I santi martiri francescani di Nagasaki crocifissi il 5 febbraio 1597.
Urbano VIII li beatificò il 14 settembre 1627 e Pio IX li canonizzò l’8 giugno 1862.
[foto da wikipedia]


da La Tradizione Cattolica Anno XXIII – n°4 (85) – 2012
di don Pierpaolo Petrucci FSSPX

La conversione di Costantino segnerà la fine di quasi tre secoli di persecuzioni sanguinose contro i cristiani, che con la loro sofferenza ed il sacrificio della vita contribuirono sicuramente a meritarla. Per mettere in valore questi eroi del cattolicesimo occorre prima di tutto considerare la loro storia e la costanza del ripetersi di questo coraggio eroico negli avvenimenti della Chiesa. Apparirà così chiaramente che il loro comportamento sarebbe inspiegabile senza un intervento divino che li sostiene e dà loro la forza di essere fedeli fino alla morte. Un tale eroismo supera il modo di agire normale della volontà dell’uomo e per questo può considerarsi un vero miracolo morale. Così i martiri diventano una prova della divinità della Chiesa cattolica per testimoniare la fede della quale non hanno esitato a dare tutto il loro sangue.

Dai primi secoli ai nostri giorni la storia della Chiesa è stata caratterizzata da diverse ondate di persecuzioni che hanno tentato di mettere in pericolo, con la carneficina dei suoi membri, il Corpo Mistico di Gesù Cristo. Questi fedeli che la Chiesa onora con il titolo di martiri, hanno manifestato una forza eroica, una pazienza ed una costanza di fronte alle più atroci torture e alla morte, che sembrano al di sopra delle forze della natura umana.
Agli eredi del razionalismo sembra inconcepibile accettare di morire, anzi, andare con gioia al supplizio piuttosto che rinnegare la fede in verità soprannaturali che superano la nostra intelligenza.

I primi martiri cristiani
Le testimonianze storiche ci mettono in grado di affermare che un gran numero di cristiani hanno subito il martirio e, dopo diversi tormenti, hanno dato la loro vita piuttosto che rinnegare la fede.
Questo è provato prima di tutto dalla testimonianza di numerosi scrittori cristiani (ad esempio Eusebio, Lattanzio) e pagani (Tacito, Plinio, Marco Aurelio, Celso). Essi ci parlano di una “moltitudine immensa”, di una “moltitudine di martiri”, di “torrenti di sangue”, “a volte 100 in un sol luogo” e questo a periodi regolari per circa 250 anni. Molto importanti sono le iscrizioni ritrovate nelle catacombe e che indicano il sepolcro di questi testimoni di Cristo: “Marcella e 550 martiri”; “150 martiri di Cristo”.
I cristiani veneravano le reliquie di questi eroi, divenuti potenti intercessori presso Dio. Per questo motivo sorsero, in seguito alle persecuzioni, cappelle e chiese sul luogo del martirio oppure sulle loro tombe o ancora dove ne venivano conservate le reliquie. La Chiesa raccolse le testimonianze del martirio dei suoi campioni in quelli che furono chiamati gli Atti dei martiri (1) ed essa vuole che, ove il Divino Ufficio è recitato in coro, nell’ora di Prima si legga il martirologio, considerato uno dei cinque libri liturgici, che racconta brevemente le gesta dei santi e dei martiri che saranno festeggiati il giorno dopo.
Difficile calcolare il numero dei martiri in questi 250 anni di persecuzioni, si può però affermare che esse erano estese praticamente su tutto il territorio dell’Impero romano e furono generali e violente almeno in 130 anni.
I cristiani erano considerati come nemici pubblici perché si rifiutavano di associarsi al culto nazionale, politeista. Si spargevano contro di essi le più terribili calunnie e ci si serviva di loro molto spesso per i giochi nel circo.
Le classi letterate, dirigenti, si inquietavano di veder diffondersi una religione che rifiutava gli onori divini all’imperatore e che predicava l’esistenza di un Dio di fronte al quale anche lui avrebbe dovuto inginocchiarsi come il più umile dei soggetti dell’impero.

