Nel calendario tradizionale la festa di san Giovanni della Croce, “Sacerdote e Confessore, compagno di santa Teresa nella riforma dei Carmelitani” si celebra il 24 novembre. Tuttavia il Dottore Mistico (titolo conferitogli da Pio XI) passò alla gloria celeste ad Ubeda il 14 dicembre 1591. Di seguito il racconto del pio transito tratto dalla “Storia della vita di San Giovanni della Croce, primo Carmelitano Scalzo, scritta dal padre F. Marco di San Francesco dello stesso Ordine nella Provincia di Venezia” (Venezia, 1747).

Teneva per lo più gli occhi chiusi, e tratto tratto li apriva per guardare amorosamente il Crocifisso che aveva accanto. Dopo l’Avemmaria chiese con divotissima istanza l’estrema Unzione e la ricevette, da quel valoroso atleta ch’egli era, per accingersi alla gran lotta della morte ed al glorioso trionfo della eternità, applicando a tutte le cerimonie e rispondendo alle preci della Chiesa. Giacché vide la Comunità d’intorno al suo letticiuolo adunata, non volle defraudarla di un breve ma efficace ragionamento e la esortò con poche parole, ma piene di amore, alla ubbidienza verso i Superiori alla osservanza della primitiva vita ed alla vicendevole carità. Dopo la sacramentale funzione volevano restargli a fianco, per timore che non trapassasse senza di loro, il P. Provinciale ed alcuni altri vecchi Religiosi, ma li pregò Giovanni di andarsene a riposare perchè ancora non era giunto il suo tempo. Rimasero con lui il suo fedele assistente durante tutta l’infermità P. F. Bartolomeo ed il F. F. Francesco che doveva suonare al Mattutino. Prese indi a poco il suo Crocifisso fra le mani e perseverando nel primo raccoglimento gli baciava spesse volte i piedi e gli diceva alcune affettuose parole.
Alle nove, avendo domandato e saputo che ora era, esclamò: Tre ore ancora mi mancano; e poi soggiunse le parole del Salmo centodiciannove: Incolatus meus prolongatus est.
Udendo suonare alle dieci una campana e dicendogli che apparteneva ad un Monastero di Monache le quali chiamavano al Mattutino, ripigliò: Io pure mercé di Dio andrò a recitarlo con la Vergine in Cielo. Indi proseguì favellando con essa: Vi ringrazio, o Regina e Signora mia, per il favore che mi fate di volere ch’io esca di questa vita in giorno di Sabato, ch’è giorno vostro.
Verso le undici cominciò a serenarsi tanto e ad orare cosi tranquillo che riputando il fratello quegl’indizi per argomenti della sua morte, fu per dare il consueto segno che congrega la Comunità alla raccomandazione dell’Anima. Ma essendosene avveduto Giovanni gli disse: Perchè volete inquietare i Religiosi? Non vedete che non è ancor l’ora?, alludendo ai presagi da sé pubblicamente già fatti ch’egli sarebbe morto all’ora del Mattutino. Mostrò in appresso di sentirsi molto alleggerito dalle sue interne amarezze e che il Signore, in tutto quel giorno a lui nascosto, ritornava a farsigli vedere in aspetto di amico confortatore. Spiegò una faccia giuliva, diede un forte sospiro, come chi si sgrava di qualche gran peso, e con l’aiuto solo della sua fune alzandosi a sedere sul letto, disse: Benedetto sia Dio! oh come mi sento leggiero e sollevato! Pregò in seguito i circostanti che lo accompagnassero a lodare il Signore con alcuni divoti Salmi e diede egli stesso principio dal Miserere dicendo alla guisa di coro un versetto Giovanni ed uno gli altri; nel qual tempo conservò sempre il sembiante allegro e baciava di quando in quando i piedi al suo Crocefisso, ma dopo alquanto di ora ritornò a coricarsi.
