Messa secondo il rito certosino. Il Confiteor
(da newliturgicalmovement.org)
di Francesco Andrea Allegretti
Perché una liturgia “certosina”?
Quando san Bruno di Colonia scelse di dar vita al suo Ordine, nel 1084, i caratteri propri del rito romano non si erano imposti dappertutto e le liturgie dei vari Ordini religiosi prendevano spunto prevalentemente dalle celebrazioni locali. Dal canto loro, i primi certosini attinsero a varie fonti liturgiche, combinandole tra loro, in risposta alle proprie esigenze eremitiche e contemplative.
Tra i primi accorgimenti vi fu la semplificazione del canto, il quale, pur avvicinandosi molto al gregoriano, fu privato di ogni parte che risultasse difficile per i monaci (ad esempio vennero abolite alcune sequenze e tutti i testi che non fossero biblici), limitandone così il repertorio; scrive a tal proposito Guigo, certosino dei primi decenni: «L’austerità della vocazione eremitica non permette di consacrare lunghi tempi allo studio del canto. Per tale motivo abbiamo pensato di dover eliminare o abbreviare dall’antifonario parecchi pezzi, quelli superflui o composti male, interpolati o aggiunti, di valore mediocre o nullo» (Carolus Le Couteulx, Annales ordinis cartusiensis, 1887; I, 308).
Ancora, venne vietato l’uso di strumenti musicali e, per rendere la liturgia ancora più “certosina”, ovvero il più possibile vicina al modus vivendi dei monaci, si optò per una semplificazione dei riti, per la riduzione del calendario festivo e per l’abolizione di processioni e litanie.
La Celebrazione eucaristica nelle Certose
«Quando ci raduniamo per l’Eucaristia l’unità della famiglia certosina trova il suo compimento nel Cristo presente e orante» (Statuti 21, 4): la Messa quotidiana nelle Certose è da considerarsi il più alto momento della vita comunitaria; è nella Celebrazione eucaristica infatti, che tra i monaci si crea la comunione più profonda tra loro stessi e col Padre, mediante la quale essi associano a sé tutto il popolo di Dio. La celebrazione eucaristica per i certosini ha un’unica finalità, spiega un monaco in una meditazione sulla Messa certosina, quella di «realizzare tra i membri della comunità l’unità per la quale Gesù ha pregato con tale intensità nel momento in cui stava per lasciarci» (Anonimo certosino, La Carne e il Sangue del Figlio, Museo della Certosa, Serra San Bruno 1995, p.89).
La Celebrazione certosina è contrassegnata da ritmi lenti, lunghe pause di silenzio, e profonda accuratezza di tutti i gesti liturgici: ne sono un esempio il segno della croce fatto lentamente, con gesti ampi e i profondi inchini sostitutivi della genuflessione.
Tre sono i momenti centrali o comunque più significativi contrassegnanti la liturgia certosina: la consacrazione, lo scambio della pace e il rito di comunione.
Innanzitutto, la preghiera eucaristica viene recitata sottovoce dal celebrante (il cosiddetto Ebdomandario, ovvero colui che settimanalmente è incaricato della presidenza) con le braccia allargate; la comunità partecipa assorta e in silenzio. Al momento della consacrazione, ogni monaco si prostra a terra, disponendosi su un fianco e poggiando la testa sul gomito, con le ginocchia piegate. Questa posizione “scomoda”, di profonda venerazione e adorazione, è mantenuta dai monaci per diversi minuti, fino al rintocco della campana: «Ciascuno si ritrova dentro la sua solitudine essenziale, per accogliere in sé il corpo e sangue del Signore»; e ancora: «Nella misura in cui il dono di me stesso al Signore, che si realizza durante questi istanti di silenzio, è vero, io mi do agli altri, poiché sono loro che io ritrovo in Lui nello stesso modo in cui loro trovano me in Lui» (Op.cit., pp.94 e 98).
Lo scambio della pace poi, parte sempre dal celebrante, il quale abbraccia il diacono e l’accolito, i quali abbracciano a loro volta il primo monaco seduto su ogni lato del coro e così via.
Per il rito di comunione infine, i monaci si dispongono in cerchio intorno all’altare (secondo 1Cor 10, 17): il celebrante distribuisce i frammenti dell’unica Ostia consacrata ad ognuno e, dopo di lui, il diacono porge a ciascuno il Calice per bere; queste condivisioni sono così spiegate: «Dividere il cibo significa dividere con un altro la propria vita, poiché il cibo è il sostegno indispensabile» (Op.cit., p.95).