Nel corso della storia
Ogni secolo ebbe le sue persecuzioni contro la Chiesa e quindi i suoi martiri.
Durante tutto il Medioevo gravava sulla cristianità la minaccia islamica. Molto spesso i prigionieri cristiani, presi durante le scorrerie sul Mediterraneo o fra i pellegrini in Terra Santa, venivano costretti a scegliere fra l’apostasia o la morte. Famosi sono gli 800 martiri di Otranto, tutti decapitati perché si erano rifiutati, per amore di Cristo, di abbracciare la fede di Maometto (2).
Durante la rivoluzione protestante numerosi cattolici furono uccisi per la loro fedeltà alla Chiesa (3). Ancor più ne furono massacrati in nome della libertà, durante la terribile Rivoluzione Francese (4).
Forse le più terribili persecuzioni, anche se meno conosciute, la Chiesa le subì il secolo scorso in Estremo Oriente.
In Vietnam, in Corea e in Cina il numero dei martiri – missionari, sacerdoti autoctoni, catechisti, fedeli; uomini, donne, vecchi e bambini – ha raggiunto forse la cifra di 200.000.
Nel centro di Parigi, Rue du Bac, si trova il Seminario delle Missioni straniere, fondato nel 1663 per formare dei missionari votati all’estremo Oriente. In quella che è chiamata la Sala dei Martiri (5) si possono contemplare delle reliquie preziose che ricordano la fede ardente dei missionari che non esitavano a dare la loro vita per diffondere il Vangelo.
Entrando il visitatore è subito attratto dai quadri, opera di pittori vietnamiti contemporanei e testimoni della sofferenza dei martiri. Conosciamo il nome di uno dei loro autori, Thu, del villaggio di Vinh-Tri, che lavorò per Mons. Retord, il grande vescovo dell’epoca delle persecuzioni. Il volto dei martiri esprime serenità, quello dei persecutori la crudeltà, mentre quello dei mandarini una fredda impassibilità.
Il quadro più crudelmente realista è quello che rappresenta il martirio del Beato Cornay. Due ufficiali di giustizia leggono la sentenza imperiale: il corpo del condannato sarà tagliato alle articolazioni di ogni membro, poi il tronco sezionato in lungo e in largo ed in seguito decapitato. Il mandarino che aveva forse più cuore del suo imperatore, fece applicare il verdetto cominciando dal taglio della testa.
Le maggiori testimonianze, come questi quadri, ci vengono dal Vietnam poiché era il paese dove vi erano più cristiani: diverse centinaia di migliaia. Fu là che le persecuzioni divennero più violente. Da cento a centocinquantamila martiri!
Il primo editto di persecuzione a oltranza dell’imperatore Minh-Mang risale al 1833. La quasi totalità dei cristiani vietnamiti apparteneva al popolo minuto da cui è venuta la reazione tipicamente popolare di raccogliere le reliquie dei martiri subito dopo le
esecuzioni, anche a costo di autodenunciarsi, così, come cristiani.
Nel 1838 Pierre Borie attendeva in prigione a Dong-Hoi la sentenza dell’imperatore. Quando il prefetto gli comunicò la decisione imperiale che lo condannava alla decapitazione disse: «Non mi sono mai prosternato che di fronte a Dio. Ma adesso chiedo di ringraziare il gran Mandarino per l’insigne favore che mi concede». Dare la vita per Gesù Cristo fu sempre l’ideale di ogni missionario ed egli vide così il suo sogno coronato.
Il povero uomo che fu designato per decapitarlo, poiché gli voleva bene come a un amico, per trovare il coraggio di eseguire l’ordine si ubriacò. Fu così che la testa cadde soltanto al settimo colpo di sciabola.
Fra le due finestre della sala dei martiri vi è un quadro ove sono iscritti i nomi di numerosi missionari delle Missioni Straniere morti di morte violenta dalla fondazione di questo istituto fino ai nostri giorni, il primo nel 1670. «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici» (Gv.15,13).
