Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, Trionfo dei Santi dell’Ordine di San Francesco, 1707, Basilica dei Santi XII Apostoli, Roma
da La Tradizione Cattolica Anno XXVI – n°2 (95) – 2015
di don Gabriele D’Avino FSSPX
Cosa vuol dire «santo»? E perché si utilizza quest’espressione quando ci si riferisce alla Chiesa, nonostante il gran numero di peccati e di peccatori? Ora, non solo è corretto parlare di «santità della Chiesa», ma in realtà anche doveroso e necessario: senza quest’attributo, la Chiesa romana perderebbe ogni credibilità.
Prologo
La sfrontatezza di un cristiano che nel XXI secolo, nell’era di Internet, dei social network, della liberalizzazione della modernissima teoria del gender, crede ancora di poter fare affidamento su un messaggio salvifico che conduca nientedimeno che alla vita eterna nel godimento senza fine di un Dio increato – la sfrontatezza di un simile individuo, dico, sarebbe follia pura se non si appoggiasse su un solido fondamento che renda credibile la predicazione di tale messaggio salvifico. Vogliamo dire che, nell’era della Modernità e dell’Empirismo, e del conseguente rifiuto del soprannaturale, pazzo sarebbe chi si affidasse all’insegnamento della Chiesa Cattolica Romana se non vi fossero seri motivi di credibilità per farlo.
Uno di questi motivi di credibilità è il fatto che la Chiesa di Roma sia santa, ancora oggi nel 2015, nonostante due millenni di crisi, persecuzioni, scismi, errori, peccati e, aggiungiamo, nonostante l’odierna crisi che sembra intaccare i suoi stessi principi. Una società che presenti una simile caratteristica, una nota visibile di indiscutibile santità, è certamente una società di origine divina, ed è certamente la società fondata da Nostro Signore Gesù Cristo.
La nozione di santità
«Santo», dal greco «αγιος», dà l’idea di «puro» («α−γιος» come «senza-terra», non mescolato a cose volgari) [1]. La corrispondente parola latina sanctum sarebbe una contrazione di sanguine tinctum, «bagnato nel sangue», che avrebbe dato luogo prima all’espressione sancitum; il tutto dà l’idea di una situazione stabile, di appartenenza definitiva, in origine significata dall’aspersione di sangue «sanzionata» dalla legge.
La santità, nel senso proprio del termine, consiste in una certa unione a Dio, ed è propria degli esseri dotati di ragione che, elevati dalla grazia all’ordine soprannaturale, giungono a far brillare in loro quest’intima unione tramite gli atti di virtù teologale di Fede, Speranza e Carità, ed indirettamente anche tramite le virtù morali. Vi sono nella santità dei gradi infiniti, ma è possibile (ed è il compito della Chiesa nelle canonizzazioni) riscontrare un grado ordinario ed uno straordinario di santità, che verrà perciò chiamato eroico.
Una società santa
Abbiamo detto che l’aggettivo «santo” è proprio di un essere umano che ha raggiunto una certa unione con Dio; come molti concetti che in filosofia si dicono analoghi, l’aggettivo in questione può essere attribuito ad altre realtà che ne siano ad esempio l’espressione verbale: ed allora avremo «un discorso santo»; realtà che ne siano la causa:
i sacramenti sono in questo senso «santi»; sia ancora realtà che ne siano il segno: un calice da Messa o una pisside («vasi sacri») sono strumenti utilizzati da chi è unito a Dio, i paramenti «sacri» rappresentano la santità dei ministri dell’altare, e così via.
Quando si parla invece della santità di una società si possono intendere due cose distinte: la santità dei principi e la santità dei membri. La prima fa riferimento all’influenza attiva della società in questione sui suoi componenti, influenza che si esercita tramite le sue regole o la trasmissione di un insegnamento; la seconda è precisamente non tanto il fatto constatato dell’unione effettiva a Dio di tutti i membri di una società (e nemmeno necessariamente della maggior parte di essi), ma il fatto che i membri santi di una tale società siano tali a causa dei principi in essa presenti. In altre parole, in questo secondo senso, una società è santa quando è causa di santità di alcuni suoi membri [2].
Senza dubbio, è possibile (anche se si tratta di un caso astratto, non facilmente verificabile nella realtà) che si trovino delle persone sante in una società i cui principi non siano santi; in questo caso allora diremo che tali persone sono sante accidentalmente, cioè in ragione di una speciale protezione divina e nonostante l’assenza di principi santi nella loro società. Ma allora questa società non presenterà la santità come nota di credibilità del suo insegnamento poiché, per ’appunto, i santi che vi si trovano sono tali per delle cause ad essa estrinseche.
Quanto alla santità dei membri, invece, perché si possa parlare di nota positiva di santità è sufficiente anche un piccolissimo numero di persone che dimostrino il loro carattere di unione a Dio vissuto in maniera eroica, delle quali si possa affermare con certezza che questo loro grado eroico di unione a Dio deriva direttamente dai principi professati in tale società.
C’è infatti da notare che la santità eroica è una cosa difficile e rara, e che, benché conseguenza diretta di principi santi, soltanto poche volte riesce a manifestarsi nei membri della società soprannaturale, tenuto conto della natura umana ferita dal peccato originale. Allora poco importa che all’interno di una religione alcuni membri siano peccatori, che ce ne siano molti e che ve ne si trovino anche tra i ministri di tale religione: se, per altro, vi si trovano degli autentici santi nel senso sopra descritto, che facciano cioè derivare la loro santità dai principi di tale religione, quest’ultima sarà credibile e degna di fede a causa della capacità di portare le anime all’unione con Dio. Bisognerà quindi dimostrare: in primo luogo, che la Chiesa fondata da Gesù Cristo possiede questa nota di santità per espresso volere del suo Fondatore; in secondo luogo, che la Chiesa Cattolica Romana è la sola a possedere questa santità, e che di conseguenza è Essa soltanto l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo al di fuori della quale non ci può essere vera santità, e quindi neanche la salvezza eterna.
Continua …
NOTE
[1] San Tommaso, Somma Teologica, IIa IIae, Q. 81, a. 8.
[2] L. Billot, «L’Église, sa divine institution et ses notes», Courrier de Rome, Paris 2011, pag. 220, n° 247.