Lieto m’involo della terra, molte
Perch’i cose non veggia cu’inmirando
Di morte fie più duol ben mille volte


(Versi che il Cardinale Aleandro compose sul letto di morte)

di Giuliano Zoroddu

Nato a Motta, fra Veneto e Friuli, il 13 febbraio 1480 si formò a Padova e Venezia dove entrò in contatto con Erasmo, Aldo Manunzio. Fu fra i più dotti del suo tempo: capiva, parlava e scriveva il latino, il greco (che insegnò all’Università di Parigi) l’ebraico, il caldeo e altre lingue “esotiche”. Leone X, apprezzandone il gran valore, lo nominò nel 1519 Prefetto della Biblioteca Vaticana e gli affidò incarichi di prim’ordine. Fu infatti inviato come nunzio pontificio ad Aquisgrana per l’incoronazione di Carlo V come Re dei Romani nel 1520 e ancora a Worms, l’anno successivo, per la famosa Dieta che giudicò Lutero. Qui l’Aleandro, potente oratore e raffinato teologo, si spese con tenace zelo ed attenta diplomazia, per reprime la superbia dell’eresiarca sassone: fu lui ad elaborare l’editto che lo metteva al bando. L’8 agosto del 1524 Clemente VII lo elesse arcivescovo di Brindisi e Oria e lo nominò suo nunzio presso Francesco I di Francia. Il 9 ottobre di quello stesso anno ricevette l’ordinazione sacerdotale dal cardinal Carafa (futuro Paolo IV); avrebbe ricevuto la consacrazione episcopale solo nel 1528. Fu varie volte impiegato per le legazioni in Germania, Ungheria e Boemia, soprattutto per arginare la diffusione della peste protestante ed evitare che l’imperatore e gli altri principi facessero accordi cogli eretici. Nel 1536 Paolo III lo creò Cardinale in pectore: la creazione fu pubblicata due anni dopo. Prese parte ai lavori per la convocazione del Concilio di Trento. La morte lo colse a Roma il 1° febbraio del 1542 e fu seppellito nel suo titolo di San Crisogono. In un epitaffio riportato dal Giovio si legge: “… fra i Stesicori e i Platoni in coro / Haveva a star la imagine tua d oro / Ché del saver divin festi a noi fede / Con alto ingegno che a ogni uman fe’ scorno / Ond’e teco si vede / Spento quanto in mill’anni e mille lustri / Non avran centomille uomini illustri”.


Estratti dal suo Discorso pronunziato nella Dieta di Worms “per ottenere un bando imperiale contra Lutero e i suoi seguaci” (Torino, 1827):