Martiri ancora più vicini alla nostra epoca si riscontrano nelle violente persecuzioni comuniste dal 1917, nei paesi vittime di questa ideologia della morte.
Durante la persecuzione messicana, dal 1926 al 1929, tantissimi furono i cristiani che furono giustiziati in nome dei principi massonici dello stato. Davanti al plotone di esecuzione, come lo fece padre Pro, manifestavano ancora la loro fede gridando: “Viva Cristo Re”.
Nella guerra civile in Spagna numerosissimi furono i cristiani chiamati a testimoniare la fede con il loro sangue.
Ancora oggi i cristiani sono perseguitati nei paesi mussulmani come in Iraq, in Nigeria oppure in Pakistan.
Quindi possiamo affermare che, se è vero che è impossibile calcolare con precisione il numero dei martiri cristiani nella storia, risulta evidente dalle testimonianze che esso è molto elevato.

Chi furono i martiri
Li ritroviamo in ogni condizione sociale: signori o servitori, ricchi o poveri, uomini o donne, bambini o vegliardi, nobili, soldati, filosofi, sapienti o incolti, tutti facevano a gara nell’ardore di confessare la fede in Gesù Cristo.
Ritroviamo dei Papi come S. Lino e S. Clemente; dei vescovi come S. Ignazio d’Antiochia e S. Ireneo; dei sacerdoti e dei diaconi come S. Lorenzo e S. Vincenzo; delle persone della famiglia imperiale: Flavio Clemente, Flavia Domitilla; dei letterati: S. Giustino e i medici Cosma e Damiano; dei soldati come S. Maurizio; delle ragazzine come S. Felicita e S. Lucia; dei bambini come S. Tarcisio, e dei vegliardi come S. Potino.
È molto importante tener conto della straordinaria consistenza di questo fenomeno.
Ciò che unisce persone così diverse è la fede in Gesù Cristo, giudicata più importante della vita stessa.
Queste migliaia di persone danno un esempio eccezionale di virtù, durante i supplizi.
Il loro comportamento in questi difficili frangenti è a dir poco straordinario.
I persecutori solevano spesso tormentare i cristiani con supplizi raffinati prima di finirli: «I loro corpi, martoriati a colpi di frusta, lasciavano vedere a nudo le vene e le arterie…» evoca una lettera della chiesa di Smirne.
Eusebio, nella sua Storia Ecclesiastica, racconta il martirio di S. Blandina e l’accanimento dei suoi persecutori: «I torturatori… dandosi il cambio dal mattino alla sera, avevano esaurito contro di lei ogni genere di supplizio: non sapendo più quale tormento immaginare si dichiararono vinti; non comprendevano come potesse restare la vita in un corpo martoriato e aperto da tutte le parti, poiché una sola di quelle torture era sufficiente per uccidere».
Il Padre F. Trochu, parlando dell’accanimento dei pagani vietnamiti contro i cristiani, racconta: «Hung si accanisce sui cristiani già esausti. Per essi inventa nuovi supplizi. Le tenaglie fredde o incandescenti sono le sue preferite: insegna ai torturatori quali sono le parti del corpo più sensibili…».
Fra i quadri della sala dei martiri del Seminario delle Missioni straniere quello che manifesta di più la crudeltà dei carnefici è senz’altro il dipinto che rappresenta il martirio del Beato Marchand. Secondo la sentenza imperiale il padre è condannato al supplizio delle cento piaghe che subì, secondo la testimonianza concorde dei presenti, con un coraggio sovraumano.
Alla crudeltà dei carnefici i martiri rispondono unanimemente con il coraggio, la pazienza, l’umiltà, il dominio di se stessi, la carità che li spingeva persino a perdonare ai loro persecutori e a pregare per essi. Non vi è traccia nel loro comportamento di disperazione, odio o semplicemente di lamento per l’ingiustizia subita, ma mostrano una calma ed una forza straordinaria.
