Uno spettro si aggira per il mondo “tradizionalista” e “conservatore”: la rugiada dello Spirito Santo!
Tra le innovazioni della terza edizione italiana del Messale di Paolo VI infatti appare infatti una frase della preghiera eucaristica numero 2 (un impiastro la cui storia è ben raccontata in questo articolo, vedi qui): “santifica questi doni [i.e. l’ostia e il vino che diverranno corpo e sangue di Cristo] con la rugiada del tuo Spirito“.
Per certuni è richiamo di terminologie massoniche, per altri è un’irruzione dell’ecologismo di Bergolio nella liturgia, per altri ancora è un fattore di invalidità della messa nuova.
Per noi è solo l’esatta traduzione dell’orginale latino della prex eucharistica II del Messale di Paolo VI: “Hæc ergo dona, quæsumus, Spíritus tui rore sanctífica“.
E aggiungiamo che l’espressione è ben presente nell’uso ecclesiastico, non foss’altro che varie volte nella Scrittura ci imbattiamo nella rugiada (ros in latino): “Rorate, coeli desuper, et nubes pluant iustum” (Stillate, o cieli, dall’alto la vostra rugiada, e le nubi piovano il Giusto) abbiamo in Isaia 45, 8; e ancora, nel libro dei Giudici, la rugiada che discese sul vello di Gedeone, che i Padri tutti interpretarono come profezia dell’incarnazione del Verbo nel seno purissimo della Vergine Maria.
Se poi apriamo i testi liturgici della Chiesa Romana, ci imbattiamo nella rugiada per esempio nella cerimonia di consacrazione dei Vescovi, nella stessa forma essenziale del Sacramento: “Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis unguenti rore sanctifica“; e ancora, molto più palese, nel postcommunio della messa di Pentecoste : “Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet” ossia “Fa’, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua rugiada”.
A tal proposito ci piace riprendere il commento che di quest’ultima preghiera fa il Cardinale Schuster “La colletta eucaristica è quella della messa vigilare. Lo Spirito Santo viene paragonato ad una deliziosa rugiada, la quale, mentre asterge le macchie del nostro cuore, lo rende fecondo ad operare il bene. Senza questa rugiada il povero nostro cuore è come un terreno riarso dal sole. Il fuoco impuro della concupiscenza dissecca in esso ogni umore e lo riduce ad una massa pietrosa, dove non può germogliare filo d’erba. Viene però lo Spirito Santo e smorza questi profani ardori; la zolla rovente del cuore accoglie allora la benefica rugiada” (Liber Sacramentorum, Roma-Torino, 1930, vol. IV, p. 160).
Infine, onde non sembri che Radio Spada sia a favore del Novus Ordo Missae, ci teniamo a ribadire che il problema, non da oggi ma dal 1969, non sono le nuove traduzioni, ma la nuova messa in sé, poiché con gli Eminentissimi Cardinali Ottaviani e Bacci di santa memoria crediamo che “il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino” e che preghiamo e lottiamo per la “abrogazione” di un rito para-protestantico e dalla validità quantomeno dubbia (vedi l’articolo Il vero problema è la nuova messa non le nuove traduzioni!).
Poste queste premesse riprendiamo un estratto dell’articolo scritto da don Mauro Tranquillo FSSPX a riguardo della nuova traduzione del messale.
QUI il testo integrale.