«[…] Nega Lutero la necessità e l’utilità di qualunque opera nostra per acquisto del cielo; nega la libertà per l’adempimento della legge naturale e divina; anzi afferma, che in ogni azione per necessità pecchiamo. Qual più diabolica dottrina per rendere ottusi tutti i rimorsi della coscienza, per rompere i freni della vergogna, per disarmar l’onestà degli aurei sproni della speranza? Qual tossico più pernicioso fu ritrovato eziandio nelle favole per trasformare gli uomini in bestie; ed in bestie tanto peggiori d’ogni altra bestia, quanto essi soli posson peccare, e valersi del discorso per armi d’iniquità? Perché fu tanto esecrata dagli antichi prudenti la setta d’Epicuro, se non per ciò che, quantunque egli ammettesse in cielo la divinità, negava ch’ella o ci gastigasse per le colpe, o ci rimeritasse per l’operazioni lodevoli? Perchè disse quel Savio, che meglio potea conservarsi una città senza fuoco e senz’acqua, che senza religione; se non per ciò che all’osservazion delle leggi, al soggiogamento dei sediziosi appetiti, l’uomo ch’è idolo di se stesso, non si condurrebbe mai, se non allettato dal premio, e sbigottito dal supplizio, i quali egli aspetti da una giustizia onnipotente? A far che la cupidità nostra si privi d’un piacer sensibile, intenso e presente, è poco il rispetto di quella rimunerazione e di quel castigo che danno i magistrati terreni; questi talora s’ingannano, talor si corrompono, talor si ributtano: la pena umana non è mai al fine maggior male di quello che prescrive inevitabilmente la natura ad ogni uomo; dico la morte. Il guiderdone poi che dagli uomini si riceve, non solo è scarso, ma raro. Una beatitudine eterna dall’un lato, una miseria eterna dall’altro, dispensate da un giudice potentissimo, sapientissimo, sono con la lor considerazione i sostegni dell’umana virtù , e per conseguenza della quiete civile.
[…] Trapasso quell’insania così bestiale, con cui Lutero vuol fare illecito il resistere agli assalti del Turco, per esser questi, com’egli dice, contra di noi ministro della divina vendetta; il che proverebbe ugualmente, esser illecito il curarsi nelle malattie per non resistere a Dio, che ci toglie la sanità in gastigo de’ peccati. Non vede il forsennato, che questa medesima necessità di resistere e di combattere con tanto disagio e spavento è supplicio grande, e quello, di che dobbiamo sperare che si .contenti co’ suoi fedeli la divina clemenza? Non vede che in ogni caso non possiamo aver dubbio di ripugnar per avventura all’occulto voler divino, quando Iddio volesse più gravemente punirci; essendo certo che ogni nostra resistenza riuscirebbe un’armatura di tela d’aragna contra i colpi della sua spada? Ma questa pazzia di Lutero, quanto è più grande, tanto è men perniziosa; perché è impossibile a persuadersi: sol dimostra che lume divino alberghi nella testa di un tal profeta; qual sia la carità di questo vostro liberatore, che vorrebbe veder l’Alemagna più tosto divorata dai cani di Costantinopoli, che custodita dai Pastori di Roma.