La costanza di S. Blandina colpì particolarmente i suoi contemporanei e S. Eusebio scrisse: «La santa sembra somigliare ad una giovane atleta, rianima le sue forze nella confessione della fede: era per lei come un riposo, un sollievo e un dimenticare le proprie sofferenze, ogni volta che poteva pronunciare queste parole: “Sono Cristiana”. Fu così che Blandina rimase l’ultima nell’arena».
I martiri dell’Uganda, seguendo il racconto di M. André (6), si sono mostrati anch’essi pieni di forza e di virtù eroiche: «Quando i martiri giunsero a queste parole: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, i carnefici furono presi da spavento… sentendo che il perdono delle loro vittime poteva significare una maledizione dall’alto».
Il Beato Théophane Venard, sapendo che stava per giungere per lui l’ultima ora, scriveva al suo vescovo: «Ho la spada sospesa sulla testa ma non mi fa paura. Il Signore aiuta la mia debolezza: sono nella gioia. Quando la mia testa cadrà sotto l’ascia del carnefice, o Madre Immacolata, ricevete il vostro piccolo servo, come il grappolo di
uva matura che è staccato dalle cesoie, come una rosa sbocciata, colta in vostro onore» (7).
Tanta grandezza d’animo non cessa di stupire anche l’uomo più incredulo.
La causa del loro martirio è il loro attaccamento a una religione misteriosa nei suoi dogmi, austera nella sua morale: la religione di Gesù Cristo. Gli interrogatori, durante le persecuzioni dell’Impero romano, lo provano sovrabbondantemente: si chiede loro prima di tutto se sono cristiani, se credono in Gesù Cristo, poi, in seguito alla loro risposta affermativa, si ordina loro di sacrificare agli dèi dell’Impero; se si rifiutano è la condanna a morte.
Condannati per la loro fede esclusiva in Gesù Cristo, per il rifiuto di adorare altri dèi all’infuori di Lui.

Cosa caratterizza il martire?
Viviamo in un’epoca in cui si utilizza il termine “martire” in molti modi. È importante sapere cosa la Chiesa intenda esattamente con questa parola, da lei attribuita con un senso ben preciso. Martire proviene dal greco ed etimologicamente significa “testimone”. Il martire è colui che dà la testimonianza suprema, versando il suo sangue piuttosto che rinunciare alla fede in Gesù Cristo o al suo amore per Lui. Egli è ucciso in odio alla fede o alla morale cristiana ed accetta la morte, dando esempio di virtù eroiche nei supplizi e in particolare di una carità che lo spinge, sull’esempio di Gesù, al perdono dei propri nemici e carnefici.
Chi fosse ucciso in stato di rivolta contro la sua sorte non sarebbe un vero martire.
I cristiani che furono messi a morte in massa dai mussulmani fanatici in certe epoche non possono essere considerati tutti indistintamente come dei martiri, anche se furono uccisi in odio alla fede cattolica. Occorre verificare che siano andati incontro alla morte volontariamente, coscientemente e di buon cuore.
Il martire poi accetta di essere ucciso non per una ricerca della sofferenza in se stessa, ma per conservare la fede in Gesù Cristo quando l’accettazione della morte ne diviene l’unico mezzo.
Di fronte all’alternativa dell’apostasia o di soffrire e morire piuttosto che rinnegare Gesù, il martire non ha esitazioni.
Il soldato che cade in battaglia per difendere la Patria dal nemico è un valoroso, può essere un eroe, ma non un martire. Coloro che muoiono per la loro dedizione al lavoro o per altri nobili motivi possono essere presi ad esempio per certe virtù che hanno praticato, ma non si possono considerare dei martiri nel vero senso della parola. Il vero martire è ucciso in odio alla fede e per il suo attaccamento alla fede.
Infine il martire dà prova di virtù eroiche nei supplizi e nella morte, fino a perdonare ai propri nemici.
