Sintesi della 621° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo a causa dell’epidemia di Coronavirus. preparata e postata nel giorno della commemorazione dei Fedeli Defunti. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).
La tesi di San Tommaso d’Aquino a favore del carattere individuale e personale dell’ anima intellettiva umana, cifra della spiritualità dell’ uomo e dell’ immortalità dello spirito, non compare per la prima volta nel De unitate intellectus; è sostenuta anche nelle opere anteriori che si occupano della problematica antropologica: la Summa contra Gentiles ( libro II,cap56-90), la Summa theologiae (I, q.76,art1-3), la Quaestio disputata de anima e la Sententia libri de anima ( il libro II della Summa contra Gentiles è particolarmente importante perché qui San Tommaso d’Aquino enuclea i capisaldi della ” philosophia perennis” per quanto riguarda i rapporti tra anima, intelletto e coscienza (1). Contro l’ Agostinismo Avicenizzante San Tommaso aveva rimarcato in queste opere il carattere dell’anima di principio individuale, sostanziale e determinatore del corpo contro l’ipostasi dualistica di ” anima” e ” corpo”, considerate alla stregua di due sostanze separate. Nell’essere umano non sussistono inoltre più forme sostanziali, come voleva la Scuola Francescana, ma una sola forma sostanziale, l’anima intellettiva, dotata di differenti funzioni, vegetativa, sensitiva e intellettiva.
Il “De unitate intellectus” fu composto nel 1270, presumibilmente prima della censura delle tesi averroiste da parte dell’ autorità eccleaiastica, dato che di esse San Tommaso non ne fa menzione.
Il Tractatus in alcuni manoscritti reca nel titolo l’aggiunta “Contra Avverroistas”, in altri ” Contra errorum Averroistarum” ( vel Averrois). San Tommaso non solo destituisce di fondamento la dottrina averroista (secondo cui all’ individuo competerebbe una forma intellettiva mortale e passiva, alla stregua di quelle sensitive e vegetative) ma anche quelle dei discepoli latini di Averroe’.
L’ Aquinate non scende mai a livello dell’ attacco personale, allude nel suo trattato genericamente a ” maestri seguaci di Averroe’, senza riferire il loro nome; verso la fine dell’ opera cita espressioni letterali di ” un maestro”, seguace di Averroe, verso cui usa particolare livore polemico, dal momento che questi avrebbe mantenuto occulte le proprie dottrine eterodosse per tema di confrontarsi con il pubblico e di riceverne strali polemici ( non loquatur in angulis, nec coram pueris ).
Chi sarà mai tale ” maestro seguace di Averroe”, di cui l’ Aquinate non riferisce il nome? Non è dato di sapere con certezza, dal momento che non è stato possibile reperire la fonte di queste espressioni e l’ipotesi più attendibile è che si tratti di Sigieri di Brabante, uno degli averroisti latini più famosi. Si tratta con ogni probabilità di espressioni letterali tratte dalle sigieriane Quaestiones in tertium de anima (2) (peraltro non sono state ricavate direttamente dalla redazione definitiva dell’ opera, bensì da appunti presi alle lezioni di Sigieri).
Il “maestro” è attaccato nella misura in cui , pur proclamandosi filosofo cattolico come del resto tutti i maestri latini di Averroe’, contraddice la dottrina cattolica ( la quale insegna ogni individuo essere dotato di un’ anima intellettiva personale e immortale).
Invece Sigieri di Brabante sostiene la dottrina della doppia verità, un’impostazione dottrinale che si differenzia sia dal “credo ut intellegam” sostenuto dalla Patristica, sia dall’intellego ut credam sostenuto dalla Scuola di Sant’Alberto Magno, dalla Scolastica tomista e anche dal procedimento di Avicenna.
Si può asserire con una buona dose di attendibilità che la dottrina della doppia verità non fosse sostenuta nemmeno da Averroe’; egli infatti tendeva ad espungere tout court il Corano dall’ ambito della filosofia ( a differenza dell’ avicenniana ricerca di accordo tra Fede e Ragione) e a giudicare ogni questione filosofica risolvibile dalla sola ragione naturale. Secondo la sigieriana dottrina della doppia verità per la ragione vi sarebbe un solo intelletto possibile per tutto il genere umano, mentre l’ immortalità dell’ anima personale andrebbe accolta come articolo di fede, con una sorta di ” credo quia absurdum”, non essendovi argomenti razionali che possano suffragarla (3).
