Diego Marongio Delrio, nato a Banari il 13 settembre 1819, nipote di mons. Emanuele Morongiu Nurra, fu ordinato sacerdote il 10 giugno 1843. Teologo e dottore in ambo i diritti, fu docente di diritto canonico presso l’Università di Sassari e deputato al Parlamento di Torino dal 1849 al 1852. Canonico Turritano, successivamente alla morte di mons. Alessandro Varesini fu uno dei Vicari Capitolari che governarono l’archidiocesi di Sassari. A questa mitria fu eletto da Pio IX 24 novembre 1871. Ricevette la consacrazione episcopale e il pallio dalle mani di mons. Giovanni Maria Filia, vescovo d’Alghero, il 14 aprile 1872, seconda domenica di Pasqua e festa dell’invenzione dei santi Martiri Turritani. Considerato il più colto fra i prelati isolani del suo tempo, governò saggiamente il gregge affidatogli difendendolo fortemente dagli assalti dei liberali, dei massoni e dei socialisti. Nel 1877 riunì dopo 252 anni il Sinodo Diocesano. Rese l’anima a Dio l’11 ottobre 1905 e riposa nella Primaziale.
Di seguito riportiamo alcuni stralci di una sua lettera pastorale intitolata “Necessità della religione cattolica” tratta dall’opera bipartita “Lettere pastorali di Sua Eccellenza Reverendissima mons. don Diego Marongio Delrio, Arcivescovo Torritano” (Milano, 1893), ampiamente lodata anche da Civiltà Cattolica.



L’anarchia intellettuale e morale, che turbina oggidì la società e la rende profondamente trepidante sulle future sue sorti, se dimostra, Venerabili Fratelli e Figli in Gesù Cristo dilettissimi, quanto fatali sieno le conseguenze della satanica guerra che qualche tempo in molte nazioni stoltamente impegnata conto Dio e la Sua Chiesa, insegna al tempo stesso l’ineluttabile necessità, che tanto gl’individui, quanto la società di venerare e praticare la Religione, se non vogliono sprofondarsi nel baratro d’eterna e irreparabile rovina.
Quando infatti i novelli Titani intenti a scalare il cielo, a corrompere i popoli e capovolgere ogni ordine, declamano nei libri e dei diari, nelle piazze e nelle officine, nelle scuole e nelle assemblee contro Dio e la Religione volendoli sbandeggiare dalla terra, quasi che potesse l’umanità farne a meno e bastare a sé stessa, pronunciano contro l’intimo senso del proprio cuore tale mostruosa assurdità, così grossolano orrore, che, oltre di urtare col più imperioso istinto dell’umana natura, contraddice alla voce concorde di tutte le nazioni, alla storia di tutti i secoli, e scalza le basi dell’umano consorzio.
[…] il bisogno che l’uomo ha della religione non è già un bisogno accidentale, accessorio, superficiale ed estrinseco, ma è anzi reale, indistruttibile, intimo alla natura umana, ed assolutamente necessario per la vita dello spirito, più che il cibo materiale sia indispensabile per la vita del corpo. Di modo che, siccome in difetto di analogo corporale alimento l’uomo trovasi costretto a nutrirsi di cibi malsani e talvolta mortiferi per attutire come che sia i violenti stimoli della fame; così, smarrita la vera Religione, è spinto a formarsene una falsa fingendo chimeriche divinità, le quali, per turpi che siano ed insensate che sieno, possano in qualche modo riempire l’intollerabile vuoto che prova in fino all’animo.
[…] “Si ingannano a gran partito, scrive Cicerone, coloro che l’origine della Religione attribuiscono agli uomini … ” (De nat. Deor., lib. 2, cap. 2) … il Bayle dovette affermare che “è mestieri essere affatto ignorante o stolto per poter attribuire l’origine della Religione ad altri fuorché a Dio” (Diction. hist. crit. art. Cristias Remarq. Hist.).
Ora siccome l’uomo, quantunque per la felice disposizione da Dio impressegli possa colla sola ragione conoscere alcune verità religiose e morali, non saprebbe però tutte con certezza rinvenirle, massime nell’ordine puramente religioso, il quale essendo l’espressione degl’intimi rapporti che passano fra Dio e l’uomo e fra uomo e uomo, esige la cognizione della natura Divina ed umana, cognizione affatto superiore alla forza dell’uomo, che è un mistero a sé stesso; così il misericordioso Iddio infondendo nella prima coppia umana insieme alla vita corporale quella dello spirito, rivelava alla medesima le verità necessarie, cui tutte le altre rannodansi, e specialmente quelle della Religione e della Morale, sulle quali tutte s’aggira l’umano destino, cioè l’eterna felicità o l’eterna rovina.