Vi è quindi una differenza abissale fra il martire cristiano ed il fanatico di una qualsiasi religione o setta che si uccide per sgominare i nemici, con l’odio nel cuore. Egli sull’esempio di Gesù ripete le parole: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Il Labèrthonniere, nel suo libro “Le témoignage des martyres” (8), riassume egregiamente questi concetti: «Per essere martiri non è sufficiente essere vittime e subire violenze. Non è soffrire ed affrontare il pericolo che conta, ma la maniera con cui lo si fa. Si è martiri per la disposizione che si manifesta; è dall’anima che ciò dipende, non dal corpo; morire con l’odio nel cuore ed il disprezzo, bestemmiando, o per sfidare gli uomini o più semplicemente per orgoglio o vanagloria, qualunque sia la causa che il campione si propone di difendere, non lo si può considerare martire. Così facendo infatti si testimonia soltanto se stessi, concentrandosi sulla propria misera individualità. Morire invece perdonando ai propri carnefici, aspirando di mostrare loro per la propria morte la luce di cui si è illuminati interiormente, non soltanto senza collera e senza odio, ma con dolcezza e amore, non per farsi vedere dagli uomini, ma per mostrare loro Dio, in questo consiste veramente essere martiri. Allora per la morte accettata, per il sacrificio che si fa serenamente della propria individualità temporale, si testimonia una realtà indefettibile nella quale si è assicurati che l’essere e la vita non mancheranno. Si passa attraverso l’odio, si passa attraverso la morte dominandoli e, malgrado loro e al di sopra di essi, si affermano l’amore e la vita».

La spiegazione
Come spiegare che degli uomini di carne ed ossa come tutti gli altri abbiano potuto avere una simile forza e manifestare delle disposizioni così elevate in momenti così terribili?
Questo modo di agire non corrisponde alla maniera di comportarsi degli uomini in generale.
La natura umana infatti rifugge la sofferenza. Qual è l’uomo capace di dar prova di una pazienza prolungata e gioiosa di fronte ai supplizi più crudeli, come hanno fatto i martiri?
Un uomo normalmente è incapace di sopportare la sofferenza portata fino al parossismo, per dei motivi puramente soprannaturali e quindi invisibili e non sensibili, mentre gli si promettono tutti i vantaggi materiali possibili se si piega al volere dei carnefici.
Un tale eroismo non è naturale all’uomo. La debolezza naturale dell’uomo spinge a far passare, prima degli interessi di ordine superiore, la difesa dei beni materiali e della vita. L’eroe che la sacrifica per il bene comune è l’eccezione ed anche in questo caso non si riscontrano tutte le caratteristiche che invece determinano il martire.
Ma se un tale eroismo non è naturale all’uomo, come spiegare che i martiri, uomini in carne ed ossa come gli altri, lo hanno dimostrato? Essi costituiscono un’eccezione considerevole alla legge naturale, considerato il loro grande numero.
Se la loro costanza non si può spiegare con le leggi ordinarie del comportamento umano, l’unica spiegazione rimane quindi quella di un intervento di Dio che sostiene questi guerrieri nella loro battaglia. Egli dà la forza a bambini come a vegliardi, a giovani, uomini, donne di ogni casta sociale, cultura e razza di testimoniare con il sangue la loro fede in Gesù Cristo e nella Chiesa Cattolica.
Gli stessi martiri affermavano – come ci rapportano spesso gli atti del loro martirio – che Dio li sosteneva nei loro
sforzi e questa certezza dava loro il coraggio di restare fermi nella fede. S. Felicita rispondeva ai carcerieri che si prendevano gioco di lei per i suoi lamenti durante le doglie del parto, in attesa di essere data in pasto alle belve: «Adesso sono io sola che soffro, laggiù di fronte alle bestie feroci un Altro sarà in me che soffrirà per me» (9).
Un tale comportamento sorpassa il modo normale di agire della volontà dell’uomo e costituisce quindi un fatto miracoloso, nell’ordine morale. Esso è reso possibile soltanto dall’aiuto di Dio che sostiene e fortifica i suoi fedeli servitori.
