Sintesi della 630° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo a causa dell’epidemia di Coronavirus, preparata nella festa dei Santi innocenti e postata nella festa di San Tommaso Becket. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).
Cari amici della Comunità Antagonista Padana e di Radio Spada, per quanti di voi non abbiano ancora avuto modo di leggere la prima parte di questa conferenza pubblicata nell’Ottava dell’Immacolata ovvero il 15 dicembre 2020, voglio proporre una sintesi dei guadagni che ho focalizzato.
Oggigiorno, il comunitarismo è una concezione molto osteggiata dal maenstream, dal momento che evoca tribalismi ed etnocentrismi aggressivi. I principali detrattori della ragione comunitaria sono coloro che hanno ereditato la lezione di K. Popper, secondo cui ” concreti sono soltanto gli individui” e la comunità ( o anche la società) è una mera astrazione.
Non ho misconosciuto il fatto che il comunitarismo naturalmente non è scevro da superfetazioni e degenerazioni in senso tribalistico.
Nondimeno, è d uopo discernere il grano dal loglio…e rimane certo, a giudizio di chi scrive, che la ragione comunitaria offre molti più punti positivi di quella liberal-cosmopolita
La disaffezione per la dimensione politica che si traduce in astensionismo di comodo e che è recentemente culminata in quella divaricazione tra ” demos” e ” Kratos” che Duverger(1) ha focalizzato bene, porta a conseguenze molto gravi sul piano dell’ atomismo sociale. Offre il fianco alla” onnipervasivita’ dell’del mercato” esso finisce per invadere quella sfera del dono gratuito, inclusiva di valori e simboli che il mercantilismo non deve profanare.
La ” ragione comunitaria” non mette in discussione la legittimità del mercato; si oppone tuttavia alla sua onnipervasivita’.
Sono facilmente confutabili anche coloro che ritengono che la ragione comunitaria sia oltrepassata dal trapasso da società rurali e contadine alle contemporanee società di massa ( cui del resto l’individualismo è una connotazione essenziale).
Infatti il bisogno comunitario non può essere storicizzzato e relativizzato, perché esso è una struttura fondamentale dell’ essere umano(2).
Dunque, che venga praticata o rimanga allo stato potenziale, la dimensione comunitaria è connaturata alla coscienza e non è assolutamente retaggio di epoche oltrepassate dal trascendimento storico; per quanto si debba convenire che storicamente si sono realizzate due forme di comunità; una certamente in forma naturale, armoniosa e genuina, è quanto è avvenuto nelle società premoderne, non ancora travagliate dall’ irrompere della tecnocrazia e della massificazione; un altro modello di comunitarismo in fondo si realizzò durante quella che Augusto del Noce definisce era dei totalitarismi sacrali(3); in questo caso si è trattato di un comunitarismo spesso forzato, che ha comportato molti eccidi( il totalitarismo bolscevico si è suicidato dopo aver rappresantato ” la versione regressiva e repressiva della modernità).
Possono dunque ascriversi alla ” ragione comunitaria”i totalitarismi sacrali del secolo decimonono? Secundum quid, secondo una direttrice di coercizione.
Del resto, come afferma il professor Andrea Sandri nella prefazione alla tesi del dottor Orazio Maria Gnerre” Prima che il mondo fosse.Alle origini del decisionismo novecentesco”(4), è più che dubbio che il fallimento dello ” stato totalitario” sia dovuto a una superiorità valoriale del liberalismo ; semmai questo tramonto va ascritto alla sua mancata capacità di restaurare la legittimità nell’ambito delle istituzioni.
Tanto i “totalitarismi sacrali ” hanno ” secolarizzato la Teologia” e hanno sostituito la dimensione politica a quella teologica nel processo escatologico-messianico di emancipazione dell’ umanità, quanto quelli secolari hanno tranquillamente messo da parte la dimensione politica stessa ( vieppiù soppiantata da altre forme liberatorie, come la psicoanalisi o la comprensione strutturalista del reale).
La nazionalizzazione delle masse, carattere definitorio dei totalitarismi sacrali, è stata oltrepassata dall’ individualismo di massa che inevitabilmente si accompagna al totalitarismo che ha conseguito il secolarismo massimo e quindi è culminato nel nichilismo e nella disperazione di senso.
Orazio Maria Gnerre non accetta lo stereotipo di una critica preconcetta ai totalitarismi del Novecento. Precisamente, egli ravvisa una sorta di reciproco richiamo ad esempio tra K.Marx e C.Schmitt, laddove entrambi mettono in discussione la naturalità dei diritti individuali; che infatti si tratta non già di diritti naturali, ma bensì di diritti storici acquisiti con tutto il cascame di ingiustizie che essi comportano.
