Di Charlie Bunga Banyangumuka
Come ci insegna il Catechismo, il Papa e i Vescovi sono i legittimi capi della Chiesa e con essi dobbiamo essere in comunione, comunione che si esprime innanzitutto nella Professione del Credo Apostolico e dunque nella comune Fede Cattolica.
Questo concetto non era solo noto ai cattolici (Papa San Sisto I fece giurare fedeltà al Papa i tutti i vescovi nel I secolo) ma anche ai pagani al di fuori della Chiesa.
Un esempio è l’imperatore Aureliano.
Il Cattolicesimo non fu perseguitato in maniera ininterrotta; ci furono effettivamente sui grandi nemici (Nerone, Domiziano, Decio, Diocleziano, Valeriano e Giuliano) ma vi furono anche imperatori che non emanarono specifici editti pur lasciando carta bianca ai prefetti (Traiano, Adriano, Tito, Nerva) ed altri per i quali la Chiesa era una societas facente parte dell’impero, se non addirittura da favorire (come accadde con Alessandro Severo).
Aureliano (270-275) fu sicuramente tra questi: la religio dei Pontefici aveva inoltre molte analogie con i culti cui lo stesso imperatore aderiva, come il Sol Invictus, e rappresentava oramai una realtà con le sue proprietà (già allora i cattolici avevano cimiteri, chiese e persino basiliche a proprio carico).
Durante il suo regno, scoppiò una controversia relativa al vescovo di Antiochia; venne infatti eletto Paolo di Samosata ma la sua elezione fu contestata e venne proposto Domno.
Paolo tuttavia non lasciò la sua diocesi finché l’imperatore Aureliano, con un decreto, impose che il vescovo di Antiochia da eleggersi fosse colui che fosse designato come tale dal Papa di Roma (al tempo san Felice I) e fosse in comunione con lui.
Per via di questo decreto, Paolo venne deposto.
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