Zacarias Gonzalez Velazquez, San Francisco ante el sultán de Egipto Malec-el-Kamal, 1787, Museo del Prado, Madrid, España
[da wikimedia.org]


di Alberto Spataro
da La Tradizione Cattolica, n° 111 (2019 n° 3)

In una lettera del 7 gennaio 2019 indirizzata ai confratelli dell’Ordine dei frati minori, ai fratelli e alle sorelle della “Famiglia francescana”, nonché a tutti i «fratelli e sorelle Musulmani», padre Michael A. Perry, ministro generale minorita, ricorda l’ottocentesimo anniversario dell’incontro tra san Francesco d’Assisi (1182-1226) e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kāmil (1177-1238), avvenuto a Damietta nell’anno del Signore 1219, nel contesto della quinta crociata [1].
Nello scritto non si perde occasione di condannare, fin da subito, «i cristiani latini che attraverso anni di predicazione e di retorica sulla guerra santa erano stati indotti a disprezzare i Musulmani». Da costoro si sarebbe distinto san Francesco, il quale avrebbe dialogato proficuamente con il sultano, per poi tornare in Europa e riflettere più a fondo sul compito assegnatogli da Dio e dalla Provvidenza di mandare i suoi frati tra i Musulmani e, citando la regula non bullata del 1221 «fare e dire quelle cose che piacciono al Signore» [2]. Che cosa l’attuale ministro generale dei frati Minori intenda è ampiamente spiegato nel resto della lettera, dove si susseguono i classici topoi neomodernistici: dialogo interreligioso, collaborazione con i membri di altre religioni in vista di un futuro di pace e di giustizia sociale, il tutto corredato da riferimenti ai testi del Vaticano II, in particolare la dichiarazione Nostra aetate. A ciò si aggiunge l’immancabile menzione dell’incontro di Assisi nel 1986 da Woytila e poi replicato da Ratzinger vent’anni dopo. Inoltre, continua la lettera, la vicenda di san Francesco e il sultano al Kamil sarebbe quasi una prefigurazione dell’incontro avvenuto a febbraio di quest’anno ad Abu Dhabi e al documento stilato da Bergoglio e dal grande imam Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb [3]. Sempre secondo M.A. Perry, «molte voci in qualche modo tristemente insistono sul fatto che il dialogo tra Cristiani e Musulmani sia impossibile. Molti contemporanei di san Francesco e del Sultano concordavano nel ritenere il conflitto e lo scontro l’unica risposta alla sfida tra loro». Insomma, oggi come allora, la divisione non è tanto tra Cattolici, Musulmani, Giudei etc…, quanto piuttosto tra chi vuole la pace e la giustizia sociale e chi invece no. L’anniversario dell’incontro tra san Francesco e il Sultano è quindi l’occasione per celebrare la prima categoria di persone e demonizzare la seconda, all’interno della quale – si legge tra le righe –, non vi erano tanto i Musulmani o il Sultano (i quali odiavano i Cristiani solamente perché vittime degli attacchi crociati), ma piuttosto le gerarchie ecclesiastiche, diametralmente opposte allo spirito pacifista francescano.
Del resto, la contrapposizione tra il Poverello di Assisi e la Chiesa romana è un tema classico della narrativa neo-modernista e ha le sue radici più profonde nell’opera dello storico, nonché pastore calvinista, Paul Sabatier (1858-1928), che nel 1893 pubblicò una biografia di san Francesco.
Il dotto francese applicò alla vicenda del Poverello il medesimo metodo storicocritico, che, negando a priori l’influsso soprannaturale nella storia, era stato precedentemente applicato allo studio delle Sacre Scritture sia dai protestanti sia dai modernisti, per essere infine condannato solennemente da san Pio X nell’enciclica Pascendi dominici gregis [4].
