Riprendiamo in traduzione nostra un interessante articolo dell’abbé Jean-Michel Gleize FSSPX, professore di apologetica, ecclesiologia e dogmatica presso il Seminario di Écône, a proposito della istituzionalizzazione delle lettrici e delle accolite da parte di papa Francesco.

Il motu proprio Spiritus Domini di Papa Francesco, datato 11 gennaio 2021, istituzionalizza la pratica dell’accesso delle donne al servizio dell’altare. Come ci si è arrivati?

ESTRATTO DEL MOTU PROPRIO SPIRITUS DOMINI DI PAPA FRANCESCO DELL’11 GENNAIO 2021: “Si è giunti in questi ultimi anni ad uno sviluppo dottrinale che ha messo in luce come determinati ministeri istituiti dalla Chiesa hanno per fondamento la comune condizione di battezzato e il sacerdozio regale ricevuto nel Sacramento del Battesimo; essi sono essenzialmente distinti dal ministero ordinato che si riceve con il Sacramento dell’Ordine. Anche una consolidata prassi nella Chiesa latina ha confermato, infatti, come tali ministeri laicali, essendo basati sul sacramento del Battesimo, possono essere affidati a tutti i fedeli, che risultino idonei, di sesso maschile o femminile, secondo quanto già implicitamente previsto dal can. 230 § 2. Di conseguenza, dopo aver sentito il parere dei Dicasteri competenti, ho ritenuto di provvedere alla modifica del can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Pertanto, dispongo che il can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico abbia in avvenire la seguente redazione: “I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa”

1. Nella XXIII sessione, il Santo Concilio di Trento si è pronunciato per affermare l’esistenza nella Chiesa di ordini diversi dal sacerdozio:

“Se qualcuno dirà che oltre al sacerdozio non vi sono nella chiesa cattolica altri ordini, maggiori e minori, attraverso i quali, come per gradi si tenda al sacerdozio, sia anatema”

Sessione XXIII del Concilio di Trento, DS 1772

Questa dichiarazione è precisa: definisce per fede né più né meno che L’ESISTENZA degli ordini, maggiori e minori. Non afferma, almeno esplicitamente, che questi ordini debbano essere esercitati da soggetti separati. E infatti, nella Chiesa primitiva tutti gli uffici inferiori erano affidati ai diaconi. Tutti i poteri degli ordini inferiori esistevano, tuttavia, implicitamente contenuti nel diaconato. Poi, quando si sviluppò il culto divino, la Chiesa affidò esplicitamente a diversi soggetti separati i poteri che possedeva implicitamente in uno. [1] Questi soggetti sono chierici e solo gli uomini possono accedere ai chierici.

2. Con il Motu proprio Ministeria quaedam del 15 agosto 1972, Papa Paolo VI stabilì che le funzioni che fino a quel momento erano state chiamate “ordini minori” dovessero ora essere chiamate “ministeri”; questi possono essere affidati a laici, in modo che non siano più riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine; i ministeri che devono essere mantenuti in tutta la Chiesa latina, in modo adeguato alle necessità odierne, sono due: quello del lettore e quello dell’accolito; essere istituito lettore e accolito, secondo la venerabile tradizione della Chiesa, è riservato agli uomini.

3. Questa riforma di Paolo VI è solo una conseguenza. L’essenziale è la causa da cui deriva. Ciò è chiaramente indicato, da tre riferimenti fatti, nel Motu proprio Ministeria quaedam, agli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Si fa riferimento al n. 21 della Costituzione Sacrosanctum concilium sulla liturgia: “Perché il popolo cristiano ottenga più sicuramente le grazie abbondanti che la sacra liturgia racchiude, la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia […] In tale riforma l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente e il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria”. Poi al n. 14 della stessa costituzione: “È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato» (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo”.

Infine si fa riferimento al n. 10 della Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, quando si tratta di spiegare perché il clero è direttamente legato all’accoglienza del diaconato: questa riforma farà la distinzione tra chierici e laici, nonché tra le loro varie attribuzioni. Soprattutto apparirà migliore la mutua dipendenza che collega il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo”.

4. L’idea centrale alla base di questi tre passaggi è che dovremmo parlare di un “sacerdozio” dei fedeli in un senso proprio e vero, e non semplicemente metaforicamente. Questo sacerdozio comune è il principio della partecipazione attiva al culto liturgico, che è quello dell’agente proprio del culto pubblico. L’attribuzione ai semplici battezzati di ciò che d’ora innanzi corrisponde a “ministeri” mira quindi a conferire a tutti i detentori del sacerdozio comune quanto più possibile di ciò che fino ad ora apparteneva solo ai detentori del sacerdozio ministeriale. La distinzione tra i due sacerdozi viene mantenuta, ma il margine corrispondente viene ridotto al minimo indispensabile.