D’altra parte Gesù lo aveva preannunciato: «Guardatevi dagli uomini, perché essi vi faranno comparire davanti ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti per causa mia davanti ai governatori e ai re per rendermi testimonianza davanti a loro e davanti ai gentili» (Mt. 10,17-18).
«Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi» (Gv. 15,20).
«Riceverete forza dallo Spirito Santo, quando verrà su di voi; e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria, e fino alle estremità della terra» (At.1,8).

La forza apologetica di questo fatto
Questo miracolo prova la divinità del cristianesimo e del suo fondatore poiché i martiri sono uccisi a causa della fede in Gesù Cristo e nella Chiesa da Lui fondata. Essi accettano di morire per conservare e testimoniare con il loro esempio questa fede, e Dio compie un miracolo, concedendo loro una forza soprannaturale per esercitate le virtù in maniera eroica. Egli conferma così che la fede testimoniata dai martiri in maniera così straordinaria è quella da Lui rivelata, l’unica vera.
La testimonianza fino al sangue del martire in favore della religione cattolica non sarebbe possibile – in maniera generale e costante nella storia – senza un aiuto tutto particolare di Dio che così la conferma, la marchia con il suo sigillo e la fa sua.
Le centinaia di migliaia di martiri nella storia cristiana sono così una prova straordinaria della divinità di Gesù Cristo e della sua Chiesa.
Gli stessi carnefici erano talmente colpiti dal coraggio e dalla costanza dei martiri che vi riconoscevano un intervento divino, e questo ne provocava a volte la conversione. La rapida conversione dell’Impero Romano alla religione cristiana manifesta la forza soprannaturale di questa testimonianza.
Preziosa è a questo proposito l’affermazione di Tertulliano: «Molti uomini, colpiti dalla nostra coraggiosa costanza, hanno ricercato la causa di una pazienza così ammirevole; appena hanno conosciuto la verità sono diventati dei nostri ed hanno marciato con noi» (10). Il sangue dei martiri è veramente un seme che germoglia in altri cristiani.

Esistono dei martiri nelle altre religioni?
Qualcuno potrebbe obiettare che esistono dei martiri anche nelle altre religioni: i mussulmani che muoiono nelle operazioni kamikaze al grido di Allah, i bonzi che si appiccavano fuoco in Tibet per protestare contro il comunismo, ecc.
In seguito alla nostre considerazioni si può dedurre come nessuno di questi casi rientri nella definizione di martire. Non è infatti il fatto di morire per un’idea che ne determina la qualità.
I martiri non sono testimoni di opinioni personali ma di un fatto, storicamente provato. Gli uni hanno visto nascere
sotto i loro occhi il Cristianesimo, hanno conosciuto personalmente Gesù, hanno assistito alla sua vita e alla sua morte e alla sua resurrezione. Si tratta degli Apostoli e dei discepoli immediati del Salvatore. Di fronte a questi uomini che sfidano tutti i pericoli, accettano tutte le privazioni e tutte le fatiche per affermare i fatti straordinari che hanno visto con i loro occhi e che infine muoiono per attestare la loro fede, non è possibile dubitare della loro
testimonianza sigillata con il sangue. Nessuno dà la vita per difendere le proprie menzogne. È in questo senso che Pascal affermava: «Io credo soltanto alle storie i cui i testimoni si farebbero sgozzare».
Tutti gli altri martiri nel corso dei secoli hanno creduto a questa testimonianza irrecusabile dei primi cristiani, sigillata con il loro sangue, sulla divinità di Gesù Cristo e della sua dottrina non esitando a testimoniare anch’essi fino alla morte la loro fede. Ciò faceva dire a De Bonald: «Niente di simile si è mai visto nella religione idolatra, né in alcuna setta… non si è mai udito dire di nessuno che sia morto per attestare che aveva visto le metamorfosi di Giove, le conversazioni di Maometto con l’Arcangelo Gabriele, o le dispute di Lutero con il diavolo» (Teoria del Potere, L.6, cap.4).
