Distesa la mano sinistra avvinta al rosario, ripete con le braccia in croce le ultime parole del Salvatore morente: “Perdono di tutto cuore ai miei nemici!”.
[foto da catholicworldreport.com]


Il Padre Miguel Augustin Pro, sacerdote della Compagnia di Gesù è forse la figura tra le più note della Chiesa messicana perseguitata dalla massoneria sotto il governo del feroce Plutarco Elías Calles. Uomo di spirito e apostolo zelatissimo della salute delle anime, animato dall’ardore dei Gesuiti della prima ora, fu fucilato il 23 novembre 1927. Ecco il racconto del suo martirio.


Ritratto del Padre Pro (di Gonzalo Carrasco)
[foto da catholicism.org]


“Lei è prete?” fu domandato al Padre Pro.
“Sì, signore, prete e gesuita”.
“Ha qualche dichiarazione da fare?”.
“No, nessuna. Dirò tuttavia che sono riconoscente delle attenzioni usatemi da coloro che mi hanno arrestato; ma che sono assolutamente estraneo a questo affare (l’attentato al Generale Obregòn, ndr) perché sono un amico dell’ordine. Sono perfettamente tranquillo e spero che la giustizia brillerà trionfalmente. Nego, senza equivoci di sorta, di aver partecipato in qualsiasi modo a questa cospirazione”.
Nel giornale “El Universal” la parola nego era stampata in carattere grassetto.
Tuttavia anche dopo simile protesta, pubblicata nei grandi giornali della capitale, il Cruz osò fare la dichiarazione seguente: “Gli accusati, convinti del loro delitto, confessano che sono gli autori immediati dell’attentato commesso contro il generale Obregòn. Previo esame e prova della loro responsabilità, è stato deciso che saranno immediatamente giustiziati”.
Questa menzogna si spiega con l’ordine assoluto e ingiusto dato dal presidente Calles.
Nella notte del 22, quando già aveva in mano la condanna del Padre Pro, il Cruz ridiscese nel sottosuolo e fece uscire dalle loro celle il Padre e Roberto [un fratello del Padre Pro, ndr].
“Eccoli!” soggiunse, indicando col dito il Padre Pro. “Questo è Michele e quello è Roberto”.
Un fotografo prese allora la fotografia dei condannati per i giornali del giorno dopo.
Quando il Cruz fu partito, il Padre domandò a Roberto: “Ebbene? Che ne pensi di tutto questo?”.
“Penso” rispose Roberto, “che non c’è più dubbio ora”.
“Anch’io”, soggiunse il Padre, “credo che sarà domani”.
Erano circa le 11 di sera.
Mentre pregavano, il Pro fece improvvisamente e ad alta voce questa riflessione: “Ebbene, se ci uccidono, ringraziamo il Signore che ha voluto accoglierci per il sacrificio. Egli ci darà la forza di andare fino alla fine”.
Si stesero ambedue sul lettino da campo; ma l’andare e venire delle guardie e dei soldati non permise loro che un riposo molto relativo.
Al mattino, dopo colazione, Michele pareva alquanto depresso.
“Ho l’impressione”, disse il fratello, “che stanno per ucciderci”.
E ad una delle guardi che gli domandava se voleva qualcosa: “No”, rispose. “E di che cosa potrei aver bisogno dal momento che sto per andare alla morte?”.
Mentre egli prega dolcemente col fratello, ripetendo il Credo e la Salve Regina e altre preghiere, vengono condotti i soldati che avevano ricevuto l’ordine di ucciderlo. Verso le 8 si nota un gran movimento intorno all’ispettorato di polizia; i fotografi e i cronisti, debitamente avvertiti, accorrono e nelle vie adiacenti s’accalca una folla di curiosi.
Verso le 10,20 il Mazcorro entra nel sottosuolo, si presenta dinanzi al Padre e chiama: Michele Pro.
“Debbo uscire così?” domandò questi che era senza panciotto.
“No”, risponde il Mazocrro, “metta il panciotto e venga”.
Roberto, mentre aiuta il fratello, si sente stringere febbrilmente la mano da colui che andava a morire: comprende che quello era il suo ultimo addio.
Lungo il percorso, uno degli agenti che l’avevano arrestato, domandò al Padre di perdonarlo: “Non solo vi perdono, ma vi ringrazio”.
Entrato nel cortile pieno di soldati con i fucili pronti, capì subito ciò che l’attendeva. L’istantanea che i fotografi del governo presero in questo momento ci mostra il Padre in posizione eretta, le mani congiunte al petto, l’aria calma e grave: alla sinistra sta il Mazcorro.
Una persona degna di fede scriveva da Messico il 4 dicembre seguente, che un sacerdote,, di cui essa dice il nome, si trovava sul passaggio del condannato. Si crede che il Cruz lo abbia fatto uscire di prigione per fargli vedere la sorta che egli riserbava ai sacerdoti ribelli. Le vittime, avrebbero dunque, passando ricevuta l’assoluzione.
Il Padre si colloca subito nel luogo che gli viene indicato, dinnanzi al plotone, e il maggiore Torres gli chiede se ha qualche desiderio da esprimere.
“Si”, risponde, “voglio pregare”.
S’inginocchia, fa lentamente il segno della croce, congiunge le mani, offre indubbiamente a Dio il sacrificio della sua vita e bacia devotamente il piccolo crocifisso che tiene in mano.
Si rialza, rifiuta la benda agli occhi e si volta verso i rappresentanti del governo e verso i soldati, immobili e stupiti di tanto sangue freddo.
Un’altra fotografia presa per conto del governo ce lo rappresenta in piedi, di fronte ai soldati, nell’attitudine di una persona che rivolge la parola ad altri.
“Dio mi è testimonio!” esclama il Padre. ” Che io sono innocente del delitto che mi imputate!”.
E col suo crocifisso, traccia sulla folla un ampio segno di croce, dicendo: “Che il Signore abbia pietà di tutti voi!”.
Distesa la mano sinistra avvinta al rosario, ripete con le braccia in croce le ultime parole del Salvatore morente: “Perdono di tutto cuore ai miei nemici!”.
Quando morivano, gli altri martiri del Messico ripetevano con voce forte l’invocazione favorita dei cattolici: “Viva Cristo Re!”.
Si osservò che il Padre Pro, prima di pronunciare queste parole, si raccolse un istante. Alzò gli occhi al cielo, indi lentamente, come il sacerdote che consacra l’ostia, ripeté la parola d’ordine data al mondo cristiano: “Viva Cristo Re!”.
Indi fa il segno ai soldati che era pronto.
I fucili si abbassano. Il Padre cade con le braccia distese. Un sodato gli si avvicina e gli scarica il fucile nel capo.
Erano le 10 e mezzo.


