi è di più spirituale e profondo nell’amore coniugale come tale, è stato messo, per volontà della natura e del Creatore, al servizio della discendenza. Per sua natura, la vita coniugale perfetta significa anche la dedizione totale dei genitori a beneficio dei figli, e l’amore coniugale nella sua forza e nella sua tenerezza è esso stesso un postulato della più sincera cura della prole e la garanzia della sua attuazione (cfr. S. Th. 3 p. q. 29 a. 2 in c.; Suppl. q. 4D a. 2 ad i).
Ridurre la coabitazione dei coniugi e l’atto coniugale ad una pura funzione organica per la trasmissione dei germi sarebbe come convertire il focolare domestico, santuario della famiglia, in un semplice laboratorio biologico. Perciò nella Nostra allocuzione del 29 settembre 1949 al Congresso internazionale dei medici cattolici abbiamo formalmente esclusa dal matrimonio la fecondazione artificiale. L’atto coniugale, nella sua struttura naturale, è un’azione personale, una cooperazione simultanea e immediata dei coniugi, la quale, per la stessa natura degli agenti e la proprietà dell’atto, è la espressione del dono reciproco, che, secondo la parola della Scrittura, effettua l’unione «in una carne sola».
Ciò è molto più della unione di due germi, la quale si può effettuare anche artificialmente, vale a dire senza l’azione naturale dei coniugi. L’atto coniugale, ordinato e voluto dalla natura, è una cooperazione personale, alla quale gli sposi, nel contrarre il matrimonio, si scambiano il diritto.
Quando perciò questa prestazione nella sua forma naturale è dall’inizio e durevolmente impossibile, l’oggetto del contratto matrimoniale si trova affetto da un vizio essenziale. E’ quel che allora abbiamo detto : «Non si dimentichi: solo la procreazione di una nuova vita secondo la volontà e il disegno del Creatore porta con sé, in un grado stupendo di perfezione, l’attuazione dei fini intesi. Essa è al tempo stesso conforme alla natura corporale e spirituale e alla dignità degli sposi, allo sviluppo normale e felice del bambino» (Acta Ap. Sedis vol. 41, 1949, p. 560).
Dite dunque alla fidanzata o alla giovane sposa, che venisse a parlarvi dei valori della vita matrimoniale, che questi valori personali, sia nella sfera del corpo o dei sensi, sia in quella _ spirituale, sono realmente genuini, ma che dal Creatore nella scala dei valori sono stati messi non al primo, ma al secondo grado.
Aggiungete un’altra considerazione, che rischia di cadere nell’oblio. Tutti questi valori secondari della sfera e dell’attività generativa rientrano nell’ambito dell’ufficio specifico dei coniugi, che è di essere autori ed educatori della nuova vita. Alto e nobile ufficio! il quale però non appartiene all’essenza di un essere umano completo, come se, non venendo la naturale tendenza generativa alla sua attuazione, si avesse in qualche modo o grado una diminuzione della persona umana. La rinunzia a quell’attuazione non è — specialmente se fatta per i più nobili motivi — una mutilazione dei valori personali e spirituali. Di tale libera rinunzia per amore del Regno di Dio il Signore ha detto: «Non omnes capiunt verbum istud, sed quibus datum est – Non tutti comprendono questa dottrina, ma coloro soltanto ai quali è dato » (Matth. 19, t).
Esaltare oltre misura, come oggi si fa non di rado, la funzione generativa, anche nella forma giusta e morale della vita coniugale, è perciò non soltanto un errore e una aberrazione; essa porta anche con sé il pericolo di una deviazione intellettuale ed effettiva, atta ad impedire e soffocare buoni ed elevati sentimenti, specialmente nella gioventù ancora sprovvista di esperienza e ignara dei disinganni della vita. Poiché infine quale uomo normale, sano di corpo e di anima, vorrebbe appartenere al numero dei deficienti di carattere e di spirito?
Possa il vostro apostolato, là ove voi esercitate la vostra professione, illuminare le menti e inculcare questo giusto ordine dei valori, affinché gli uomini ad esso conformino i loro giudizi e la loro condotta!
Questa Nostra esposizione sulla funzione del vostro apostolato professionale sarebbe tuttavia incompleta, se Noi non aggiungessimo ancora una breve parola intorno alla difesa della dignità umana nell’uso della inclinazione generativa.
