(Testo di anonimo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso)
Prima parte: https://www.radiospada.org/2020/11/pio-xi-alpinista-vero-prima-parte/
CERVINO (4478 m. s.l.m. 6 agosto 1889)
La salita lungo la parete est del Monte Rosa è, come detto, l’impresa alpinisticamente più significativa e tecnicamente più impegnativa di Achille Ratti, ma la carriera alpinistica del futuro Pontefice continua alla ricerca di nuove mete.
Infatti, il 1° agosto 1889, don Ratti, don Grasselli e le loro guide sono a Zermatt, località dove la vista ed il richiamo del Cervino, “il più nobile scoglio d’Europa” secondo la famosa definizione di John Ruskin, non lascia certo indifferente don Ratti ed i suoi compagni.
Il gruppo si riposa qualche giorno e prepara la nuova ascensione. Ci si potrebbe chiedere dove don Ratti – in tutto questo saliscendi e con programmi d’escursione che imponevano particolari orari da rispettare – trovasse tempo e luogo per ciò che è più importante: dire Messa. Considerando che all’epoca non era prevista la celebrazione in ora vespertina e che per celebrare all’aperto era necessario uno speciale indulto papale (che successivamente Pio XI concederà alle organizzazioni alpinistiche cattoliche, di cui si parlerà più avanti), si potrebbe ipotizzare che egli e don Grasselli avessero con sè tutto il necessario, magari per celebrare in rifugio prima di iniziare l’ascesa, considerando anche le condizioni spesso proibitive della vetta. Tutto questo però non è attestato e fa parte del personale bagaglio del prete-alpinista. È invece attestato (F. Cajani, F. Pagani, Achille Ratti Cronologia 1857-1922, i Quaderni della Brianza)* che il 4 agosto (quell’anno VIII domenica dopo Pentecoste),nella chiesa parrocchiale di S. Maurizio a Zermatt, don Ratti, assistito da don Grasselli e dal parroco, celebrò la S. Messa solenne. Successivamente assoldò per l’ascensione al Cervino la guida di Valtournanche Francesco Bich.
Questa volta, infatti, la comitiva era composta dalle guide Gadin e Proment, da Bich e da don Ratti. Il solo don Grasselli non se l’era sentita di affrontare la scalata, forse anche per la stanchezza accumulata nei giorni precedenti (non si deve dimenticare che don Grasselli era maggiore di dieci anni di don Ratti).
Il programma per conquistare il Cervino risultava a dir poco sorprendente.
Ancora una volta occorre rifarsi agli Scrittidi don Ratti dove si legge: “fu stabilito che verso la mezzanotte saremmo ripartiti per il Cervino andando direttamente in vetta, senza pernottare alla capanna. Era un esperimento di qualche interesse: e, se non altro, avremmo eseguito l’ascensione a modo nostro e fuor di zibaldone“.
Dunque, salita diretta al Cervino da Zermatt: una vera impresa, considerando che solo pochi giorni prima era stata portata a termine l’ascesa al Monte Rosa.
Partiti alla mezzanotte del 6 agosto, alle quattro sono alla capanna dell’Hornli dove sostano un poco per riprendere la salita, che prosegue senza intoppi e la vetta fu raggiunta dopo circa sedici ore di scalata; anche in questo caso un esempio di tenacia e di preparazione fisica e mentale invidiabili.
Il momento dell’arrivo in vetta è così ricordato negli Scritti: “Finalmente verso le quattro o le quattro e mezza pomeridiane eravamo sulla cima. Il sole versava declinando i suoi ultimi splendori sul grandioso, indescrivibile panorama: non dimenticherò più la spaventevole bellezza degli abissi che si sprofondano a picco sotto la vetta dalla parte di Valtournanche...
Ma intanto il sole volgeva decisamente al tramonto, ed una brezza freddissima ci fè pensare alla discesa“
E così, dopo il Monte Rosa anche il Cervino (metri 4478 sul livello del mare) era conquistato.
Data l’ora tarda, la cordata si preparò anche in questo caso al bivacco, poco sotto la cosiddetta “Spalla” del Cervino.
Il momento è così descritto nella relazione di questa salita: “Il tempo era sempre magnifico e ci rassegnammo a passare la notte là dove eravamo, senza pena e, oso dire, con largo compenso. La configurazione singolare del Cervino, l’isolamento perfetto in cui si slancia quel suo gigantesco aereo picco, la varia fisionomia del sottostante panorama mi fecero sembrare quella notte, per certi rispetti, ancora più stupenda di quella passata una settimana prima sulla vetta del Monte Rosa“.