[…] quel che si sforza d’atterrar Lutero, è la podestà del Pontificato romano in genere sopra tutta la Chiesa nell’interpretazione delle Scritture divine, e nel governo degli affari ecclesiastici. Il primo suo argomento, e il più popolare per iscredito di questa autorità sacrosanta, è il dire che in Roma s’operi diversamente da quel che ivi s’insegna; e che però non s’insegni per verità, ma per inganno. Lascio, che chi vorrà scorger con fedeltà della propria vista, e non intendere dalla malignità’ dell’altrui racconto, le azioni di Roma, e considerarle con occhio limpido, e con una censura umana, e non ideale; vi troverà tanto tempo e tant’oro speso continuamente nel servigio di Dio, tanta larghezza di limosine , tanta astinenza da ciò che il senso appetisce, e che negli altri luoghi senza ritegno si costuma, e tanta esemplar vita in molti del Senato Apostolico, e degli altri ordini quivi più riguardevoli, che vi riconoscerà non poco in ciò del singolare e del sopraumano.
Lascio, che Cristo ci ammoni, che dovessimo operare secondo gl’insegnamenti, e non secondo gli esempj di chi sta su la prima cattedra: ma dico, che nello argomento di Lutero, presupposta la sua premessa, piuttosto la conseguenza legittima dovrebb’essere la contraria: ed affermo francamente, che porge gagliardo indizio di falsità una religione, i cui ordinarj custodi, quantunque moltiplicati di numero, o per qualunque diuturnità di tempo, sogliano operar per appunto quello che insegnano. Tal era la religione degli antichi Romani, i quali, come immersi nell’ambizione, non predicavano altra via di deificarsi, che l’acquisto della potenza e della gloria con le stragi degli uomini: tal è la religione di Macometto, la qual concede ogni sfogamento al senso , e gli promette il lezzo dei più sordidi piaceri per tutta l’eternità: tal è , per non discostarci molto, la religion di Lutero stesso, che in grazia dell’infingarde e disoneste sue voglie, nega per l’immortal salute la necessità d’opere meritorie e il nocumento d’azioni prave. Ma non così la religione insegnata dai romani Pontefici: essi la professarono sempre tale, che condanna tutti loro per manchevoli, molti per colpevoli, alcuni (il dirò candidamente) per iscellerati: che li costringe ad una soggezione tormentatrice dell’appetito; che sottopone come rei molti dei lor fatti, fuor di questa religione permessi, al biasimo delle lingue in vita, ed all’infamia dell’istorie dopo la morte: che antipone in perpetua gloria, eziandio nel mondo, uno scalzo fraticello ad un coronato. Pontefice. Qual diletto, qual interesse può sospicarsi inventore di questa dottrina? Come i Papi, benché talora viziosi ed in altri concetti assai fra loro discordanti, sarebbono stati sì costanti e concordi nell’affermarla, se non fosse loro dettata dalla verità, ed ispirata dal cielo?
Che in Roma, e nell’ordine dei Prelati sieno difetti eziandio ben gravi, non si nega colà con superbia, si confessa con umiltà. Roma è quella, che, non ha molti secoli, decretò gli altari e adorazioni a quel Bernardo, il quale l’ha si aspramente sferzata nelle sue carte.
Grida Lutero, che Roma è albergo d’ipocrisia. Primamente questa è la solita calunnia del vizio licenzioso contra l’invidiata venerazione della virtù edificante. Ma sia in alcuni di Roma l’ipocrisia; qual savio ignora che l’ipocrisia non alloggia se non nella patria della bontà sincera? Niuno s’affaticherebbe a falsar l’oro in un paese, dove l’oro vero non fosse in gran pregio. Similmente niuno a costo d’una penosissima simulazione vorrà stentare per fingersi virtuoso in una repubblica, dove scorga che la virtù non è premiata né riverita.