Il lavoro del Sabatier, poi continuato dai modernisti nostrani quali Ernesto Buonaiuti e Giovanni Miccoli, si basava fondamentalmente sull’utilizzo delle biografie francescane precedenti alla Legenda maior di san Bonaventura (1221-1274), diventata a partire dal capitolo generale dell’Ordine celebrato nel 1266 l’agiografia ufficiale dell’Assisiate. Il quadro effettivamente più sfaccettato che emerge dall’analisi di tali biografie divenne il pretesto per piegare le vicende storiche relative al Santo d’Assisi a ogni prurito ideologico sia ecclesiale sia politico. Naturalmente da parte dell’Ordine francescano (prima della crisi nella Chiesa) non vi fu alcun timore nel nascondere le fonti relative alla loro storia, come testimonia la monumentale impresa editoriale condotta dai frati di Quaracchi con l’imprimatur della Sede apostolica [5]. Del resto, come sta avvenendo anche per lo studio della Bibbia, la scoperta di nuove fonti e di nuovi metodi, se unite a buon senso e onestà e senza riduzioni positivistiche, anziché contraddire i dati forniti dalla Tradizione, al contrario li precisano e li confermano, dimostrando quanto siano veritiere le parole che Leone XIII pronunciò in occasione dell’apertura agli studiosi di buona volontà dell’Archivio Segreto Vaticano il 18 agosto 1883: «I non travisati ricordi dei fatti, se analizzati con animo tranquillo e senza opinioni pregiudiziali, di per se stessi difendono, spontaneamente e magnificamente, la Chiesa ed il Pontificato» [6].
E dunque, volendo considerare da un punto di vista storico quanto avvenne in Egitto ottocento anni fa, occorre, prima di tutto, accostare con oggettività le fonti storiche che tramandano quei fatti.
Si prenda per cominciare la Legenda maior composta da san Bonaventura e divenuta l’agiografia ufficiale di san Francesco dalla metà del XIII secolo.
Il capitolo IX, intitolato significativamente De fervore caritatis et desiderio martyrii, si apre con una sublime descrizione dello spirito di carità che infiammava l’Assisiate “quasi come un carbone acceso” e che lo portava a digiunare devotamente dalla festa dei santi apostoli Pietro e Paolo fino all’Assunta in onore di Maria santissima e, poi, per altri quaranta giorni in onore dei santi angeli, in particolare di san Michele, a motivo del suo compito di presentare le anime a Dio, a testimonianza dello zelo del Santo di Assisi per la salvezza di tutte le anime, come afferma esplicitamente la Legenda maior [7]. Il testo prosegue, raccontando come nel 1212 mosso dal il desiderio di “emulare con il fuoco della carità il glorioso trionfo dei santi martiri” san Francesco tentò per ben due volte di imbarcarsi rispettivamente verso la Siria e il Marocco, molto probabilmente anche grazie all’entusiasmo suscitato dalla vittoria delle forze ispanico-cattoliche sui Mori durante la battaglia di Las Navas de Tolosa il 16 luglio di quell’anno. Tuttavia la Provvidenza aveva piani diversi, giacché ambedue due i tentativi non riuscirono.