In particolare, lo Gnerre attribuisce a C.Schmitt la fondazione della teoria giuridica del ” decisionismo”, che ha costituito la ” declinazione di una temperie generale che poteva fornire risposte e modelli di lavoro per coloro che avessero intenzione di altrimenti definire una modernità asfissiante (5).
L’onnipervasività della tecnica era culminata in pantecnicismo e il primato del calcolo utilitaristico e affaristico portava lentamente all’ eclissi del bene comune, cioè dell’ idea stessa di “comunità”.
I liberali giuspositivisti come Kelsen affermano una visione relativista pura dal punto di vista politico, da cui viene espunto ogni riferimento al Sacro e al Miracolo.
A partire da un’ ingiustificata applicazione alla dottrina politica del metodo delle scienze biologiche, essi considerano coestensivi i concetti di natura e norma, “diritto”(latamente inteso come rivendicazione di una proprietà) e sua fondazione etica.
Il loro ragionamento cade evidentemente in eteronomia: da un dato di natura, ad esempio una qualsiasi proprietà,in alcun modo è possibile inferire una legge etica.
A ragione C.Schmitt controbatte ai giuspositivisti liberali come Kelsen che ” nessuno definira’ come norma il ” mio” di un singolo individuo, all’ essenza della norma infatti appartiene il fatto che essa valga indipendentemente dal singolo”(6)
Non solo una proprietà, ma neanche dieci, venti, cento potrebbero fondare una giustificazione etica del loro esistere. Infatti, il diritto-proprietà appartiene alla sfera empirica, fattuale e in alcun modo può aver pretesa di esibire una noumeicita’, in alcun modo può autogiustificarsi.
La concezione decisionista, a giudizio di Gnerre, impersonata principalmente da C.Schmitt e dal pur oscuro G. Bataille, ha opposto una valida barriera ideale contro il trionfo dell'” uomo borghese”, modello liberale allo stato puro, stigmatizzato dallo storico e sociologo Werner Sombart come colui che prepone il Regno della Quantità a quello della Qualità, professa il primato dell’ oro, dimissiona da ogni sacrificio e dedizione verso il prossimo, di cui pure non disdegna lo sfruttamento parassitario. La concentrazione nell’animo di ogni sorta di vizi unita alla natura imbelle rendono il borghese massimamente spregevole.
Ogni filosofia della storia di orientamento liberale tende a considerare fissi e immutabili gli ordinamenti liberal-capitalisti in quanto corrispondenti a una presunta legge naturale cosmica, ma in realtà essi sono soltanto un prodotto storico.
L’ impulso decisivo alla formazione degli ordinamenti liberal-capitalisti è stata offerta dalla teodicea protestante e in misura ancora più decisiva calvinista.
Totalmente – Altro è il paradigma secondo cui Dio viene concepito da questa teodicea; nelle monadologia leibniziana, una delle massime espressione di apologia dello spirito capitalista anglosassone, Dio è concepito come un perfetto orologiaio che dopo aver dato un primo movimento decisivo al cosmo, successivamente se ne è in qualche modo ritirato, perché ormai l'”armonia prestabilita” impedisce vi siano incidenti; tanto essa garantisce la corrispondenza tra monadi distinte e non comunicanti, quanto garantisce che ciascuno provvedendo esaurientemente al proprio utile al contempo cagioni il bene comune
Nella sua opera già citata ” Alle origini del decisionismo”, Orazio Gnerre dedica discreto spazio nel capitolo IV ” il terzo Regno. La metafisica della volontà” a due massimi esponenti del cattolicesimo controrivoluzionario ottocentesco, Joseph de Mainstre (7) e Donoso Cortes.
L’ autore delle “Serate di San Pietroburgo” ha ravvisato nell’ evento satanico della Rivoluzione francese, figliolanza e prodotto delle idee del secolo XVIII, la ” rottura del rapporto consustanziale tra il sacro e il mondo degli uomini”.Il naturalismo illuminista è negazione della teiformita’ dell’uomo, ovvero del suo essere fatto a Immagine e Somiglianza del Creatore.
Nell’ universo del XVIII secolo, desacralizzato, materializzato, non vi era posto né per la Rivelazione né per la Grazia Santificante.
Nel deismo professato da Locke, Robespierre e Roland il ” momento religioso” si riduceva all’ ammissione dell’ Essere Universale, causa dell’ universo, ma scevro degli attributi che competono al Dio Cattolico: Essere Personale e Provvidente.
L’ Essere Universale viene presentato dai deisti secondo il paradigma del Totalmente Altro rispetto al mondo. Pur causazione dell’ universo, l’ Essere Universale non si prende epicureicamente cura delle questione terrene né può essere compreso o giudicato a partire dalle categorie umane.