“Distruggere una così santa tradizione della Chiesa, che dura da quasi 2000 anni, per avvicinarci ai protestanti, per fare esattamente ciò che il Concilio di Trento ha voluto condannare! Come possiamo ammettere una cosa del genere!”

Mons. Lefebvre, Omelia del 26 marzo 1977

5. In questo senso, la riforma di Paolo VI obbedisce a una logica che si allontana dal cattolicesimo per avvicinarsi al protestantesimo. Questa riforma non abolisce, in senso stretto, l’ORDINE maggiore del suddiaconato, né gli ORDINI minori dell’ostiariato e dell’esorcistato. Se c’è una modifica, avviene a livello della distinzione DEI SOGGETTI CHE ESERCITANO QUESTI ORDINI. Allo stesso modo in cui, durante il primissimo periodo apostolico della Chiesa (Atti, capitolo VII), il diacono esercitava tutte le funzioni corrispondenti al suddiaconato e agli ordini minori, così a partire dalla riforma di Paolo VI, le funzioni corrispondenti al suddiaconato sono affidati al lettore e all’accolito, e il lettorato e l’accolitato contengono inoltre in modo eminente il primo l’ostiariato e il secondo l’esorcistato.

Anche se si arriva a dire che i poteri corrispondenti agli ordini minori e al suddiaconato sono di istituzione divina, il fatto che le corrispondenti funzioni sono distribuite tra soggetti distinti – e che questi soggetti sono chierici, non laici – rientra nell’istituzione ecclesiastica e rimane soggetta a variazioni. Su questo punto (e solo su questo punto) non si può dire che la riforma di Paolo VI metta in discussione la Tradizione divina. Tuttavia, si può contestarne l’opportunità e la prudenza e dimostrare che obbedisce a presupposti più vicini al protestantesimo che al cattolicesimo [2]. D’altra parte, la non ammissione delle donne al sacerdozio è una questione di decisione divina, ed è per questo che non è ovvio che la loro non ammissione agli ordini inferiori oggi qualificati come “ministeri” sia allo stesso modo una questione di solo diritto ecclesiastico.

6. Un punto, tuttavia, merita qui un’attenzione speciale. Se si tiene conto dei presupposti di questa riforma di Paolo VI, come essi derivano dal Concilio Vaticano II, il fatto che “essere istituito lettore e accolito” sia “riservato agli uomini” è in contraddizione con il suo spirito. In effetti, il sacerdozio comune è caratteristico dei battezzati come tali, senza distinzione di sesso. Se si decide che l’attribuzione dei ministeri ai non chierici debba trovare la sua motivazione profonda nel principio di questo sacerdozio comune, non si vede perché i ministeri non possano essere affidati alle donne. Se invochiamo, come fece Paolo VI, “la venerabile tradizione della Chiesa”, dobbiamo essere coerenti e seguirne fino in fondo la logica: questa “venerabile tradizione” non esclude solo il sacerdozio delle donne. ma anche il principio stesso del “sacerdozio comune”. Se viene invocata per ammettere questo escludendo quello, è solo un cattivo alibi, uno che non nasconde la sua incoerenza.

7. È per porre rimedio a questa mancanza di logica che Papa Francesco recentemente, l’11 gennaio 2021, col Motu proprio Spiritus Domini, ha rivisto la riforma di Paolo VI decidendo che i ministeri del lettore e dell’accolito possono ormai essere affidati anche alle donne. Al di là dello shock mediatico – ed effimero – che questa decisione può provocare, ciò che rimane è la logica del Vaticano II, che è diventata coerente con se stessa. Inoltre, questa nuova disposizione di legge consacra solo il fatto già ben consolidato sotto i predecessori di Francesco, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Qui come altrove, la consuetudine ha indicato il vero spirito del diritto, in questo caso lo spirito del Vaticano II, che si allontana sempre più dalla “venerabile tradizione della Chiesa”.

[1] Supplemento, domanda 37, articolo 1, ad 2.
[2] Mons. Lefebvre, Omelia del 26 marzo 1977 a Ecône, per le ordinazioni al diaconato e agli ordini minori in Homec 11A2

Fonte : laportelatine.org

Fonte immagine : vaticannews.va