Ciò della dottrina: parliamo della giurisdizione. Querelasi Lutero , che il Papa si ha usurpata la maggioranza in tutta la Chiesa. Come ciò! Per avventura con le falangi di Alessandro , o con le legioni di Cesare? Gli uomini , per natura imperiosi, e nemici di soggezione, sarebbonsi mai da tante parti del mondo, e con inclinazioni e politiche tanto diverse, lasciati concordevolmente inducere a venerare per Vicario di Dio il Vescovo di Roma disarmato, e di picciol dominio terreno; gli si sarebbono inchinati gli altri Vescovi, gli si sarebbono umiliati al piede tanti diademi fra lor nemici, se l’antica tradizione non avesse a tutti loro insegnato che ciò è ordinazione e testamento di Cristo? Ma penetriamo più a dentro, e fingiamo che Cristo sia pronto di mutar la sua Chiesa a libito nostro, e che ponga in libertà di questa saggia assemblea lo spogliare il Papa della posseduta preminenza: veggiamo se metta a bene: ed in caso che ritroviamo di no, potremo avvederci che Cristo ha formata la sua Chiesa in quel modo ch’è più conforme eziandio all’umana felicità dei Fedeli. Vi prego di qualche speciale attenzione per un tema si ponderoso. Depressa la maggioranza del Papa come governerassi la Chiesa? Ciascun Vescovo sarà sovrano nella propria diocesi? Diremo d’aver estinta una tirannia, e n’averemo generale innumerabili.
[…] Or provatosi, che per l’unità, pel governo, per la maestà debba averci un capo supremo, ed un supremo rettor della Chiesa: convien ch’egli a fine di poter esser padre comune, e non diffidente a veruno, non abiti nello Stato d’alcuno degli altri Principi, ma che abbia Stato proprio, Corte propria, Ministri propri, e quali richieggonsi alla grandezza della sua amministrazione. E per tutto ciò chi dovrà somministrar gli alimenti? Ogni terra li somministra al suo Piovano, ogni diocesi al suo Vescovo, ogni popolo al suo Signore, ogni Stato al suo Principe, e molti Stati e Regni insieme al loro Monarca: né si riconosce per aggravio, che il danaro d’un paese vada all’altro, mentre con questo danaro se ne trae in ricompensa quella merce più necessaria e più preziosa di tutte , ch’è la legge e la conservazione della giustizia. Perché dunque sarà storsione che anche la reggia del principato ecclesiastico sia alimentata con le contribuzioni del Cristianesimo? Risponderanno: Alimentata per la necessità, non impinguata per le pompe, e per le delizie ignote alla primitiva Chiesa, e contrarie al Vangelo. In questa querela popolare si commette parimente un grandissimo equivoco. Se parliamo delle pompe nella costruttura e negli addobbamenti de’ tempi, ne’ sacri vasi, e ne’ paramenti sacerdotali, queste furono scarse nella primitiva Chiesa ; ma per malignità del secolo, non per elezion de’ Prelati. Veggiamo quale splendidezza comandasse Iddio nel suo tempio di Gerosolima, qual ne usasse Costantino subito che fu convertito, e quante lodi ne riportasse dalle penne di tutti i Santi. 
[…] se rivolgeremo gli occhi per tutto il giro terrestre, non vedreino più felice republica, più civile, più ornata di quelle doti, le quali sollevan l’uomo sopra le bestie, e l’avvicinano agli Angeli, che il Cristianesimo ubbidiente alla Sedia Romana. Ne questo accade per beneficio della natura e del clima: in altri tempi fu più felice, più civile, più culto assai l’Oriente che il Settentrione. È ciò adunque un bene che nasce da questo governo disegnato da Cristo per segnalare in terra con manifesta prerogativa il suo popolo; del qual governo, come intendete, la base, il legame, l’intelligenza motrice è l’autorità del Pontefice.
Conchiudo però il primo, e il principale de’ capi da me proposti: se Lutero, secondo che avete già scorto, assume per impresa il diveller i cardini della cristiana religione, togliendo all’opere de’ mortali il rispetto del gastigo e del premio divino, la venerazione a’ Sagramenti, l’osservazione a’voti solenni, l’unità alla fede e al governo spirituale del Cristianesimo, con esterminar la pietà dagli aniini, e la felicità dalla vila in ogni luogo dove s’apprenda il malor della sua dottrina; il qual malore infuso negli ontumi del senso, sperimentiamo che s’appicca sì tenacemente, e si dilata sì ampiamente fra il popolo; riman aperto che fa mestieri d’usare i più efficaci rimedj a fine d’opprimerlo.
[…] Sono i Luterani un miscuglio d’arroganti gramatici, di chierici dissoluti, di regolari pentiti, di legisti ignoranti, di scaduti nobili, di plebe ingannata […] Ed ove pure la malizia degli uomini, e l’infelicità de’ tempi facesse, che nonostante sì gran percossa, questa maledetta pianta rimanesse ancor viva, viverà tanto infievolita, che potremo sperare non solo di rintuzzarne i germogli per ora, ma d’abbatterla in secolo più fortunato, Laddove senza il colpo di quest’accetta io la veggo a guisa di quell’albero di Nabucodonosorre, occupar co’ suoi rami e deformare in un bosco, nido d’ogni bestialità, questa gran vigna di Cristo: onde avvenga della Germania, per la licenziosa eresia di Lutero, ciò ch’è avvenuto dell’Asia per la sensuale superstizione di Macometto».

Figure già trattate sul sito (sono escluse le innumerevoli figure trattate sulla pagina Facebook)
Cardinale Gaetano de Lai
Cardinale Bernardo Dovizi detto il “Bibbiena”
Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B.
Cardinale Ercole Gonzaga
Cardinale Domenico Serafini OSB
Cardinale Clemente Micara
Cardinale Ranuccio Farnese
Cardinale Francesco Sforza di Santafiora
Cardinale Ernesto Ruffini
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Cardinale Miguel Paya y Ricò
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