La mattina seguente, giunti alla capanna dell’Hornli, hanno la gradita sorpresa di incontrare don Grasselli che, da solo, era andato loro incontro.
Il 9 agosto il gruppo attraversava il colle del Teodulo per scendere a Valtournanche e, il 10 agosto, alle 17.30, i due sacerdoti erano davanti al Duomo di Milano. Che dire, per don Ratti una campagna alpinistica breve ma assai intensa e di grande spessore quella dell’estate del 1889.
MONTE BIANCO (4808 m. s.l.m. 31 luglio 1890)
Veniva però il tempo del tetto d’Europa. Dopo la felice stagione dell’anno 1889, l’attività alpinistica del futuro Pio XI era tutt’altro che conclusa e l’interesse di Achille Ratti si rivolse quindi al Monte Bianco.
La sera del 27 luglio 1890, don Ratti e don Grasselli sono a Courmayeur dove incontrano le fidate guide Gadin e Proment. Oltre un secolo dopo la prima ascensione al Monte Bianco dal versante francese del 1786, il problema non era tanto quello di trovare un itinerario da Courmayeur, quanto scoprire una via tutta italiana.
Dopo due salite di allenamento al Crammont il 28 luglio ed al colle del Gigante il giorno successivo, il 30 luglio 1890, intorno alle otto del mattino, la cordata – alla quale si era aggiunto don Giovanni Bonin, vicario di Prè St.Didier – partì alla volta del rifugio Sella, ancora oggi uno dei rifugi più isolati del massiccio, dove giungono nel pomeriggio.
La mattina dopo, 31 luglio, con un tempo splendido, alle ore quattro antimeridiane, la cordata si mette in marcia e circa a mezzogiorno giunge in vetta al Monte Bianco (4 808 m. s.l.m.).
In vetta, come ricorda don Ratti negli Scritti, brindarono: “con dell’Asti spumante, lassù veramente impagabile, che fece egregiamente le veci dello sciampagna“. Non si poteva non festeggiare la conquista della cima più alta d’Europa.
Al momento del ritorno, una fitta nebbia sconsigliò di intraprendere la discesa verso Courmayeur lungo ghiacciai molto crepacciati. Come si può notare, in questa come in altre occasioni, la prudenza fu uno dei punti di forza dell’andare in montagna di don Ratti e dei suoi compagni, e proprio la prudenza fece si che la discesa si svolgesse lungo il meno impegnativo versante francese, giungendo al rifugio Vallot.
La mattina del 1° agosto 1890 lasciano il rifugio e oltrepassano il Dome e scendono fino al colle di Bionassay. Da questo punto, invece di seguire l’itinerario lungo i contrafforti delle Aiguilles Grises, tengono la sinistra e giungono a Courmayeur verso le 17.
Come si vede, il futuro Papa ha lasciato una traccia duratura anche nel massiccio del Monte Bianco aprendo, in discesa e con la variante descritta, quella che sarà destinata a diventare col tempo la via normale di salita dal versante italiano, lungo il ramo occidentale del ghiacciaio del Dome, ancora oggi ricordata come “via del Papa”o “via Ratti – Grasselli”.
Con la salita al Monte Bianco si può dire concluso il momento d’oro di don Ratti alpinista, segnato dal trittico assai significativo e di alto livello Monte Rosa, Cervino e Monte Bianco.
A ricordo delle grandi imprese del futuro Pio XI, due vette, una sulle Alpi e l’altra sugli Appennini, portano il suo augusto nome. La prima, Punta Ratti, si trova in Valle d’Aosta e fu scalata, in solitaria, il 4 giugno 1922 dall’Abate Henry, che la volle dedicare al Pontefice da poco eletto; la seconda è il Picco Pio XI, massima elevazione della cresta NNE del Pizzo d’Intermesoli (gruppo del Gran Sasso d’Italia), in provincia di Teramo.
Achille Ratti terminò, come detto, la propria carriera alpinistica con l’ultima ascesa alla Grigna Settentrionale. Era il 1913, l’anno prima di essere promosso Prefetto della Biblioteca Vaticana, sei anni prima di essere consacrato Vescovo, otto prima di essere creato Cardinale e nove prima di ascendere al Sommo Pontificato con il nome di Pio XI.
Tuttavia, pur accettando di interrompere questa attività per la grande consapevolezza e gli impegni del proprio ruolo, sia da Cardinale che poi da Papa, Achille Ratti non dimenticò mai la montagna ed i suoi uomini. Infatti, nel 1921, anno in cui fu nominato Arcivescovo di Milano e creato Cardinale, venne annoverato tra i soci onorari della neonata Sezione C.A.I. di Desio. Solo sei mesi dopo la sua ascesa alla Cattedra che fu dei Santi Ambrogio e Carlo, dopo la morte di Benedetto XV, Achille Ratti fu esaltato al Sommo Pontificato.
