José García Hidalgo, Dio Padre dipinge l’Immacolata Concezione, 1690, Museo Nacional del Prado, Madrid
[foto da museodelprado.es]


Michelangelo Celesia (Palermo, 13 gennaio 1814 – Palermo, 14 aprile 1904), di nobili natali, compiuti gli studi letterari, filosofici e teologici e svolti vati incarichi nei monasteri benedettini di Palermo, Messina e Militello, nel 1850 fu nominato Abate di Montecassino. Nel 1860 Pio IX lo elesse Vescovo di Patti. La sua opposizione alla rivoluzione lo portarono a rifiutare di prestar giuramento al governo italiano: gli fu impedito così di entrare in Diocesi e, lasciata Palermo di nascosto, riparò a Roma. “Ecco il vescovo di Patti che non viene a patti con la rivoluzione” furono le parole con cui il Pontefice accolse il vescovo esule. Durante la permanenza romana, mentre un vicario generale governava la Diocesi, il Celesia entrò a far parte di varie Accademie e diede alle stampe alcune opere in difesa del Papato attaccato dalle idee liberali. Nel 1867 poté fare ritorno alla sua chiesa, continuando tuttavia a dimostrare tutta la sua contrarietà al nuovo governo. Nel 1869 prese parte al Concilio Vaticano dove sostenne con forza l’infallibilità del Romano Pontefice. Nel 1871 Pio IX lo promosse all’arcivescovato di Palermo: la notizia gli giunse mentre celebrava la visita pastorale della diocesi. In trentatré anni di ministero panormita curò l’organizzazione del laicato cattolico per la difesa della libertà della Chiesa e del Papato e con solerzia di pastore si distinse nella lotta contro i nemici dell’ordine e della morale, la massoneria e il liberalismo. I nemici dal canto loro non stettero con le mani in mano: nel 1872 gli fu sparato contro e dal 1875 al 1879 gli fu impedito di abitare in episcopio. Nel 1884 veniva infine da Leone XIII annoverato fra i Cardinali della Santa Romana Chiesa.

Il testo di seguito è estratto da una Omelia pronunziata nel 1852


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Ritratto del cardinale Celesia
[foto da wikipedia.org]


Io stesso – disse Iddio – io stesso inimicherò la donna al serpente, il seme dell’una a quello dell’altro; il serpe insidierà al calcagno della donna, ma prevalente la donna schiaccerà il capo al maligno. Donna? Si donna disse lddio, né sillaba di Dio mai si cancella.
Sin dal momento adunque della caduta un’antitesi radicale si annunzia tra i due protagonisti di così opposto destino: inimicizia sviscerata sin da principio e senza posa mai. Ma una vittoria per man di donna? Chi fia mai costei? Eva, la miserabile madre dei generati al dolore, Ella non fia l’eletta: di grazie novelle meritevol non era, dacché sì enormemente falliva viver non dovea che di speme. Chi fia adunque, chi fia l’eletta? Voi già l’intendete, o miei buoni giovanetti, né io insisto più in là: Maria, la Vergin di Giuda, rampollo eletto di David, nata al mondo nel gran secolo di Augusto; ella da cui nascer doveva il Cristo, speranza della salvazion dei secoli, era pur dessa la donna nella quale sin dai primordi della creazione si designava la vittoriosa madre dei viventi.
E fissate bene le idee. Una donna precipitava là nell’Eden e già un’altra donna forte era segnata dal dito di Dio: ancora gli abissi della iniquità sulla terra non erano e Maria trionfatrice sull’autor del male si adombra. Qual ne sarà la conseguenza? Quando è vero che sotto le forme del serpe covi l’Angiol di tenebre le sue astuzie, quando è vero che nel seme anch’esso glorioso di questa favorita dalla grazia veniva racchiusa la solenne promessa del redentore dell’umanità, quando è vero che Dio stesso rivelava la superiorità constante della donna, non sarebbe un contradire allo spirito eterno delle pagine eterne il sospettare menomamente che costei fosse stata per un solo instante schiava del maligno nemico? E però senza meno quella originale giustizia che l’Onnipotente largiva alla prima coppia umana nell’aere purissimo dell’innocenza, quella stessa normale integrità legava ad una seconda e senza comparazione più degna madre dei rinati alla grazia.
[…] Si posi ora l’elemento principale senza di che crolla di tutto il peso l’edifizio del Cristianesimo, cioè l’umanità del Verbo nel casto seno di una Vergine. Non ripugnerebbe anche alla vostra ragione, benché tenera, credere che un Dio santo per essenza abbia tratto i giorni da una fonte corrotta dal contagio universale colpa? Il sangue dell’Uomo-Dio, sangue accettevole di espiazione e prezzo di redenzione infinita non isgorga alla fine che da un sangue impuro? Un ipotesi tal fatta offende i caratteri costitutivi della santità di Dio anzi distrugge lo stesso Dio.
Pertanto se la diffusione di tutte le tristi conseguenze del reato originale è per noi una verità troppo amara sì, ma verità, di fatto l’esclusione della Madre del Verbo dall’onta denigrante la immagine istessa di Dio addiviene per noi una logica induzione. Senza dubbio il Verbo non ci apparirebbe in tutto lo splendore della sempiterna luce purissima ove offuscata la Madre dalla nera macchia del peccato e colpita anch’essa dall’anatema di maledizione.
[…] A Lei senza macchia il nostro ossequio, a Lei un cantico sincerissimo di preghiera.
Salve, augusta figlia dell’inclita luce, primogenita immortal della grazia, salve! Immacolata ti ammirarono le pure intelligenze che ti fan corona e loro Regina ti accolsero. Salve Regina! Colma d’ingenita beltà ti vagheggiarono in ispirito le Vergini dell’illibato candore: ti predicaron beatissima e ti lodarono, salve Regina! Immacolata ti riconobbe la contemporaneità di ogni secolo ei padri nostri cel dissero nel di che ti giurarono trionfatrice del serpe. Immacolata ti giuriamo ancor noi teneri figli dell’amor tuo; eccoti il cuor nostro: è tuo; eccoti noi stessi: siam tuoi. Nei perigli affannosi, nelle angosce strazianti, corteggio del primo reato, noi ti invocheremo inviolata Maria. Deh! tu ci sorreggi nel cammin della vita, deh! non cessi un istante su di noi l’azione della tua bontà. Tu fosti la cagion motrice di nostra fede vivissima, tu ne sii l’Angelo tutelare, tu ci sogguarda e l Angelo sterminatore sarà lontano da qui.

Benedictio Dei omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti, descendat super vos et maneat semper. Amen.