[…] Siccome però i dettati della prima rivelazione, trasmessi dall’universale tradizione, furono in molti popoli alterati ed offuscati in modo da confonderli colle più sconcie stravaganze; così Iddio non solamente scelse una nazione, la quale come fedele depositaria li avesse custodite a comune salute inviolati, ma dispose eziandio che uomini divinamente ispirati di tratto in tratto li predicassero e li spiegassero con la voce e con gli scritti, fino a che nella pienezza dei tempi, Egli stesso vestendo l’umana carne recasse con una seconda rivelazione a compimento la prima, e costituisse nella sua Chiesa un’autorità indefettibile, la quale e serbasse sempre immune da ogni sorta di errore le sue Divine Dottrine, e governasse tutti i fedeli, e fosse dispensatrice dei Santi Sagramenti e degli altri doni spirituali, instituiti a salvezza dell’umanità.
Or bene, se il senso intimo del cuore umano, se l’universale e sempre costante consenso di tutti i popoli, se gli scrittori stessi del paganesimo e dell’incredulità proclamano ad una voce la indeclinabile necessitò della Religione, qual giudizio, o DD., dovrà proferirsi intorno a quelli scrittori, a quei politici, a quegl’insegnanti, i quali atteggiandosi a grandi uomini e a profondi scienziati non si vergogano declamare inutile la Religione? […] “Io non ho mai creduto, né potrò mai indurmi a credere, dice Diderot, che diansi materialisti ed atei di buona fede … i nostri atei non respingono la religione per intimo convincimento, ma bensì all’unico scopo di abbandonarsi senza ritegno alle loro passioni” (Nouvelles pensées)
[…] Questa ineluttabile necessità della Religione risulta eziandio più manifesta ove si rifletta come senza di essa né l’uomo possa raggiungere la virtù, né la società poggiare su solide basi. Sbandita infatti la Religione rivelata, che insegnando le infallibili norme di credere e di operare promette l’aiuto necessario per praticarle, e ricordando di continuo all’uomo la presenza di Dio, che tutto vede, anche nei più intimi recessi dell’animo, gli addita gli eterni premi che ha preparato ai buoni, e l’eterne pene stabilite per i malvagi, donde mai potrà l’umanità attingere sicure ed invariabili regole, cui conformare le regole? […] “Guai al mondo, diceva Cicerone, se il diritto non avesse altra base fuorché nei voti popolari, nei decreti dei principi, nei giudizi dei magistrati, nelle sentenze dei dotti; imperocché niente di più facile ce un giorno o l’altro potessero erigersi in diritto il latrocinio, l’adulterio, il falso, l’assassinio e qualsiasi altro enorme delitto. Ma potrebbe mai l’uomo mutare la natura delle cose, tramutare in buono e giusto ciò che è iniquo ed empio? Non è dunque dagli uomini che deriva il diritto, ma ben più alta è la sua origine, la legge eterna di Dio” (De officiis, lib. 3, cap. 8).