È interessante ricordare come il prestigioso Alpine Club britannico lo avevesse inserito, subito dopo la sua elezione, nella rosa dei soci onorari. Pio XI, ben conscio della suprema dignità del Pontificato, declinò l’offerta ma, senza alterigia, assicurò con una lettera dell’allora Cardinale Segretario di Stato Gasparri, il ringraziamento per un così “delicato e cortese pensiero“ che aveva suscitato nel Pontefice il ricordo dei “bei tempi passati“. Pio XI era ora pronto ad ascendere ad altre vette ben più alte, in difesa del matrimonio cristiano, contro le derive ecumeniste, contro fascismo, nazionalsocialismo, comunismo e liberalismo e consacrando la Regalità sociale di Cristo con il proprio magistero infallibile. Tutto ciò, con l’aiuto di Dio, era possibile evidentemente solo ad un “Papa alpinista, immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue”(Pio XI,Allocuzione ai professori ed agli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano, 13 febbraio 1929).
Infine, la figura di don Achille Ratti, sacerdote e alpinista, non è un caso isolato, ma si innesta in quel filone della storia dell’alpinismo e dell’esplorazione delle montagne che vide, spesso come protagonisti, esponenti del clero. Tra i chierici che hanno contribuito – praticamente su tutto l’arco alpino – a gettare le basi della nascente attività alpinistica, si possono ricordare: l’abate Gorret, che fece parte della prima cordata che salì il Cervino dal versante italiano, don Giovanni Gnifetti, parroco di Alagna Valsesia, che operando molto sul gruppo del Monte Rosa, raggiunse per la prima volta la Signalkuppe (con i suoi 4559 m. s.l.m. quarta vetta del Rosa), da allora rinominata Punta Gnifetti. Ancora, l’abate Henry, alpinista e scrittore e l’abate Stoppani, geologo e primo Presidente della Sezione di Milano del C.A.I., solo per citarne alcuni. Nacquero poi (come si può comprendere dagli archivi*), negli stessi anni delle imprese di don Achille Ratti e durante il suo pontificato, numerosi club e associazioni di alpinisti cattolici. Per i cattolici, infatti, divenne centrale il progetto di costituzione di un “Club alpino cattolico”, ormai urgente dopo la nascita dell’ALFA (Associazione Libertas Fascio Alpinisti) e dell’UGET (Unione Giovani Escursionisti Torinesi) che rischiavano di lasciare al laicismo il controllo del movimento escursionistico. Nacque così, nel maggio del 1914, nei palazzi dell’Arcivescovado di Torino, la “Giovane Montagna” che di lì a poco divenne la più importante organizzazione alpinistica cattolica italiana. Fondatori furono dodici amici, i cosiddetti “dodici apostoli ”, tutti provenienti dalle fila dell’Unione del Coraggio Cattolico, fondata nel 1878 da S. Leonardo Murialdo. Nel 1920, a Milano nacque anche un’associazione gemella, dalle finalità identiche alla “Giovane Montagna” ma di “rito ambrosiano”, come si ironizzava negli ambienti cattolici, la F.A.L.C. (Ferant Alpes Laetitiam Cordibus), animata da Francesco Mauro e presieduta proprio dal Cardinale Ratti, ancora Arcivescovo di Milano, ma prossimo al Soglio pontificio. Organizzazioni di questo tipo, quindi, nacquero e si svilupparono in primo luogo per un’esigenza concreta: la possibilità di conciliare la Messa domenicale con la passione della montagna (“quelli della Messa al sacco”, li definivano i detrattori). Una Messa a valle prima di partire, oppure all’ultima cappelletta di montagna dove il parroco del paese avrebbe officiato per gli escursionisti, o, meglio ancora, una Messa in alta montagna, con un sacerdote al seguito, ottenendo dal Pontefice l’autorizzazione alla celebrazione all’aperto. Accanto a questa finalità pratica e tanto essenziale come la Messa, la “Giovane Montagna” e le altre organizzazioni furono anche il luogo di definizione e di aggregazione di quell’alpinismo cristiano ben distinto, negli ideali (pienamente cattolici) e nella pratica (poichè meno acrobatico e temerario) da quello laico. Il laicismo, infatti, si era introdotto ormai dappertutto e stava per raggiungere anche il mondo degli alpinisti.G Un gran numero di ferventi della montagna, “dans cette frénésie sportive très moderne” (abbè Bernard Secret), non si curava più di Dio. Da qui l’importanza di un alpinismo cristiano, un alpinismo che non era un fine ma un mezzo per ribadire l’importanza di riconoscere – in privato e in pubblico – la Regalità sociale di Cristo (si pensi che la “Quas primas” di Pio XI è del ‘25). Un alpinismo nobile d’animo concepito come mezzo per il Fine.