Finalmente, sette anni dopo, il capitolo minoritico, avviando una vasta campagna di predicazione con il sostegno del pontefice Onorio III (papa dal 1216 al 1227) e del cardinale d’Ostia Ugo (futuro papa Gregorio IX dal 1227 al 1241), san Francesco si recò con Illuminato dell’Arce a Damietta, dove erano accampati i guerrieri crociati. Durante una tregua, racconta san Bonaventura, i due frati partirono “come agnelli in mezzo ai lupi” verso il campo nemico, dove successivamente furono fatti prigionieri dalle sentinelle saracene, che non si fecero problemi a malmenare i due religiosi. Tuttavia, anziché essere uccisi, come sovente capitava ai prigionieri cristiani, furono portati al cospetto del sultano Al-Kamil. Pur rimanendo ignote le parole esatte che si scambiarono san Francesco e il principe egiziano, è possibile affermare con certezza che l’Assisiate non solo proclamò pubblicamente la fede cattolica, in particolare, secondo san Bonaventura: “il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo”, ma cercò anche di convincere il Sultano a convertirsi e a lasciar convertire il suo popolo, di qui la sfida lanciata dal Poverello di entrare nel fuoco acceso con dei “sacerdoti” maomettani per dimostrare su chi sarebbe sceso il favore di Dio [8]. Ma Al Kamil rifiutò, anche in considerazione del fatto che uno dei suoi “sacerdoti” più famosi e anziani fuggì non appena aveva udito le parole relative alla sfida. Allora san Francesco rilanciò, offrendo di sottoporsi da solo alla prova e, qualora fosse rimasto illeso, il Sultano avrebbe dovuto riconoscere la fede cattolica, ma questi, temendo una rivolta popolare, si rifiutò. Il principe d’Egitto, infine, volle fare dei doni a san Francesco, tuttavia questi li rifiutò sia per amor di povertà sia, come afferma san Bonaventura “perché non vedeva nell’animo del sultano la radice della vera pietà” [9].
Se la Legenda maior costituisce tra le fonti a nostra disposizione la narrazione più completa e teologicamente più profonda, la cosiddetta Vita prima di Tommaso da Celano, commissionata da papa Gregorio IX nel contesto della canonizzazione di san Francesco avvenuta nel 1228, offre al capitolo 20 una descrizione dell’avvenuto più succinta ma assolutamente in armonia con il testo bonaventuriano [10]. Sempre il Celanese nella Vita secunda, composta tra il 1246 e il 1247 commissionata dall’Ordine francescano, si concentra invece su un altro episodio legato alla missione di san Francesco a Damietta, ovvero al tentativo di scongiurare la battaglia che sarebbe avvenuta il 29 agosto 1219 con un immane sfacelo delle armate cristiane [11]. Lo sforzo inutile dell’Assisiate è stato da diversi storici interpretato come una sostanziale opposizione al progetto crociato, tuttavia la questione è ben più complessa e le altre fonti che ne parlano dipingono uno scenario che, sebbene più articolato delle fonti agiografiche, non permette in alcun modo di individuare un contrasto tra l’azione di san Francesco e quella dei crucesignati [12].
Prendiamo, quindi, una fonte diversa di quelle considerate finora: non un’agiografia destinata allo studio e alla meditazione dei frati, ma una cronaca in antico francese proveniente dal mondo aristocratico crociato di provenienza franca: la Chronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier. Se si legge il testo, il cuoi originale è andato perduto e del quale se ne possiede una versione successiva riassunta, san Francesco e il suo compagno Illuminato, chiamati semplicemente “du clers” (due chierici), sembrano avere alcune frizioni con Pelagio (ca. 1165-1230), il cardinale vescovo di Albano, che conduceva le azioni militari in veste di legato papale. L’alto prelato, dopo aver cercato di dissuaderli dal recarsi oltre le linee nemiche per incontrare il Sultano, non potendo convincerli, si dissociò dall’iniziativa di san Francesco e del suo compagno, considerandola come imprudente e azzardata [13]. Prima di qualunque altra considerazione è opportuno ricordare che questa cronaca, peraltro come visto riassunta e rielaborata in seguito agli avvenimenti, è nel suo insieme venata di una forte polemica nei confronti del cardinale legato, il quale rischiando il tutto per tutto con lo scontro militare diretto sarebbe stato colpevole della sconfitta subita nell’agosto di quell’anno e la conseguente perdita di terre da parte dell’aristocrazia franca, da cui l’acceso risentimento nella cronaca. Quello che emerge da questi due passi tratti rispettivamente dalla Vita secunda e dalla Chronique d’Ernoul, pur aggiungendo particolari espunti dalla Legenda maior di san Bonaventura, non contraddicono in alcun modo né la lettera né tantomeno il senso profondo che emerge da quest’ultima. Nel testo di Tommaso da Celano il dispiacere di san Francesco è motivato specificamente e limitatamente dalla sconfitta dell’esercito crociato; il Santo aveva poi tentato di fermarne la partenza – si badi bene – solo perché il Signore gli rivelò personalmente che l’armata cristiana sarebbe stata pesantemente debellata. Il testo della Chronique, invece, pur ammettendo – al netto della polemica contro Pelagio d’Albano – che riporti veridicamente i fatti, ritrae una scena che non deve essere sopravvalutata e caricata di significati ulteriori: semplicemente il cardinale non approvava l’iniziativa dei due frati perché preoccupato della loro incolumità (apprensione giustificata peraltro dal fatto che i due furono effettivamente percossi e torturati dalle sentinelle del Sultano). A ciò va aggiunto che san Francesco aveva già ricevuto l’autorizzazione a predicare nel 1209 nel contesto dell’approvazione orale della regola da parte di Innocenzo III (1198-1216), pertanto non si può in alcun modo considerare il gesto dell’Assisiate come una disobbedienza nei confronti dell’autorità ecclesiastica.