La “rugiada” dello Spirito Santo
Una delle polemiche più sterili ed assurde è stata quella, tanto agitata da alcuni settori, sul termine “rugiada”. Veniamo ai fatti. La controversia riguarda la seconda preghiera eucaristica, della quale già nel 1969 il “Breve esame critico” del Novus Ordo Missae, firmato dai Cardinali Ottaviani e Bacci, diceva: «abbiamo sorvolato sui nuovi canoni, di cui il secondo ha immediatamente scandalizzato i fedeli per la sua brevità. Di esso si è potuto scrivere, tra molte altre cose, che può essere celebrato in piena tranquillità di coscienza da un prete che non creda più né alla transustanziazione né alla natura sacrificale della Messa, e che quindi si presterebbe benissimo anche alla celebrazione da parte di un ministro protestante». Una pesantissima critica come si vede, finora ignorata dai “conservatori” che con tale preghiera hanno detto serenamente la messa per decenni. Il testo latino di questo “canone”, frettolosamente composto da pseudo-esperti negli anni Sessanta, dice testualmente: «Hæc ergo dona, quǽsumus, Spíritus tui rore sanctífica», che letteralmente significa «Ti preghiamo, santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito». Finora la traduzione italiana aveva preferito al termine metaforico “rugiada” un meno letterale “effusione”, ma non sfugge a nessuno che il senso sia esattamente lo stesso. Il termine “rugiada dello Spirito Santo”, di per sé, non ha nulla di reprensibile: viene dalla Santa Scrittura ed esisteva anche nell’antica liturgia (seppure in tutt’altri passaggi). Si è quindi semplicemente passati a una traduzione più letterale di un testo latino in vigore dal 1969, che aveva finora avuto in italiano una semplice traduzione a senso. Ignorando quindi le gravi e strutturali deficienze di questo canone, denunciate dal “Breve esame critico” più di cinquant’anni fa, alcuni ambienti si sono attaccati alla denuncia della “rugiada” con fantasiose argomentazioni, facendo tra l’altro derivare tale espressione dalla (peraltro gravissima e da noi pesantemente denunciata) ecoteologia di Papa Francesco. Non è mancato chi, con sfoggio di ignoranza, ha voluto paventare l’invalidità della messa in seguito alla sostituzione di “effusione” con “rugiada”, come se avessero significati diversi. Tale crasso errore ne sottintende uno ben più grave, cioè che sia necessaria l’invocazione dello Spirito Santo (la cosiddetta epiclesi) per realizzare la transustanziazione. La dottrina cattolica ci insegna invece che a realizzare la transustanziazione sono le sole parole del Cristo (“Questo è il mio Corpo… Questo è il calice del mio Sangue”). Il rito romano tradizionale non ha mai previsto alcuna epiclesi, anzi tali invocazioni sono state inserite nei nuovi canoni per motivi puramente ecumenici, visto che sono gli ortodossi (o almeno alcuni di loro) a sostenere che l’epiclesi (presente nei riti orientali da sempre) sia indispensabile alla consacrazione. Tale tesi è stata più volte condannata, oltre che dal Concilio di Firenze (DS 1321 e 1352), da una lettera di Pio VII dell’8 maggio 1822 (DS 2718) e da un’altra di san Pio X del 26 dicembre 1910 (DS 3556): è verità di fede che siano le sole parole del Cristo a realizzare il Sacramento.
Tanto rumore per nulla. Un breve commento alla “rugiada dello Spirito Santo”

Nulla da eccepire sulle citazioni dotte ed esatte fatte dall’Autore. Ma va tenuto presente (e non è poco!) che si tratta del linguaggio simbolico Veterotestamentario che non poteva annunciare lo Spirito Santo se non con immagini allusive. Diverso è il linguaggio Neotestamentario nel quale si parla dello Spirito Santo riferendosi alla sua stessa natura divina personale: Luce, Fuoco, Acqua, Vento, Alito, Paraclito, Ospite dell’anima (unitamente a Gesù e al Padre). Sono questi, non altri, i termini che Gesù ha usato per rivelarci lo Spirito Santo. Vero che la Liturgia ricorre anche ad altri simboli (es. Balsamo) ma sono sempre immagini simboliche, inadatte ed insufficienti ad esprimere la potenza dell’azione dello Spirito sul Pane e Vino che vengono transustanziati in Corpo e Sangue del Signore. Personalmente, ritengo che la scelta della CEI, sia essa o meno la traduzione di termini già in uso liturgico (es. rore), sia stata sommamente superficiale e inopportuna.