Giungiamo ora alla conclusione di questo spaccato dell’attività in montagna, della forte personalità e della fede di colui che sarebbe diventato Pontefice, nonchè dell’alpinismo cattolico italiano, con le parole contenute nella lettera “Quod Sancti”del 20 agosto 1923, indirizzata da Pio XI al Vescovo di Annecy in occasione della proclamazione di S. Bernardo di Mentone (fondatore dei Canonici Regolari del Gran San Bernardo, cui era affidata l’accoglienza, la guida e il soccorso dei viaggiatori che valicavano il colle del Gran S. Bernardo e altri passi alpini, avvalendosi dell’ausilio di grossi cani (i “S. Bernardo” appunto) patrono degli alpinisti e con la benedizione “instrumentorum ad montes conscendendos”, voluta dallo stesso “Papa alpinista”, approvata dalla Sacra Congregazione dei Riti il 14 ottobre 1931 e inserita nel Rituale Romanum.
La lettera contiene una definizione dell’ alpinismo che merita di essere riletta anche oggi:
“Per vero tra tutti gli esercizi di onesto diporto nessuno più di questo – quando si schivi la temerità – può dirsi giovevole alla sanità dell’anima nonché del corpo. Mentre, col duro affaticarsi e sforzarsi per ascendere dove l’aria è più sottile e più pura, si rinnovano e si rinvigoriscono le forze, avviene pure che coll’affrontare difficoltà di ogni specie si divenga più forti pei doveri anche più ardui della vita, e col contemplare la immensità e bellezza degli spettacoli, che dalle sublimi vette delle Alpi ci si aprono sotto lo sguardo, l’anima si elevi facilmente a Dio, Autore e Signore della natura“.
BENEDICTIO INSTRUMENTORUM AD MONTES CONSCENDENDOS
(Approbata a S. R. C. die 14 Octobris 1931)
V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Béne + dic, quǽsumus, Dómine, hos funes, báculos, rastros, aliáque hic præséntia instruménta;
ut, quicúmque iis usi fúerint, inter árdua et montis abrúpta, inter glácies, nives et tempestátes abomni casu et perículo præservéntur, ad cúlmina felíciter ascéndant, et ad suos incólumes
reverténtur. Per Christum Dóminum nostrum.
R. Amen.
Orémus.
Prótege, Dómine, intercedénte beáto Bernárdo quem Alpium íncolis et viatóribus patrórum dedísti, hos fámulos tuos; ipsísque concéde, ut, dum hæc conscéndunt cúlmina, ad montem, quiChristus est, valeánt perveníre. Per eúmdem Christum Dóminum nostrum. Amen.
Le parole della “Quod Sancti” e questa benedizione, tanto care agli alpinisti cattolici, campeggiano ancora in molti rifugi alpini insieme all’effigie di S. Bernardo di Mentone, il quale guida e protegge benigno colui che, unitamente alla conquista della vetta, si sforza, con la vera fede e le buone opere, di ascendere all’Altissimo e Onnipotente Dio.
FONTI (Riportate secondo l’ordine di utilizzo per la rielaborazione del testo)
1* Pubblicazioni online CAI Desio http://www.caidesio.net/joomla254/la-sezione/storia/pio-xi-il-papa-alpinista
2*F. Cajani, F. Pagani, Achille Ratti Cronologia 1857-1922, i Quaderni della Brianza
3*Archivio online Rivista Giovane Montagna https://www.giovanemontagna.org/rivista.asp
3*Marco Cuaz, La Giovane Montagna. Una rivista di alpinismo cattolico, Open
Edition Journal https://journals.openedition.org/amnis/1071#ftn21
4*http://www.vatican.va/content/pius-xi/it/letters/documents/hf_p-xi_lett_19230820_quod-sancti.html
4* Rituale Romanum https://www.liturgia.it/content/ritrom.pdf
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento particolare al Presidente di Radio Spada, Piergiorgio Seveso, per la grande pazienza e affabilità dimostrate, nonchè per i preziosi consigli in fase di realizzazione di questo lavoro. Si ringraziano anche gli altri amici di Radio Spada che a diverso titolo hanno contribuito con alcuni consigli.