Piuttosto, secondo lo spirito di totale obbedienza alla Sede apostolica espresso sin dal primo incontro con il vicario di Cristo testé menzionato, va sottolineata la sua costante volontà a consultarsi con i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica anche quando, come in questo caso, non ve n’era bisogno, giacché canonicamente avrebbe potuto procedere senza il permesso del legato.
Un ultimo appunto va fatto alle indicazioni relative alle missioni francescani nei primi testi normativi dell’ordine, rispettivamente la regola non bullata del 1221 e quella bullata di due anni dopo. Nella prima, una sorta di testo provvisorio, si prescrive di predicare con prudenza «senza liti o dispute» la vera fede per la conversione degli infedeli, insegnando «ciò che piace al Signore», secondo quanto affermato da Gesù Cristo nel Vangelo (Mt 10, 13-42): “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli […] Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli” [14]. La cautela espressa nel dettato della Regula era probabilmente motivata non solo dall’inasprirsi dell’odio islamico contro i Cristiani a seguito della sconfitta crociata del 1219, ma anche e soprattutto,
dal sanguinoso martirio dei frati francescano inviati in Marocco avvenuto l’anno successivo. La regola definitiva e bullata nel 1223 si limita invece a ricordare, viste le difficoltà delle missioni in partibus infidelium, di scegliere solo frati ritenuti idonei [15].
Ricapitolando le informazioni desunte dalle fonti prese in esame emerge che il contesto dell’incontro tra san Francesco e il Sultano non è certo quello di un anacronistico dialogo ecumenico. L’obiettivo di san Francesco è quello di professare pubblicamente e fino al martirio la fede cattolica e l’incontro con il Sultano non è assolutamente una discussione “alla pari”, tanto più se è vero che questi aveva un iniziale desiderio di convertirsi. Ancor di meno è ipotizzabile uno spirito di contestazione da parte del Poverello di Assisi nei confronti del movimento crociato, del quale anzi ne condivide lo spirito e, più di ogni altro, l’obbedienza al Papato romano, che dell’impresa d’Oltremare era il regista. Sopravalutare e decontestualizzare alcune accidentali frizioni con l’immediata strategia militare e diplomatica è un’operazione disonesta dal punto di vista storico e caratteristica di chi vuole capziosamente riempire i silenzi lasciati dalle fonti con le sue idee.
Piuttosto è necessario per una più veritiera comprensione considerare l’iniziativa di san Francesco motivata da quello che dicono sia le fonti agiografiche sia normative: la professione e la pubblica testimonianza della fede. Tale finalità non era in alcun modo opposta al movimento crociato; quest’ultimo, anzi, almeno nelle sue motivazioni più profonde, era volto a corroborarne l’efficacia.