La dottrina della “doppia verità”, secondo cui le conclusioni della ragione naturale ( es. il mondo sussiste ab aeternitate, esiste un solo intelletto possibile per tutto il genere umano) non possono avere terreno di convergenza con la Rivelazione ( contra: il mondo è creato e contingente, l’anima è individua e personale) è contraria al sano Magistero ecclesiastico (4).
Non può essere accolta neppure nella sua versione moderata, secondo cui ci sarebbe parallelismo e dualismo non già tra due verità opposte, bensì tra due ambiti di ricerca, quello dell’ argomentazione razionale e quello della Rivelazione. Infatti, qualora questi ambiti non concordino, non è legittimo far sussistere la contraddizione irrisolta tra Fede e Ragione, ma occorre subordinare l’ambito della ragione naturale a quello della Fede (philosophia ancilla fidei). Spesso la ragione naturale non può dirimere questioni spinose, segnatamente teologiche, dal momento che il lume naturale difetta, è insufficiente a sorreggerla, in questo caso deve far affidamento alla Rivelazione.
Ben lo ha messo in luce Sant’ Alberto Magno: il più delle volte i principi della scienza fisica sono inadeguati per dirimere questioni teologiche (5). A mio avviso è problematico attribuire tout court la dottrina della “doppia verità”-
L’ Averroismo latino e l’ Averroismo Padovano Rinascimentale, sostenuto ad esempio da Pietro Pomponazzi, hanno inteso sostenere sussistenza irrisolta di una ” doppia verità” o semplicemente un dualismo di ambiti di ricerca? Il tema, per quanto interessante, porterebbe lontano e non è qui luogo di addentrarmi
Il trattato tomista ” De unitate intellectus” abbraccia cinque capitoli suddivisi in due parti; la prima, costituita da tre capitoli, contiene la dimostrazione che la tesi averroista e sigieriana dell’ unità per tutto il genere umano e separazione dell’ intelletto possibile contraddice non solo la Rivelazione ma anche l’autorità di ristotele ( quindi Averroe’ non ha affatto seguito alla lettera la dottrina dello Stagirita e inoltre l’affermazione di un’intelligenza possibile separata non oltrepassa, ma rimane sul terreno del naturalismo aristotelico)
I capitoli 4 e 5 che costituiscono la seconda parte del trattato molto si soffermano sull’ analisi degli argomenti degli avversari della dottrina della philosophia perennis, secondo cui a ogni individuo compete un’anima intellettiva personale e immortale, principio formale, motore del corpo, cui fornisce l’atto primo o actus essendi, ma anche gli acta secunda, ovvero tutte le operazioni legate all’ ambito vegetativo, sensitivo e intellettivo; nonché non essere probanti, detti argomenti hanno labile fondamento e con facilità possono essere smontati
Nella prima metà del XIII secolo gran parte dei commentatori medievali si sono accostati ai testi di Aristotele influenzati profondamente dall’ “agostinismo avicenizzante”.
Fra questi Il francescano Giovanni de la Rochelle, allievo di Alessandro di Hales e professore di teologia con cattedra presso l’ Università di Parigi,influenzato prevalentemente da Avicenna ( a differenza del suo maestro Alessandro di Hales che aveva maggiormente recepito la concezione antropologica averroista, cercando di offrire una interpretazione della dottrina dell’ “intelletto possibile” separato compatibile con il Magistero cattolico) e dall’ aristotelismo arabo- greco, Giovanni de la Rochelle aveva accettato la distinzione reale tra intelletto passivo e corruttibile ( corrispondente alla facoltà infima dell’ anima intellettiva) e un intelletto incorruttibile separato, costituito a sua volta da due potenze, l’ intelletto possibile e l’ intelletto agente (6).
A poco a poco i latini hanno poi preso a interessarsi all’ esegesi della psicologia aristotelica presente nei Commentari di Averroe’ . Questo ha comportato l’ attenuazione dell’ influsso del precedente “Agostinismo avicenizzante” e una sorta di nuove direzioni e approfondimenti nell’esegesi stessa di Aristotele.
Nel decennio 1260-1270 è sorto il cosiddetto ” Averroismo latino” presso l’ Università delle Arti di Parigi, i cui più esimi rappresentanti furono Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia
La diatriba tra San Tommaso d’Aquino e la scuola dell’ Averroismo latino ( che ingenuamente pensava di poter accogliere la tesi di Averroe’, conservando al contempo fedeltà al Magistero) può essere compresa solo a condizione di non prescindere da una questione fondamentale, quella della natura dell’anima umana.