Secondo il ragionamento espresso sembra che si voglia intendere essere l’invocazione dello Spirito Santo ciò che effettua la transustanziazione. Ebbene, questo è un errore dei Greci, condannato dalla Chiesa ancora durante il pontificato di san Pio X: sono le parole del Cristo (HOC EST CORPUS MEUM, HIC EST CALIX etc.), ed esse sole, a confezionare il sacramento dell’Eucaristia.
Quanto all’uso liturgico di termini quali balsamo, rugiada e/o altro non crediamo siano inadatti e insufficienti: se la Chiesa li ha usati in passato e tuttora li sua dipende dal fatto che sono adatti e sufficienti (per quanto possano esserle parole umane) ad esprimere la realtà dell’azione dello Spirito Santo.
Ero già da sempre convinto che l’azione dello Spirito Santo avviene con le parole della consacrazione sul Pane e sul Vino. Non è una novità: del resto le aveva già ricordate l’autore e sono comunemente ritenute le parole consacratorie della Messa dagli stessi Fedeli. Intendevo invece sottolineare “l’insufficienza dell’uso di termini simbolici veterotestamentari” ad esprimere l’azione dello Spirito Santo nelle parole consacratorie, piuttosto che “l’uso di termini trasmessi da Gesù stesso (peraltro proprio nel corso dell’istituzione dell’Eucaristia) o neotestamentari”. E’ un’opinione che non chiamerei per nulla “argomentazione fantasiosa” né “sfoggio di ignoranza”….. Per questo, nessuno s’offenderà se mantengo la medesima opinione. Grazie comunque per la risposta (anche se la ritengo un po’… fuori bersaglio), assicurando che continuerò a leggervi con interesse.
anche Pio VII lo condannò, ma entrambi con lettere di peso magisteriale molto basso e inviate a una parte limitata della Chiesa (Pio X si rivolge ai legati in Asia minore, Pio VII ai melkiti)
poi essi condannano due tesi distinte: Pio VII quella che l’Epiclesi sia la forma assieme alle Parole, Pio X quella che le Parole siano la sola forma ma producano l’effetto (o si possa essere certi dell’effetto) solo dopo l’Epiclesi.
comunque questi pronunciamenti alla fine rendono l’epiclesi, e il resto dell’Anafora, solo come i fiori dell’altare: belli, affascinanti, ma fondamentalmente decorativi e quindi manipolabili, in quanto solo le Parole (e il Racconto dell’Istituzione) sono l’unica parte necessaria
tesi che sarà la base teorica per i novatori che hanno reso il nostro venerabile Canone una reliquia del passato (basti leggere Jungmann)
se bastassero il racconto dell istituzione e le parole, anche il rito eucaristico anglicano sarebbe sacramentalmente valido, ma non lo è, come insegnato da Leone XIII ( e non come detto e fatto da figuranti papi….)
sul rito eucaristico anglicano non c’è mai stato un pronunciamento
i pronunciamenti sono solo sulla validità degli ordini sacri, e in particolare dell’episcopato, causa forma del sacramento mancante delle determinazione dell’ordine che si vuole conferire nelle ordinazioni anteriori al 1662, e fede ‘ecclesiale’ nella sostanza del sacramento agli antipodi da quella cattolica (in cui l’ordine è solo una funzione e l’ordinato non è in nessun modo differente da un laico).
Se posso intromettermi, direi che qui -in questo N.O.- non è tanto questione di parole, quanto di spirito, che non è più quello di fare quello che la Chiesa (la Cattolica vera) intende e di non più agire ‘in persona Christi’.
La parole , materialmente prese, vanno bene tutte. Quelle pronunciate da Cristo sul pane e sul vino sono qui esattamente ripetute, ma così come, nel rito della Holy Communion di Cranmer, quelle parole, anche qui esattamente ripetute, non fanno il sacramento e il sacrificio di Cristo, così non fanno cattolica la messa del N.O. Non per niente nella sua ‘Institutio’ , Paolo VI parla, riferendosi a queste, di “verba institutionis”, i.e. “racconto dell’ istituzione” e non più di “verba consecrationis”. Un ‘racconto’, appunto, non il “rinnovamento del Sacrificio della Croce”.