Un utile testo per comprendere il senso profondo della santità dell’Assisiate è la bolla di canonizzazione promulgata da Gregorio IX il 19 luglio 1228 a Perugia, tre giorni dopo la solenne cerimonia che conferì gli onori degli altari a san Francesco. In questo diploma papale, redatto in uno stile aulico e fortemente simbolico secondo l’uso della cancelleria papale duecentesca, si presenta l’Assisiate come l’inviato nella vigna del Signore assieme agli operai dell’undecima ora per sradicare le spine e le erbacce con il sarchio e con il vomere. Il riferimento a tale arnese è esplicitamente riferito all’arma con la quale, come narra l’Antico testamento (Giudici 3, 31), Sagmar abbatté seicento Filistei, persecutori dell’antico Israele, a sua volta figura della Chiesa romana [16].
Più avanti il testo paragona san Francesco a Sansone: come questi con una mandibola d’asino annientò mille Filistei (Giudici 15, 9-20), così il Poverello con la forza di una predicazione semplice, «non adorna dei colori della sapienza umana, della potente forza di Dio […] ridusse nella servitù dello spirito coloro che prima servivano alle immondezze della carne» [17].
Un’altra interessante testimonianza è un inno composto probabilmente da Gregorio IX stesso per l’officio liturgico francescano. San Francesco è qui dipinto niente meno che come un eccezionale inviato di Cristo pronto a brandire il vessillo glorioso della Croce al fine sgominare il dragone infernale, la cui ultima delle sette teste si leva contro il Cielo e tenta di portare alla dannazione quante più anime possibili [18].
In ultima analisi si constata come il san Francesco della Chiesa cattolica, il quale attraverso le armi spirituali della povertà e della penitenza combatte senza tregua Satana e i suoi seguaci bramando il martirio per difesa della fede, sia ben altra cosa rispetto al precursore dell’ecumenismo che i modernisti tentano di proporre e che, dovendo aggirare la verità storica, forzano le fonti e piegano la storia a proprio uso per trovare dei fondamenti.
Del resto, manomettere il passato per giustificare lo status quo presente è peculiarità di tutti i regimi ideologici gemmati dalla modernità, i quali, a loro volta, non sono che parenti stretti dell’eresia modernista.


[1] M.A. Perry OFM, Queste e altre cose, che piaceranno al Signore (Rnb 16,8). Lettera del Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori per l’800° Anniversario dell’Incontro tra san Francesco e il Sultano al-Malik al-Kamil, scaricabile dal sito ofm.org.
[2] K. Esser OFM, Die Opuscula des hl. Franziskus von Assisi. Neue textkritische Edition, Grottaferrata 1976, p. 390.
[3] Si veda a riguardo l’approfondita analisi di don Mauro Tranquillo FSSPX, Papa Francesco e l’islam: dal Concilio alla religione mondiale
[4] P. Sabatier, Vie de saint François d’Assise, Parigi 1893.
[5] Analecta Franciscana sive Chronica aliaque varia documenta ad historiam fratrum minorum spectantia edita a patribus Collegii S. Bonaventurae adiuvantibus aliis eruditis viris, 10 volumi, Quaracchi-Firenze, 1895-1941 (d’ora in poi AF).
[6] Leone XIII, Saepenumero considerantes, https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/letters/documents/hf_l-xiii_let_18830818_saepenumero-considerantes.html; per degli esempi di scoperte archeologiche che confermano il racconto biblico si veda la rassegna pubblicata sul sito https://fsspx.news/fr/de-recentes-decouvertes-viennent-a-nouveau-confirmer-la-veracite-de-la-bible-50052.