A tal guisa, il deismo naturalista ho prodotto il duplice effetto pernicioso di non esaltare né glorificare Dio e degradare l’ uomo al tempo stesso.
Donoso Cortes ha vigorosamente salvaguardato una prospettiva di ” ragione comunitaria e Cattolica”, negando che l’essere umano possa concepirsi individualmente, sia in un contesto ontologico che sociale.
Nella misura in cui vengano scissi i legami comunitari, ipso facto si produce il “decadimento della volontà” che si discosterà progressivamente dalla direttrice del Logos Divino o Affermazione Primordiale per tradursi in arbitro, negazione scettica… negazione di qualsiasi ordine e sovranità (8).
In teologia, il corrispettivo di siffatta volontà deviata e degradata a ” capriccio” e ” arbitrio” si chiama ” Peccato”.
Il luogo per eccellenza del Peccato e della Volontà insubordinata sono, a giudizio di Donoso Cortes, i regimi liberal capitalisti che attribuiscono legittimità etica alla loro tendenza alla concorrenza spietata e all’ appropriazione indebita.
Qui Donoso Cortes difende strenuamente la ” funzione sociale” della proprietà, invalidando tutta la legislazione si cui si regge la ” società del libero commercio”: la terra non può essere in alcun modo oggetto di indisciplinata appropriazione individuale, ma va ripartita secondo il principio del ” bene comune”.
Nell’ ambito dell’ abbondante e anzi sterminata letteratura sul pensiero comunitarista
(che ha conosciuto notevole sviluppo segnatamente agli albori del XXI secolo) ho scelto di dedicare spazio alla riflessione portata avanti dal dottor Orazio Maria Gnerre in ” Prima che il mondo fosse. Alle origini del decisionismo”, perché si tratta di un breve saggio che riesce a condensare in maniera eclettica moltissimi motivi della ragione comunitaria; il rilancio, attraverso la proposta di due filosofie politiche pur molto differenti, quella di C.Schmitt e quella di G. Bataille, di concetti che il vocabolario liberale e la modernità liberale stessa avevano completamente espunto dall’ orizzonte politico: ” decisione”, ” sovranità” ed ” eccezione”; una critica mossa alla conoscenza oggettivante e alla civiltà strumentale, al calcolo razionale, ” forma ultima, appesantita, data dalla società moderna”che espungono dall’ orizzonte politico ogni spazio all’ accadere del miracolo, del Sacro, dell’ eccezionale e affermano l’ intrascendibilita’ del perimetro dell’ immanente materiale.
Ancora, l’opera dello Gnerre contiene una denuncia dell’ estensione indebita che il dominio del ” diritto” ha conosciuto durante la modernità liberale, della moltiplicazione e frammentazione tra “diritti sociali” e ” diritti civili” che si è verificata soprattutto durante la Guerra Fredda. Si può parlare di diritti soltanto al plurale, in un contesto di relatività, eppure la modernità liberale è stato il luogo del trionfo del dominio del ” soggetto antropologico individuale”; costui ha creduto arbitrariamente di dover ricavare un dover essere universale , una legge morale assoluta, a partire dal proprio coacervo di arbitri e interessi soddisfatti. In realtà il soggetto antropologico individuale mai riesce ad espandere l’ orizzonte al di là del proprio naso.
La ragion comunitaria, al contempo, non intende certo esautorare il concetto stesso di diritto di ogni valenza, ma semplicemente opporsi alla sua onnipervasivita’ e soprattutto impedire che svolga una funzione di smembramento dell’unità di potere, a detrimento del prioritario bene comunitario.Degna di riflessione per la ricchezza di motivi e apporto di documentazione storica (8), l’ opera dello Gnerre non può nondimeno essere accolta in tutte le tesi.Colui che tiene questa conferenza, ad esempio, non ha tuttora colto la ragione di alcune associazioni tra pensatori diversi che sembrano un po’ ardite e non se la sente di condividere l’ entusiasmo acritico che il giovane studioso campano mostra verso alcuni punti di riferimento della formazione di Joseph De Mainstre, Pasqually e Saint Martin.
La “civitas christiana medievale” è stata intrascendibile realizzazione della ragione comunitaria, attraverso un ordine che la filosofia politica classica aveva instituito e poi successivamente la filosofia cristiana, tramite la Patristica e la Scolastica, aveva elaborato ed elevato a sintesi geniale.
Nell’ orizzonte comunitario medievale la lex naturalis è partecipatio e irradiazione della legge divina Eterna nel cuore di ciascuno individuo. In forza della comun partecipazione al Logos Divino ,a ciascun individuo era riservato un grado di dignità nell’ ambito di una concezione politica pur gerarchica; sempre in forza della partecipazione al Logos Divino, Sostanza Divina comune alle tre Persone della Trinità, era bandita ogni concezione strumentalista.Ciascuno si attendeva Amore e Carità, e non già di essere trattato come strumento/ ostacolo in funzione del benessere altrui.