Essa è da concepirsi alla stregua di una ” sostanza” accanto all’ ” anima sensitiva”, oppure è principio costitutivo formale del corpo?p San Tommaso d’Aquino ha scelto la seconda soluzione, pur mantenendo fermo che ” l’ anima intellettiva è dotata di una potenza immateriale che non segue in tutto la forma di cui è potenza”(Alessandro Ghisalberti).
L’ anima intellettiva è dunque dotata di capacità di autossussistenza e immortale. È principio costitutivo del sinolo, ma mantiene l’ autonomia nell’ essere.Non può essere parificata alle forme vegetative e sensitive, che invece vengono meno in seguito alla corruzione del corpo di cui sono forme. Salvaguardando l’immanenza dell’ anima intellettiva e della sua potenza più nobile, l’intelletto, al corpo umano è possibile rendere ragione del carattere personale dell’ attività conoscitiva e contemplativa. Pure Sigieri di Brabante, a differenza di Averroe’, non aveva inteso concludere al carattere tout court estrinseco dell’intelletto rispetto al corpo; esso, pur non essendone principio formale strictu sensu, ne è pur sempre il ” motore”; ma questa soluzione del Sigieri non da un solido fondamento per garantire il carattere personale, peculiare, irriducibile dell’ atto conoscitivo.
Molti critici (Averroe’ compreso) hanno frainteso il De anima aristotelico, a giudizio dell’ Aquinate, ma hanno altresì non correttamente interpretato il commento di Temistio (217_288d.c) al De anima. Infatti Temistio assicura che Aristotele avrebbe insegnato l’ immanenza dell’ intelletto nell’ uomo, non già la separazione e unicità per tutta la specie umana (7).
Il monopsichismo di Averroe’, ripreso dall’ Averroismo latino, con l’illusione ch’ esso potesse conciliarsi con il magistero cattolico, contraddice non solo il Magistero, ma la stessa evidenza razionale.
Se la conoscenza fosse prerogativa di un solo intelletto possibile, tutti conoscerebbero le stesse cose, quando invece l’evidenza razionale attesta che “hic homo intellegit”. L’ atto cognitivo soggettivo pertiene a ciascun individuo, è irriducibile a qualsiasi altro (8).
L’impostazione antropologica di Averroe’ e dell’ Averroismo latino comporta ben più difficoltà di quella di Avicenna e di Al- Farabi. Il primo aveva attribuito alla decima Intelligenza separata la funzione di illuminare l’ intelletto passivo umano, fornendogli le specie intellegibili, il secondo l’aveva attribuita alla nona Intelligenza.
Per entrambi i commentatori arabi di Aristotele le intelligenze separate costituiscono intermediari tra il mondo divino o celeste e il mondo terreno; ma la decima Intelligenza e la nona di cui parlano rispettivamente Avicenna e Farabi sono pur sempre intelletti attivi, agenti che illuminano l’ intelletto umano come la luce illumina i colori.
Invece, l’intelletto possibile separato di Averroe’, in quanto passibile, assomiglia molto più alla materia che non a un’entità spirituale. E’ recettivo delle specie intellegibili, analogamente a come la materia è recettiva delle forme (9). Ma la conoscenza intellettiva è costituita da un momento recettivo o passivo e da uno spontaneo, espressivo, attivo; dunque come potrebbe l’impostazione averroista contemplare l’aspetto attivo-espressivo dell’ atto conoscitivo, dato che l’ intelletto passivo immanente (corruttibile come le forme sensitive e vegetative) è subordinato ad un unico intelletto possibile e non già agente?
Le soluzioni di Avicenna e di al Farabi, che mutatis mutandis hanno qualche richiamo alla concezione agostiniana di una illuminazione divina quale causa prima della conoscenza l’esperienza sensibile e’ solo causa accidentale e secondaria) salvaguardano pur sempre l’ immortalità dell’ anima personale.