7 «Totus namque quasi quidem carbo ignitus divini amoris flamma videbatur absorptus […] Matrem Domini Iesu indicibili complectebatur amore, eo quod Dominum maiestatis fratrem nobis effecerit, et per eam simus misericordiam consecuti. In ipsa post Christum preacipue fidens, eam sui ac suorum advocatum constituit et ad honorem ipsius a festo Apostolorum Petri et Pauli usque ad festum Assumptionis devotissime ieiunabat. Angelicis spritibus ardentibus igne mirifico ad exercendum in Deum et electorum animas inflammandas inseparabilis erat amoris vinculo copulatus et ob devotionem ipsorum ab Assumptione Virginis gloriosae quadraginta diebus ieiunans orationi iugiter insistebat. Beato autem Michaeli archangelo, eo quod animarum repraesentadarum haberet officium, speciali erat amore devotior propter fervidum quem habebat zelum ad salutem omnium salvandorum» (AF, vol. X, pp. 597-598).
[8] Tanta vero mentis constantia, tanta virtute animi tantoque fervore spiritus praedicto Soldano praedicavit Deum trinum et unum et Salvatorem omnium Iesum Christum, ut evangelicum illud in ipso claresceret veraciter esse completum: Ego dabo vobis os et sapientiam, cui non potuerunt resistere et contradicere omnes adversarii vestri (Lc 21, 15)» (Ibi, pp. 600-601).
[9] «Ipse vero, quia pondus fugiebat pecuniae et in animo Soldani verae pietatis non videbat radicem, nullatenus acquievit» (Ibi, p. 601). Un indizio circa il desiderio, più o meno sincero, di convertirsi da parte del sultano proviene dalla lettera del maestro di teologia e vescovo di San Giovanni d’Acri Giacomo da Vitry, il quale, da testimone oculare degli eventi in questione, riporta che il Sultano avrebbe chiesto a san Francesco di intercedere presso Dio affinché potesse aderire alla vera Fede: «Soldanus autem, rex Egypti, ab eo secreto petiit ut pro se domino supplicaret quatinus religionis, que magis Deo placeret, divinitus inspiratus adhereret» (Lettres de Jacques de Vitry. Edition critique, ed. R.B.C. Huygens, Leiden 1960, lettera VI p. 133). Se le cose stessero così, ne uscirebbe ulteriormente rinforzato il fatto che l’incontro non fu affatto, per così dire, su un piano di parità tra le due fedi, ma che fosse piuttosto teso a proclamare la vera fede a un personaggio che mostrava un certo interesse verso essa, ma che poi per amor di pace (e di politica) tornò sui suoi passi.
[10] AF, vol. X, pp. 43-44.
[11] «Cum igitur ad diem belli nostri pararentur in pugnam, audito hoc, sanctus vehementer indoluit. Dixitque socio suo: “Si tali die congressus fiat, ostendit mihi Dominus, non in prosperum cedere Christianis”» (AF, vol. X, p. 149).
[12] Cosa che invece sostengono C. Frugoni, Francesco e le terre dei non cristiani, Milano, 2012, pp. 9-10 e P. Annala, Frate Francesco e la quinta crociata, «Frate Francesco», 69 (2003), pp. 413, dove si afferma, secondo quanto riportato nell’Historia Occidentalis del già menzionato Giacomo da Vitry (J.F. Hinnebusch OP, The Historia Occidentalis of Jacques de Vitry. A critical edition, Fribourg 1972, p. 162), che l’Assisate presentandosi come christianus e non come crucesignatus avrebbe voluto smarcarsi dalla Crociata. Tale ricostruzione appare chiaramente forzata e lontana pure dal punto di vista dell’autore di tale testo, giacché poi non esita a indicare il sultano come bestia crudelis. Per inciso, si noti che a differenza di quanto si evince dalla lettera menzionata alla nota 8, scritta a ridosso degli eventi, il giudizio sul Sultano è qui molto più negativo verosimilmente in considerazione del fatto che egli non solo non si convertì ma inflisse una sonora sconfitta ai crociati.
[13] «Or vous dirai de .ii. clers qui estoient en l’ost à Damiete. Il vinrent au cardenal, si disent qu’il voloient aler al soudan preçier, et qu’il n’i voloient mie aler sans son congié. Et li cardenals lor dist que par son congié ne par son commandement n’iroient pas, car il ne lor voloit mie donne congiet à essient d’aler en te liu où il fuissent ocis; car il savoit bien s’il i aloient, il n’en revenroient ja […]» (Chronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier, ed. M.L. de Mas Latrie, Paris 1871, p. 432).