Durante il secolo dei Lumi, la ragion comunitaria ha finito per eclissarsi, ha trionfato una ragione livellatrice, astratta, cosmopolita che ha preteso di costituirsi al tempo stesso come ragione umana e ordine naturale astratto. In dispregio delle identità culturali ed etniche e delle peculiarità storiche.
Dopo la debacle subita nel corso dell’ Illuminismo, la ragione comunitaria ha conosciuto una rivalsa durante la temperie del Romanticismo: giuristi e filosofi del Romanticismo, la Scuola storica di Savigny hanno cercato di valorizzare l’ “organismo”, il ” finalismo interno”, le etiche e i peculiari costumi popolari contro la ” razionalità” e “moralità astratta della legge” imposte dal cosmopolitismo illuminista (9).
Tanto il richiamo alla comunità era inscritto nel cuore della civiltà europea del primo Novecento, quanto in questo grigio scenario di fine XX secolo e inizio XXI secolo questo ideale non pare suscitare emozione alcuna nell’ animo, anzi il pensiero dominante stesso diffida notevolmente della ragione comunitaria, in quanto evocatrice di “tribalismi” e “conati di intolleranza” di ogni genere.
Nelle grazie del politically correct è una ” società aperta” di ascendenza popperiana in cui i cosiddetti ” diritti umani” hanno assunto indebitamente carattere ” sacro” e ” inviolabile”; si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di capricci, pulsioni, voluttà di un individualismo borghese allo stato puro, compiaciuto nel proprio sradicamento e disperato di senso (un certo femminismo isterico, la rivendicazione della pratica omosessuale libera, la rivendicazione del diritto di affittare l’ utero, le affabulatorie propagande gender e LGBT).
È veramente degradante il fatto che le istruzioni e gli enti pubblici, per ossequio al politically correct, avallino questa cultura liberal apolide decadente, nella direzione di una distruzione di quelle sensibilità radicate e valori condivisi che costituiscono lo ” spirito di popolo” e che la Prima Repubblica, pur con tare fondative e gravissime contraddizioni, era ancora riuscita a preservare.
Cari amici di Radio Spada e della CAP vi auguro buona lettura
(1) Cfr.Maurice Duverger, I partiti politici, Edizioni di Comunità,Milano
(2) Marcello Veneziani, Comunitari o liberal, cit,.p.46″ la dimensione comunitaria non è uno stadio storico o ideologico della coscienza individuale, ma una struttura della coscienza, un bisogno radicato e costitutivo del nostro essere al mondo”
(3) Cfr. Augusto del Noce,L’ epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano, pp.111-135 e 116-117
(4) Orazio Maria Gnerre, Prima che il mondo fosse.Alle origini del decisionismo novecentesco, Mimesis, Milano, 2018, p.18
” Si può sostenere con sufficiente probabilità che il fallimento dello stato totalitario non sia da attribuirsi a una presunta superiore metafisica o bontà del liberalismo…ma piuttosto a un’ insufficiente forza oppositiva e, in definitiva, proprio alla mancata restaurazione della legittimità”(Andrea Sandri)
(5) Orazio Maria Gnerre, Prima che il mondo fosse, cit.p.21
(6) Orazio Maria Gnerre, Prima che il mondo fosse, cit.p.66
(7) Lo Gnerre riporta accuratamente le fonti di quel ramificato ” illuminismo” pseudomistico che su De Maistre ha esercitato un’ influenza decisiva, soprattutto Bohme, Swedemborg, Pasqually e Saint Martin
(8) La tesi di laurea del dott Orazio Maria Gnerre ” Prima che il mondo fosse.Alle origini del decisionismo novecentesco” venne presentata anche nel corso di una conferenza presso la C.a.p dell’ Università Sacro Cuore di Milano il 12 luglio 2018 ma non fu registrata.
(9) Andrea Sandri , sempre nella prefazione all’ opera dello Gnerre fa una buona ricostruzione di quel processo che ha portato, prima al fraintendimento da parte della tarda Scolastica del 600′ poi all’ eclissi della lex Eterna. Il Romanticismo ha certamente cercato di rivendicare una sacralità nelle istituzioni contro l’ astratta ragione illuminista, ma senza molto successo.l’ esito ultimo di questa secolarizzazione il trionfo di un ” diritto naturale” universalmente e spietatamente positivizzato e senza Creatore.cfr. Prima che il mondo fosse,cit., p.13 e p.18
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