Procesión fúnebre del Padre Pro. Fuente: Archivo Histórico del Arzobispado de México. 
[foto da scielo.org]

[…] Il trionfo del martire incominciò subito dopo la sua morte. Dalle cinque pomeridiane fino alle undici, e il dì seguente dalle sei del mattino fino alle tre del pomeriggio, vi fu un pellegrinaggio ininterrotto alla casa dove riposavano i cadaveri ricoperti di fiori. Migliaia di persone vi accorsero a pregare e molte di esse accostavano alle casse oggetti di devozione.
[…] Al passaggio dei cadaveri i fiori piovevano a fasci dai balconi … All’angolo delle vie, da per tutto, si vedevano persone inginocchiate come nel giorno del Corpus Domini. Più di cinquecento automobili accompagnavano il carro funebre, riccamente addobbato. Migliaia di persone ormavano quell’inattesa processione: si recava il rosario e si gridava: “Viva i santi Martiri! Viva il Papa! Viva i nostri Vescovi e i nostri Sacerdoti!”
[…] la voce di uno sconosciuto si leva in mezzo alla folla: “Viva il primo Gesuita martire di Cristo Re!”. Questa acclamazione, lanciata in mezzo al silenzio, suscitò dei nuovi evviva.
[…] Aprendo le finestre del suo castello, il Presidente Calles poté vedere sfilare quegli eroici cristiani, che cantavano l’inno trionfale a Cristo Re. Così diciannove secoli or sono passavano dinnanzi a Nerone i primi cristiani che tornarono dall’aver visto morire i loro fratelli. Sopra uno dei bigliettini a forma di francobollo, diffusi a migliaia dalla Lega di difesa religiosa, si leggevamo queste parole: “Calles! Cristo Re ne ha visti molti altri ben più cattivi di te!”
Il sangue del P. Pro sarà seme di altri eroi e Colui che possiede simili difensori avrà la vittoria finale:

Christus vincit,
Christus regnat,
Christus imperat!
Amen!

(Antonio Dragon, Il Padre Pro. Il Santo dei Cristeros, Chieti, 2012 (I ed. 1932), pp. 152-156)