Invece il monopsichismo di matrice averroista, che ha ispirato l’ Averroismo latino e ispirerà nel corso del Rinascimento la scuola dell’ Averroismo padovano, compromette la spiritualità, sussistenza, immortalità dell’ anima personale ( contro il Magistero cattolico), priva l’ Essere umano della suprema felicità che consiste, per Aristotele come per la tomista ” philosophia perennis” nella conoscenza finalizzata alla contemplazione del Sommo Bene divino (configurando un’etica terrena ed edonista); infine, entra segnatamente in contrasto con la più elementare evidenza razionale, asserendo la dottrina monopsichista.
Forse che la pluralità di intelletti personali sono epifenomeni di un unico intelletto possibile universale? Forse che l’ atto conoscitivo compete all’ intellectus del genere umano? Minime! Esso compete a hic intellectus, è oggettiva adaequatio rei et intellectus, ma è peculiare di ciascun individuo e irriducibile.
Cari amici di Radio Spada e della C.a.p vi auguro buona lettura
Note
(1) “Proprio dall’ ampia trattazione della Summa contra Gentiles ricaviamo i capisaldi del pensiero tommasiano sull’ intera questione anima_ intelletto-coscienza cfr. San Tommaso, Unità dell’ intelletto, a cura di Alessandro Ghisalberti, Bompiani, Milano, prima edizione 2000, seconda edizione 2008,p.27
(2) San Tommaso, cit…p.36
(3) non tutti gli studiosi sono d’ accordo nell’ ascrivere alla corrente dell’ averroismo coloro che hanno accolto la dottrina dell’ intelletto possibile separato. Ad esempio, F. Van Steemberghen ha sostenuto che Averroe fosse un aristotelico radicale, dal momento che la dottrina dell’ unicità e separazione dell’intelletto possibile era già sostenuta da Aristotele nel De Anima. Sempre secondo questo studioso di Filosofia medievale, l’ Averroismo non sarebbe sovrapponibile tout court alla dottrina di Sigieri di Brabante, dal momento che quest’ultimo non ha accolto tutte le dottrine di Averroe’
(4) Ricordiamo oltre alla critica della dottrina monopsichista averroista da parte di San Bonaventura, Sant’ Alberto Magno, San Tommaso la censura proferita dalla autorità ecclesiastica nel 1270, lo stesso anno della pubblicazione del Tractatus di San Tommaso d’Aquino
(5) cfr San Alberto Magno, Metafisica, 13, tr.3, cap.7 ” teologica cum physiciis princiipis non conveniunt”
(6) cfr. San Tommaso d’Aquino, cit..p.17-18
(7) cfr.san Tommaso,cit.., p.38 ove nella sua introduzione Alessandro Ghisalberti ben evidenza la differenza tra l’esegesi sigieriana e quella tomista del commento di Temistio al de anima dello Stagirita
(8)cfr.San Tommaso,cit..cap III, 71, ” se l’ intelletto fosse unito a Socrate solo come ” motore” e non già come principio costitutivo, l’ intellezione non apparterrebbe all’ individuo ” Socrate” ciò che contraddice l’evidenza razionale
(9) San Agostino attribui a Dio la fonte illuminante dell’ intelletto umano, a differenza di Avicenna che la identificò nella decima Intelligenza
(10) mutatis mutandis, è spontaneo concepire un parallelismo tra il monopsichismo averroista e il monismo metafisico dell’idealismo assoluto hegeliano.mentre il primo concepisce esclusivamente l’ intelletto con la ” i” maiuscola, unico e universale,non potendo di conseguenza spiegare le intellezioni individuali, il monismo metafisico hegeliano nega la pluralità di sostanze metafisiche, concepisce solo l’ Autocoscienza in assoluto, considera mera accidentalita l’ esperienza sensibile e intellettiva dell’ individuo
Abstract
L’Agostinismo avicennizzante che, secondo Étienne Gilson, avrebbe avuto la sua origine dall’operetta di Gundissalino (De Anima), il quale avrebbe sostituito nella psicologia dell’aristotelismo avicennizzante l’illuminazione dell’intelletto attivo con l’illuminazione diretta di Dio, combinandola con un misticismo cristiano, si rivela, ad un esame attento dei testi, come inesistente. Da un lato Gundissalino è ligio alla dottrina dell’illuminazione dell’intelletto attivo, e dall’altro gli elementi mistici nella sua dottrina sono d’origine musulmana anziché cristiana. La posizione di Gundissalino è del tutto conforme a quella di Algazali, che pure combina la psicologia di Avicenna con il misticismo dei Sûfi.
https://www.jstor.org/stable/43079738