Essendo Giovanni sollecito di sapere che ora fosse, quando comprese ch’erano le undici e mezzo dell’orologio oltramontano e che corrispondono a mezz’ora prima di mezza notte, avvisò che chiamassero i Religiosi, ma niuno potrebbe avvisarsi quali divennero tutti al primo tocco del funestissimo suono. Percossi nel più profondo dell’animo al fatale annunzio di doversi tra pochi momenti separare di soggiorno dal primo loro amantissimo Padre, parevano tante fantasime alla sparutezza ed allo sbalordimento, se non gli avessero dimostrati uomini il veloce corso alla cella del moribondo e le dirotte lagrime che spargevano nell’andarvi. Lo stesso santo vecchio Provinciale correva a prestargli col cuore straziato gli estremi uffizi di Padre insieme e di amico, ma non prima gli fu presso al letto che se gli gettò dinanzi con tutta la Comunità e gli disse che desideravano prima di lasciarsi la sua benedizione e che quando fosse alla presenza di Dio gli raccomandasse a Sua Divina Maestà. Si confuse a queste parole il costante amatore della umiltà e rispose che quanto al raccomandarli a Dio lo avrebbe fatto, ma quanto al dar loro la benedizione era questo ufficio solo di sua Riverenza come Superiore e Padre di tutta la Provincia. Ma instando sempre più i Religiosi fra i sospiri e il pianto per questa grazia, il Provinciale giudicò bene di frapporvi il comando della ubbidienza, al quale si sottomise incontanente Giovanni e con la mano alzata in segno di Croce benedisse da Padre amoroso i suoi figliuoli presenti.
Cominciarono poi a recitare la raccomandazione dell’Anima ed allorché fu compiuta disse al P. F. Alfonso della Madre di Dio: Non si stanchi, o Padre, ma segua a raccomandarmi a Dio perchè ho bisogno di riposare un poco. Si compose allora le mani stringendo il Crocefisso in atto di chi fa orazione e pregò gli astanti che gli leggessero una qualche parte de Sacri Cantici, del qual libro egli era molto divoto. Mentre leggeva il Priore, all’udir Giovanni quelle amorose sentenze, s’inteneriva e diceva: Oh che preziose perle son queste!
Poco avanti le dodici diede ad un Secolare suo affezionato che gli stava vicino il Cristo da tenere e mettendo ambedue le braccia sotto i panni con gran pace e modestia, li accomodò intorno al suo corpo. Ciò fatto, gli richiese di nuovo il Cristo, ma perchè nel darglielo quel Secolare gli baciò a forza le mani, disse gentilmente il servo Dio: Non ve lo avrei dato se avessi creduto che mi doveva costar sì caro.
Ma eccoci al duro passo di dover annunziare la per noi soli amara, e preziosa a tutti, anzi utilissima morte del N. S. Padre Giovanni della Croce. Poco prima che suonassero le dodici ore alla Spagnuola, le quali significavano la mezzanotte alla Italiana, aperse gli occhi Giovanni ed osservando che il F. F. Francesco, istupidito dal dolore non andava alla campana, egli stesso fino a quel punto geloso della osservanza, gli disse: Vada fratello a suonare il Mattutino. In quell’ora lo circondò improvvisamente un bellissimo globo di luce, che offuscava con la sua chiarezza le venti fiaccole accese in quella celletta. Fra questi splendori avvolto, ritornò a chiudere gli occhi e ad orare, sinché il primo tocco del Mattutino lo riscosse e domandò a che si suonasse. Ma appena fu soddisfatto con la risposta, che giro amorosamente sopra di tutti l’ultimo guardo e, quasi da loro congedandosi disse: Io men vo a recitarlo in Paradiso. Pose allora le smorte labbra su i piedi del Crocefisso e senza contraffarsi punto o scontorcersi e senza alcuna agonia, ma in tranquillissima calma di tutto se stesso, articolando le parole di Cristo: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum, consegnò appunto l’immacolato suo spirito al Creatore, da cui l’aveva quarantanove anni prima ricevuto.
Avvenne il placidissimo invidiabil passaggio al Cielo di S. Giovanni della Croce poco doро le dodici ore della notte del Venerdì secondo l’orologio Spagnulo, entrando appunto il natural giorno del Sabato che era il quartodecimo di Dicembre del corrente anno 1591.

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