[…] Ma si conceda pure che l’umana scienza potesse formare, come oggi stoltamente declamasi, un sistema di morale, potrebbe mai questo sistema aver forza di obbligare altrui e molto meno tutta l’umanità? […] “Se tu mi proponi la virtù, dice Rousseau, mentre io non cerco che il mio interesse, con quale ragione, con quale autorità potrai tu impormi di seguire il tuo avviso? Se si prescinde dal dogma religioso, non vi è che il malvagio che ragioni, mentre il virtuoso non sarebbe che un insensato” (Epitre a son frére)
[…] Senza la Religione adunque, a confessione degli stessi increduli, né l’individuo potrebbe aver norma sicura cui uniformare le sue azioni ed infrenare le prave tendenze dell’animo, né la società base alcuna su cui reggersi […] La sola Religione adunque, o DD., tenendo sempre fissa nella mente dell’uomo la presenza di Dio, cui nulla sfugge e che ha preparato eterne pene al malvagio ed eterni premi imporre all’uomo le sue leggi e munirle di conveniente sanzione. Per lo che scriveva lo stesso Rousseau: “[…] Persuaditi che senza il domma della Divina Giustizia e delle pene o premi eterni, la virtù diventerebbe una follia, alla quale si darebbe soltanto un bel nome” (Emil. Liv. 3)
[…] A petto di coteste inconcusse verità, confessate dagli stessi increduli, chi non dovrà inorridire mirando come di presente in alcune nazioni uomini, che pur si dicono filosofi, scienziati e politici, non solamente pretendono di separare la morale ed il diritto dalla Religione, formando un codice di etica così detta civile; ma osino altresì pubblicamente insegnare e autorevolmente statuire, che l’individuo, lo stato, la società, possano fare a meno della Religione, o tenersi affatto indifferenti ad ogni specie di culto, ciò che torna lo stesso che professare un vero ateismo? Il che se prova quale oggi il pervertimento delle menti, mostra pur ance quanto fatali siene per essere le conseguenze, cui cotali novatori, forse senza volerlo, danno campo con queste assurde utopie: “Tolta infatti la Religione, scrive Cicerone, quale scompiglio, quale confusione, quale caos! Io non so come senza di essa possa sussistere tra gli uomini alcunché di buona fede e di morale, come debba crollare dalle fondamenta qualsiasi società, come possa rimanere intatto alcun principio di giustizia” (De Nat. Deo., lib. I)
[…] Se pertanto, o DD., per confessione degli stessi filosofi pagani e e dei moderni increduli e politici non sono possibili, senza la Religione, la morale, la legge, il diritto, la politica, la società stessa, egli è ben chiaro il rilevare quanto grave, assurdo ed esiziale sia l’errore di coloro che pretendono di stabilire assoluto divorzio tra la Chiesa e lo Stato, e governare i popoli ed educare la gioventù senza Dio, unica sorgente di verità, di diritto e di autorità, inceppando il Divino Culto, vietando o falsando l’insegnamento religioso, ed aspramente vessando i Sacri Ministri, senza i quali non possono conservarsi la Religione ed il Culto.
Ora siccome la Religione non può essere che una, come uno è Dio; ne segue che quella sola deve ritenersi vera, la quale, oltre di avere gelosamente conservato dal principio del mondo fino al presente il sagro deposito di tutte le verità di Fede e di Morale, contenute nella sempre costante tradizione nelle Divine Scritture, ha altresì insegnato le dottrine le più pure, le più sante, aiutando con mezzi divini l’umanità a praticarla, ed è talmente salda, da reggersi immobile contro gli sforzi del mondo e dell’inferno. Che se tale non ravvisasi che la sola Religione Cattolica; dunque essa soltanto deve ritenersi per veramente Divina, per unica maestra di verità, per unico porto di salute.
[…] è lungi dal vero il dire che la fede sia in urto colla vera scienza, o ce la Religione possa impedire i progressi della medesima, da dover piuttosto confessare, che quella non solamente trovasi in armonia con le verità religiose, ma ne trae altresì grandissimo vantaggio, giacché ne aiuta l’incremento e la preserva dalla corruzione […] Ben a ragione scrisse Bacone che “soltanto la poca e superficiale scienza può condurre all’incredulità, mentre la profonda e soda scienza conduce alla Religione” (De augmento scientiarum, lib. 9).
[…] Qual meraviglia pertanto, o DD., se la presente società trovasi turbinata da una triplice rivoluzione, la quale mirando all’annientamento di ogni fede sovrannaturale, all’istituzione di gigantesche democrazie sulle rovine degli stati storicamente costituiti, alla sopressione del capitale col livellamento delle classi, minaccia di sprofondarla nel baratro di una completa dissoluzione? Invano si adoprano i politici a prevenire cotanta rovina […] sino a quando non si ripristini in tutta la sua potenza l’insegnamento religioso nelle scuole, fino a che non si restituisca in tutta la sua pienezza la libertà alla Chiesa e si reintegri nel suo pieno e libero possesso di tutti i suoi diritti il Romano Pontefice, fino a che non si ripristini in tutto il suo decoro e maestà il Culto Divino e si cessi da una volta dall’osteggiare il Clero, fatto segno alle ire dei settari, sol perché non cessa dal folgorare l’errore e l’ingiustizia, la società correrà diffilata alla propria ruina, senza che alcun mezzo umano valga a rattenerla.


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Monsignor Beniamino Socche 
Don Juan de Ribera
Giuseppe II di Costantinopoli
Monsignor Florentino Asensio Barroso
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Monsignor Giuseppe Melas
Monsignor Alessandro Domenico Varesini
San Giosafat Vescovo e Martire
Monsignor Salvator Angelo Maria Demartis O.Carm.
Mons. Francesco Zunnui Casula
Mons. Tommaso Michele Salzano O.P.
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