Nei giorni feriali, dopo aver preso parte alla Celebrazione comunitaria, ogni monaco sacerdote celebra nuovamente la Messa in solitaria, mentre la domenica e nei giorni di festa è prevista la concelebrazione di tutti i monaci sacerdoti.
Altre particolarità della Celebrazione certosina sono l’aspersione dei monaci all’inizio delle Messe festive, le incensazioni di ogni singolo monaco e l’assenza della benedizione finale, poiché «il mistero di unità che abbiamo cominciato a celebrare insieme deve ora continuare nella vita che riprende fuori dalla chiesa, attraverso tutti i piccoli gesti abituali che possono avere i significati più vari, secondo l’atteggiamento del cuore che vogliamo porvi. Nella misura in cui la nostra celebrazione eucaristica sarà stata vera e ci avrà impegnati profondamente a livello della nostra preghiera solitaria, in questa stessa misura la pace per la quale abbiamo pregato con tale intensità sarà viva tra noi, La vita di comunità sarà allora in armonia con la solitudine» (Op.cit., pp.99-100).
Il silenzio e il kairòs
Nella liturgia certosina, nella Messa così come nella celebrazione delle Ore, tutto spinge alla contemplazione del Mistero: essa è dunque, com’è definibile nella tradizione monastica, una “liturgia del cuore”, in cui ogni orazione alimenta lo spirito e viceversa; così come emerge dalle Consuetudini di Certosa redatte dal monaco Guigo su richiesta del Vescovo di Grenoble e di altri priori certosini (le quali peraltro sono da considerarsi autorevoli fonti per la liturgia certosina) infatti, la liturgia è il centro della vita del monaco in complemento alla preghiera personale: esse si arricchiscono vicendevolmente, per cui il vero monaco, come sosteneva Epifanio di Cipro, «deve avere incessantemente nel cuore la preghiera e la salmodia» (Vita e detti I, 185).
A tal proposito, gli Statuti così recitano: «La pietà interiore viene alimentata dalla salmodia, per cui il resto del tempo possiamo dedicarci alla preghiera segreta del cuore» (3, 7); «Dio ci ha condotti nel deserto per parlare al nostro cuore. Il nostro cuore sia perciò come un altare vivo da cui si eleva senza posa verso il Signore una preghiera pura che impregna tutte le nostre azioni» (4, 11).
Proprio per questo “primato del cuore”, come emerso dalla breve descrizione della Celebrazione eucaristica, la liturgia certosina è priva di qualsivoglia ridondanza: gesti semplici e sobri, riti essenziali ma ieratici, protesi all’essenza/fine della liturgia che è Cristo; essa traduce efficacemente la realtà del mondo spirituale nella sfera visibile e sensibile.
Due sono dunque gli elementi che caratterizzano in toto la liturgia certosina: il silenzio imperante e il tempo plasmato sulla celebrazione/contemplazione del Mistero, il krònos che diviene kairòs.
In quest’ottica è possibile comprendere gli impercettibili cambiamenti che la riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha apportato presso i monaci certosini: l’adattamento millenario dei riti alla loro esperienza di fede e austerità difficilmente permette di essere modificata, come lo stesso papa Paolo VI ammise, affermando che «per i monaci solitari la liturgia deve essere adattata al loro genere di vita; in essa, cioè, deve essere preponderante l’aspetto interiore del culto e la meditazione del Mistero che è nutrita da una fede ardente» (Paolo VI, Epistula ad Andream Poisson ordinis cartusiensis ministrum generalem ob universae religiosae communitatis coetum habendum, 18 aprile 1971).
Appendice: una “liturgia esistenziale” e “quotidiana”
Per concludere e per avallare quanto detto sulla centralità della liturgia nella vita dei certosini, è interessante riportare un breve schema sulla giornata tipo dei monaci, i cui orari seguono solo l’ora solare: sveglia e mattutino (00.00), lodi comunitarie (00.30), riposo (2.30 c.a.), Prima (7.00), Messa comunitaria (8.00), Terza (9.45), Angelus e Sesta (12.00), pranzo (12.15, in cella nei giorni feriali e in refettorio in quelli festivi), Nona (13.45), Vespro (17.00), Compieta (19.00).
Ciò che emerge è senz’altro uno stile di vita “assurdo” per l’uomo di oggi ma certamente perfetto e auspicabile per un cristiano, il tutto nella consapevolezza che dietro la rigidità dei certosini si cela senza alcun dubbio la dolcezza della vita in Cristo: «Quanta utilità e gioia divina rechi la solitudine e il silenzio dell’eremo a coloro che li amano, lo sa solo chi lo ha sperimentato» (san Bruno di Colonia).