Pietro Facchetti, copia  del distrutto dipinto murario “Investitura divina di Alessandro VI” del Pinturicchio 
[foto da turismoitalianews.it]


La Santa Chiesa per le lezioni dell’ufficio della Maternità di Maria – festa istituita da Pio XI nel 1931 per il 1500 anni dal Concilio di Efeso durante il quale la Vergine fu proclamata Madre Dio – impiega alcuni passi di san Bernardo da Chiaravalle tratti dal De laudibus Virginis Matris. Li riprendiamo per offrirli alla meditazione dei Lettori. 


Maria chiamò «figlio» Iddio che è Signore degli angeli. Ella dice: «Figlio, perché ti sei comportato in questo modo?». Quale angelo oserebbe parlare così? Per gli angeli è già molto essere stati fatti e nominati angeli per dono, mentre erano soltanto spiriti per natura. Così dice David: «Egli trasforma gli spiriti in suoi angeli». Maria invece ha la coscienza di esser madre e perciò con molta tranquillità chiama «figlio» quel Dio che gli angeli servono con grande rispetto. Dio stesso non rifiuta di esser chiamato ciò che non rifiutò di diventare. Poco dopo l’evangelista soggiunge: «Era sottomesso a loro». Chi? A chi? Dio, a uomini; ripeto: Dio al quale sono sottomessi gli angeli, al quale obbediscono principati e potestà, lui era sottomesso a Maria.
Ammira tutte e due le cose e scegli quel che ti sembra più ammirabile: la benignissima condiscendenza del Figlio, o la gloriosissima dignità della Madre. Da ogni parte stupore, da ogni parte miracolo: che un Dio obbedisca a una donna, è umiltà senza esempio; e che una donna comandi a un Dio, è una sublimità senza pari. Uomo, impara ad obbedire; terra, impara a sottostare; polvere, impara a sottometterti, L’Evangelista, parlando del tuo Creatore, dice: «Ed era loro sottomesso»; cioè senza dubbio a Maria e a Giuseppe. Vergognati, cenere orgogliosa! Un Dio si abbassa, e tu ti esalti? Un Dio si assoggetta agli uomini e, tu, cercando di dominare gli uomini, ti metti al di sopra del tuo Creatore?

Te felice, o Maria, cui non mancò né l’umiltà  né la verginità. Verginità davvero singolare quella che non fu macchiata ma anzi fu onorata dalla fecondità. E ancor più singolare umiltà che non fu tolta, ma anzi sublimata dalla feconda verginità. Incomparabile fecondità che s’accompagna alla verginità e all’umiltà. Che cosa trovi in esse che non sia degno di ammirazione? A che cosa puoi paragonarle? Che cosa in esse non è singolare? Sarebbe davvero strano che tu non ti trovassi imbarazzato nel decidere, dopo aver a lungo riflettuto, se è più degna della tua ammirazione la meravigliosa fecondità nella Vergine, o l’integrità nella Madre; la nobiltà nel generare o l’umiltà in un onore così alto. Senza alcun dubbio alle singole virtù occorre preferire l’insieme di esse, ed è, senza confronto, molto meglio averle colte tutte insieme piuttosto che alcune separatamente. Ma c’è forse da meravigliarsi se Dio, che si manifesta e si riconosce mirabile nei suoi santi, più stupendamente si sia manifestato in sua madre? Venerate, dunque, o sposi, l’integrità della carne in un corpo corruttibile; e voi, o vergini sacre, la fecondità nella Vergine. E voi tutti, imitate l’umiltà della Madre di Dio.


da divinumofficium.com


TESTO LATINO :
Deum et Dóminum Angelórum María suum fílium appéllat, dicens: Fili, quid fecísti nobis sic? Quis hoc áudeat Angelórum? Súfficit eis, et pro magno habent, quod cum sint spíritus ex conditióne, ex grátia facti sint et vocáti Angeli, testánte David: Qui facit Angelos suos spíritus. María vero matrem se agnóscens, majestátem illam, cui illi cum reveréntia sérviunt, cum fidúcia suum núncupat Fílium: nec dedignátur nuncupári Deus, quod esse dignátus est. Nam paulo post subdit Evangelísta: Et erat súbditus illis. Quis? Quibus? Deus homínibus? Deus, inquam, cui Angeli súbditi sunt, cui Principátus et Potestátes obédiunt, súbditus erat Maríæ.
Miráre utrúmlibet, et élige quod ámplius miréris, sive Fílii benigníssimam dignatiónem, sive Matris excellentíssimam dignitátem. Utrímque stupor, utrímque miráculum. Et quod Deus féminæ obtémperet, humílitas absque exémplo: et quod Deo fémina principétur, sublímitas sine socio. In láudibus Vírginum singuláriter cánitur quod sequúntur Agnum quocúmque íerit. Quibus ergo láudibus júdicas dignam, quæ étiam præit? Disce, homo, obedíre: disce, terra, subdi; disce, pulvis, obtemperáre. De Auctóre tuo loquens Evangelísta: Et erat, inquit, súbditus illis. Erubésce, supérbe cinis! Deus se humíliat, et tu te exáltas? Deus se homínibus subdit, et tu, dominári géstiens homínibus, tuo te præpónis Auctóri?
Felix María, cui nec humílitas défuit, nec virgínitas! Et quidem singuláris virgínitas, quam non temerávit, sed honorávit fecúnditas. Et nihilóminus speciális humílitas, quam non ábstulit, sed éxtulit fecúnda virgínitas: et incomparábilis prorsus fecúnditas, quam virgínitas simul comitátur et humílitas. Quid horum non mirábile? quid non incomparábile? quid non singuláre? Mirum vero, si non hǽsitas, in horum ponderatióne, quid tua júdices dignius admiratióne, utrum vidélicet pótius stupénda sit fecúnditas in Vírgine, an in Matre intégritas: sublímitas in prole, an cum tanta sublímitate humílitas: nisi quod indubitánter horum síngulis præferénda sunt simul cuncta, et incomparabíliter excelléntius est atque felícius ómnia percepísse, quam áliqua. Et quid mirum, si Deus, qui mirábilis cérnitur, et légitur in Sanctis suis, mirabiliórem se exhíbuit in Matre sua? Venerámini ergo, cónjuges, in carne corruptíbili carnis integritátem: vos sacræ vírgines in Vírgine fecunditátem. Imitámini, omnes hómines, Dei Matris humilitátem.