di Massimo Micaletti

Dal Regno Unito arriva l’ennesima conferma della china sanguinosa che assume, puntualmente, l’introduzione di norme che promuovano la soppressione dei pazienti da parte del servizio sanitario per finalità apparentemente caritatevoli.

Il caso riguarda un uomo di origini polacche, le cui generalità sono celate dietro le sigle “P.S.” o “R.S.”, che a seguito di un attacco cardiaco ha riportato seri danni cerebrali in seguito ai quali è in coma. la moglie e i figli chiedono che siano interrotti supporti vitali, mentre i genitori e la sorella, dalla Polonia, vogliono che l’uomo sia lasciato vivere. Il Servizio sanitario appoggia la scelta mortifera del coniuge, che la sostiene dal fatto che il paziente ebbe a dire una volta che non avrebbe voluto essere un peso per la sua famiglia, mentre i genitori e la sorella affermano che, essendo egli un devoto cattolico, si era espresso più volte contro l’aborto e l’eutanasia. Ora, fin qui, sembra di trovarsi davanti all’ennesimo caso di “vite contese”, che purtroppo con frequenza vengono alle cronache e che conoscono sempre il medesimo esito: l’intervento del Giudice e la scelta per la morte del malcapitato, come in effetti si è verificato anche in questa vicenda.

Ma la fattispecie presenta un dettaglio inedito e sinistramente illuminante: in effetti, la Corte, nelle persone dei Giudici Jackson, Cohen e King (quest’ultima aveva già disposto la soppressione di Alfie Evans) ha motivato il provvedimento che autorizza a staccare i supporti a “P.S.” sulla base della circostanza che, a detta dei medici, egli sarebbe stato permanentemente in uno stato di “minima coscienza“. Ora, attenzione: sino ad oggi, quantomeno in Gran Bretagna, il presupposto per la soppressione era l’assenza di coscienza o, detto in altri termini – sebbene non sia la stessa cosa – l’assenza di reazioni evidenti indicatrici di coscienza e relazione. Ora invece l’asticella si sposta: non è più necessario che il paziente sia inerte, ma è sufficiente che abbia anche solo una “minima coscienza” perché venga fatto morire. E’ questo il nuovo criterio, assolutamente indefinito come del resto molti profili in questa materia: in effetti, cosa vuol dire “minima coscienza“? Ad esempio, se il coma è stato ritenuto tale, allora lo stato vegetativo – che è diverso dal coma – può rientrare nel medesimo concetto o è qualcosa di più o di meno? E con quali strumenti si indaga questa condizione? E quali sono i parametri per rilevarla e definirla? E dev’essere irreversibile o basta che sia prolungata?

Ad una volontà ricostruita da una frase – tutto sommato comprensibile: chi vorrebbe essere un peso per i propri cari? – e in chiara contraddizione con le idee espresse in una vita intera, si aggiunge una condizione fisica e clinica vaga e variabile da soggetto a soggetto, da ospedale a ospedale da osservazione a osservazione.

Lo stesso Servizio sanitario britannico che impone idee, condotte e finanche farmaci – il vaccino – a tutela della “salute collettiva” non si fa poi scrupoli di provocare la morte di una persona indifesa sulla base di condizioni tanto labili e controverse, con l’avallo della magistratura. Si assiste – nel Regno Unito, ma anche altrove – ad una pericolosa schizofrenia, per cui convivono l’ossessione per la salute pubblica e la degradazione della vita del singolo, la delega in bianco a certa classe medica pure di restare vivi e la signoria di medici e giuristi sulla morte dei pazienti più gravi. Eppure, dietro l’apparente contraddizione c’è una linea comune ben precisa: la perdita del senso della vita, della giustificazione dell’esistenza dell’uomo su questa terra, che porta a pensare che tutto si esaurisca nei pochi giorni che passiamo sotto il sole e che quindi ci sia chi può e deve decidere non per la vita del più debole ma sulla vita del più debole.