Occorre poi considerare che, anche fra coloro che hanno il coraggio di morire per proprie convinzioni personali, non vi è nessuno che presenta questa costanza nelle virtù che si trova invece fra i martiri cristiani.
Accettare le sofferenze e la morte con pazienza, senza rivoltarsi, senza odiare i propri persecutori, ma al contrario giungere fino a perdonarli e a pregare per loro: questa è un’opera soprannaturale di cui solo Dio può essere autore. Ecco perché la ritroviamo solo nell’unica religione da Lui fondata, come segno della sua origine divina.
Qualche caso nella storia di un certo eroismo naturale non potrà mai essere paragonato all’esempio delle virtù soprannaturali dei martiri. Molto spesso in essi si riscontra l’orgoglio, l’odio per i persecutori; cose del tutto estranee al comportamento del martire cristiano.
Inoltre qualche evento sporadico nella storia non costituirebbe una eccezione abbastanza considerevole alle leggi della natura per poter parlare di miracolo. Questi casi costituiscono appunto l’eccezione e non sono paragonabili alle centinaia di migliaia di martiri cristiani nella storia.
Il canonico Boulanger, approfondendo questo argomento affermava: «Non è in qualche caso isolato che lo vediamo, ma in una moltitudine di uomini, donne, bambini, vegliardi che affrontano le più terribili torture, che sopportano il dolore senza emettere un lamento e senza pronunciare una parola di disappunto. No, mai nessuna religione ha dato tante note di virilità e manifestato un eroismo così puro, così universale, così perseverante. Questo ci è sufficiente per affermare che Dio era con la religione cristiana e i suoi martiri».
Di fatto quindi non vi sono veri martiri nelle false religioni. Del resto questo sarebbe impossibile poiché il martire è appunto un testimone. Testimonia che la fede per la quale è ucciso è l’unica vera, tramite una forza ed un eroismo e delle virtù superiori alla capacità umana che solo Dio può dare e che gli concede per manifestare la divinità della religione cattolica per la quale dà la vita (11).
Concludiamo con le parole del Canonico Buysse che riassumono le nostre affermazioni: «Un tale eroismo non è naturale all’uomo, non esiste abitualmente. Però i martiri lo hanno praticato. Con una parola, un gesto, a volte anche con una finzione avrebbero potuto ad ogni istante far cadere l’accusa, riportare la sentenza e far cessare le loro torture. Invece no. Durante tutto il corso della storia abbiamo visto uomini, donne, bambini, a migliaia, di ogni paese, di ogni condizione sociale, di ogni etnia, in circostanze terribili, subire tormenti e l’ultimo supplizio con una virtù irrealizzabile altrove. Detengono un vero monopolio. Si distinguono dal resto dell’umanità. Perché? Disponevano forse di risorse morali eccezionali? Di una natura eminente, superiormente intelligente, di un cuore forte? La loro diversità stessa esclude questa ipotesi. Come poter spiegare in questo caso la loro umiltà, le precauzioni che prendono per essere fedeli, la preoccupazione di tenere le loro mani e i loro occhi verso il cielo? Questo prova che i nostri eroi avevano una natura come la nostra. I martiri affermavano che Dio li sosteneva per mezzo di Gesù Cristo. Le loro risposte calme ed umili di fronte ai tribunali ricordano quelle di Gesù. Accusati e calunniati, i martiri, con la loro dignità fanno pensare alla scena del Pretorio I pensieri di Cristo si ritrovano in tutti i martiri nel corso dei secoli; le sue parole si ritrovano sulle loro labbra» (12). Se la loro preghiera sale verso Gesù Cristo, invisibile agli occhi della carne – scrive il P. de Poulpiquet – è perché lo vedono con gli occhi della fede, seduto alla destra di Dio, e lo riconoscono capace di elevarli, con la sua grazia divina, al di sopra della natura. Occorre concludere quindi ad un intervento divino in favore dei martiri e ammettere che la loro costanza manifesta un vero miracolo, un miracolo morale.