[14] «Dicit Dominus: “Ecce ego mitto vos sicut oves in medio luporum. Estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae (Mt 10, 16)”. Unde quicumque frater voluerit ire inter saracenos et alios infideles, vadat de licentia sui ministri et servi. […] Fratres vero, qui vadunt, duobus modis inter eos possunt spiritualiter conversari. Unus modus est, quod non faciant lites neque contentiones, sed sint subditi omni humanae creaturae propter Deum (1 Petr 2, 13) et confiteantur se esse christianos. Alius modus est, quod, cum viderint placere Domino, annuntient verbum Dei, ut credant Deum omnipotentem, Patrem et Filium et Spiritum Sanctum, creatorem omnium, redemptorem et salvatorem Filium et ut baptizentur et efficiantur christiani, qua quis renatus non fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest intrare in regnum Dei (Io 3, 5)» (Esser, Die Opuscula, p. 390).
[15] «Quicumque fratrum divina inspiratione voluerint ire inter saracenos et alios infideles petant inde licentiam a suis ministris provincialibus. Ministri vero nullis eundi licentiam tribuant, nisi eis quos viderint esse idoneos ad mittendum» (Ibi, p. 371).
[16] «Mira cira nos divinae pietatis dignatio et inestimabilis dilectio charitatis, qua filium pro servo tradidit redimendo! Dona suae miserationis non deserens et vineam dextera eius plantatam continua protectione conservans, in illam, qui salubriter ipsam excolant, evellentes sarculo ac vomere, quo Samgar sexcentos Philistheos percussit, spinas et tribulos ex eadem, operarios etiam in undecima hora transmitti, ut superfluitate palmitum resecata et vitulaminibus spuriis radices altas non dantibus, nec non sentibus extirpatis, fructum suavem afferat et iucundum» (Bullarium Franciscanum Romanorum pontificum constitutiones, epistolas, ac diplomata continens, volume I, Roma 1759, p. 42)
[17 «Qui, audita interius voce invitantis amici, impiger surgens mundi vincula blandientis quasi alter Sampson gratia divina praeventus dirupit et, Spiritu fervoris concepto, asinique arrepta mandibula, praedicatione siquidem simplici, nullis verborum persuasibilium humanae sapientiae coloribus adornata, sed tamen Dei virtute potenti, qui infirma Mundi eligit ut fortia quaecumque confundat, non tantum mille, sed multa Philistinorum eo, qui tangit montes et fumigant, favente prostravit et in Spiritus servitutem redegit carnis illecebris antea servientes» (Ibi, pp. 42-43).
[18] «1a. Caput draconis ultimum / Ultorem ferens gladium / Adversus Dei populum / Excitat bellum septimum 1b. Contra coelum erigitur / Et attrahere nititur / Maximam partem siderum / Ad damnatorum numerum 2a. Verus de Christi latere / Novus legatus mittitur / In cujus sacro corpore / Vexillum crucis cernitur 2b. Fide protectus clipeo / Spe galeatus, utitur / Mucrone verbi, baltheo / Vir castitatis cingitur 3a. Franciscus
princeps inclitus / Signum regale bajulat / Et celebrat concilia / Per cuncta mundi climata / Contra draconis schismata 3b Acies ternas ordinat
/ Expeditorum militum / Ad fugandum exercitum / Et tres catervas daemonum / Quas draco semper roborat 4a Jussus a rege properat / Ad sempiterna gaudia / Ut militum stipendia / Sanctus Franciscus exigat 4b Fac nos, pater piisime, Patris haeredes gratiae, Ut possint patri filii / Consortes esse gloriae» (Analecta Hymnica Medii Aevi, ed. G.M. Dreves SJ, vol. IX, Leipzig 1890, pp. 161-162)