Quello stesso Creatore, che nella sua bontà e sapienza ha voluto per la conservazione e la propagazione del genere umano servirsi dell’opera dell’uomo e della donna, unendoli nel matrimonio, ha disposto anche che in quella funzione i coniugi pro vino un piacere e una felicità nel corpo e nello spirito. I coniugi dunque nel cercare e nel godere questo piacere, non fanno nulla di male. Essi accettano quel che il Creatore ha loro destinato.
Nondimeno anche qui i coniugi debbono sapersi mantenere nei limiti di una giusta moderazione. Come nel gusto dei cibi e delle bevande, così in quello sessuale, essi non debbono abbandonarsi senza freno all’impulso dei sensi. La retta norma è dunque questa: L’uso della naturale disposizione generativa è moralmente lecito soltanto nel matrimonio, nel servizio e secondo l’ordine dei fini del matrimonio medesimo. Da ciò consegue che anche soltanto nel matrimonio e osservando questa regola, il desiderio e la fruizione di quel piacere e di quella soddisfazione sono leciti. Poiché il godimento sottostà alla legge dell’azione, dalla quale esso deriva, e non viceversa, l’azione alla legge del godimento. E questa legge, così ragionevole, riguarda non solo la sostanza, ma anche le circostanze dell’azione, di guisa che, pur restando salva la sostanza dell’atto, si può peccare nel modo di compierlo.
La trasgressione di questa norma è tanto antica quanto il peccato originale. Però al tempo nostro si corre pericolo di perdere di vista lo stesso principio fondamentale. Al presente, infatti, si suole sostenere, con le parole e con gli scritti (anche da parte di alcuni cattolici), la necessaria autonomia, il proprio fine e il proprio valore della sessualità e della sua attuazione, indipendentemente dallo scopo della procreazione di una nuova vita. Si vorrebbe sottoporre ad un nuovo esame e ad una nuova norma l’ordine stesso stabilito da Dio. Non si vorrebbe ammettere altro freno nel modo di soddisfare l’istinto che l’osservare l’essenza dell’atto istintivo. Con ciò alla obbligazione morale del dominio delle passioni si sostituirebbe la licenza di servire ciecamente e senza freno i capricci e gl’impulsi della natura; il che non potrà, presto o tardi, che ridondare a danno della morale, della coscienza e della dignità umana.
Se la natura avesse mirato esclusivamente, o almeno in primo luogo, ad un reciproco dono e possesso dei coniugi nella gioia e nel diletto, e se avesse disposto quell’atto soltanto per rendere felice nel più alto grado possibile la loro esperienza personale, e non per stimolarli al servizio della vita, allora il Creatore avrebbe adottato un altro disegno nella formazione e costituzione dell’atto naturale. Ora invece questo è insomma tutto subordinato e ordinato a quell’unica grande legge della «generatio et educatio prolis», vale a dire al compimento del fine primario del matrimonio come origine e sorgente della vita.
Pur troppo ondate incessanti di edonismo invadono il mondo e minacciano di sommergere nella marea crescente dei pensieri, dei desideri e degli atti tutta la vita matrimoniale, non senza seri pericoli e grave pregiudizio dell’ufficio primario dei coniugi.
Questo edonismo anticristiano troppo spesso non si arrossisce di erigerlo a dottrina, inculcando la brama di rendere sempre più intenso il godimento nella preparazione e nella attuazione della unione coniugale; come se nei rapporti matrimoniali tutta la legge morale si riducesse al regolare compimento dell’atto stesso, e come se tutto il resto, in qualunque modo fatto, rimanga giustificato dalla effusione del reciproco affetto, santificato dal sacramento del matrimonio, meritevole di lode e di mercede dinanzi a Dio e alla coscienza. Della dignità dell’uomo e della dignità del cristiano, che mettono un freno agli eccessi della sensualità, non si ha cura.
Ebbene, no. La gravità e la santità della legge morale cristiana non ammettono una sfrenata soddisfazione dell’istinto sessuale e di tendere così soltanto al piacere e al godimento; essa non permette all’uomo ragionevole di lasciarsi dominare sino a tal punto, né quanto alla sostanza, né quanto alle circostanze dell’atto.
Si vorrebbe da alcuni addurre che la felicità nel matrimonio è in ragione diretta del reciproco godimento nei rapporti coniugali. No: la felicità nel matrimonio è invece in ragione diretta del vicendevole rispetto fra i coniugi, anche nelle loro intime relazioni; non già ,quasi che essi giudichino immorale e rifiutino quel che la natura offre e il Creatore ha donato, ma perché questo rispetto, e la mutua stima che esso ingenera, è uno dei più validi elementi di un amore puro, e per ciò stesso tanto più tenero.
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