In questo tempo di crisi nella Chiesa, ove si riconoscono valori di salvezza nelle false religioni (13) e la Chiesa Cattolica non è più considerata come la sola arca capace di salvare le nostre anime dal naufragio eterno; ove si promuovono incontri interreligiosi in cui i rappresentanti di false religioni sono invitati a pregare i loro falsi dei (14), i martiri ci insegnano che non si scherza con la fede. Essi non esitavano a scegliere la morte piuttosto che bruciare qualche granello di incenso agli idoli, pronti a sacrificare la vita del corpo piuttosto che perdere quella dell’anima, poiché Gesù è l’unico Salvatore, soltanto la fede in Lui può dare la vita eterna.
Sull’esempio dei martiri dobbiamo essere pronti anche noi a difendere la fede.
Il sacramento della Cresima, che ci fa soldati di Cristo, ce ne dà la forza, e la testimonianza di migliaia di martiri cristiani ci sprona al coraggio ed alla fedeltà, nella certezza che se Dio ci chiamerà alla testimonianza suprema, saprà certamente darci, come ha fatto con loro, la forza necessaria per fortificare la debolezza della nostra natura.


Note:

  1. Gli Atti dei martiri (lat. Acta martyrum) sono, in senso stretto, i resoconti ufficiali dei processi dei primi martiri cristiani redatti dai notai della corte. In senso più ampio designano i racconti dei processi e delle morti dei martiri fatti da testimoni oculari.
  2. Beati martiri di Otranto sono gli 800 abitanti della città salentina uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi guidati da Gedik Ahmed Pasha, per aver rifiutato la conversione all’Islam dopo la caduta della loro città. La tradizione tramanda che il corpo di Antonio Primaldo, dopo la decapitazione, stette ritto in piedi, a dispetto degli sforzi dei carnefici per abbatterlo, sin quando l’ultimo degli otrantini non fu martirizzato. Durante quel massacro le cronache raccontano che un turco, tal Bersabei, si convertì nel vedere il modo in cui gli otrantini morivano per la loro fede e subì anche lui il martirio, impalato dai suoi stessi compagni d’arme.
  3. Le protestantisme assassin. http://eldelaterre.fr/ product_info.php?products_id=268
  4. Reynald Secher Il Genocidio vandeano, ed. Effedieffe, 1989
  5. http://archives.mepasie.org/annales-des-missionsetrangeres/la-salle-des-martyrs6.Texier, Précis d’Apologétique, p. 241
  6. Op. cit. p. 243
  7. Ed Bloud et Gay, p. 38, 39
  8. Atti di S. Felicita e Perpetua
  9. Tertulliano, Ad Scapulam, 5
  10. Un caso particolare è quello di un membro in buona fede di una setta cristiana, ucciso per la fede in Gesù Cristo. Se la sua morte presenta tutte le caratteristiche del martirio questo può essere possibile soltanto se tale fatto soprannaturale non è in relazione con gli errori della setta a cui appartiene, ma alla fede nella divinità di Gesù Cristo in cui crede e a cui non vuol rinunciare anche se deve pagare il prezzo della vita. Dio infatti non potrebbe mai confermare con un sigillo soprannaturale degli errori dottrinali o false religioni. In questo caso il martire, pur non appartenendo al corpo visibile della Chiesa, ne appartiene all’anima. Questo caso è in sé possibile ma difficilmente verificabile, poiché la buona fede riguarda il foro interno e soltanto Dio ne è giudice.
  11. Vers la foi catholique: L’Eglise de Jésus, p. 12. 114-119, ed. Desclée , de Brouwe et cie. Citato in Texier, Précis d’Apologétique, p. 234-235.
  12. Vedere per esempio le dichiarazioni del Concilio Vaticano II Unitatis redintegratio n° 3, Nostra aetate n° 2 e la costituzione Lumen Gentium n° 8.
  13. Come per esempio nelle riunioni interreligiose di Assisi, inaugurate da Giovanni Paolo II il 30 ott. 86.